lunedì 9 settembre 2013

La situazione in Nord-Africa e la destabilizzazione medio-orientale e del Mediterraneo


La situazione sembra apparentemente stabilizzarsi in Egitto, attraverso la restaurazione della élite che era stata detronizzata dallo stesso esercito egiziano che adesso l'ha riabilitata. Nessuno però scrive che è ormai consuetudine che l'Egitto svenda la propria riserva valutaria per poter far fronte alle importazioni di grano (proprio così!), olio da cucina e carni. Come anche poco si scrive del fatto che moltissime fabbriche stanno chiudendo in  Egitto. Negli ultimi mesi sono andate chiuse più di 600 fabbriche, e dagli inizi della cosiddetta rivoluzione le fabbriche chiuse sono circa 4500.



Molte di queste fabbriche in Egitto sono chiuse per via di molteplici problemi legati all'approvvigionamento energetico, all'insicurezza sociale e ai dilaganti scioperi a carattere politico, e non da ultimo alle difficoltà di ricevere credito in valuta straniera dalle banche, facendo così far fare ricorso al mercato nero della valuta straniera utile per le transazioni commerciali internazionali.

La situazione in Libia, dopo gli eventi dell'aggressione all'ambasciata USA che vide l'uccisione del diplomatico statunitense, non è andata affatto stabilizzandosi.



Nel riquadro sopra inserito potete da Voi vedere di come la produzione del richiestissimo greggio libico sia precipitato nelle quantità estratte del 90%, passando dai 1,6 milioni di barili al giorno ai 160.000 barili. E' stato lo stesso ministro del petrolio Tarek Didaa a dare queste cifre.

Durante la guerra civile le infrastrutture petrolifere non furono oggetto di distruzione, consentendo così che presto fosse recuperata l'attività estrattiva e l'economia libica che da petrolio ricava circa i 3/4 del proprio PIL.
In questi ultimi mesi, però, i problemi sono cominciati con le rivendicazioni di migliori salari e condizioni di lavoro da parte degli operatori armati che sono deputati alla sicurezza degli impianti di estrazione e di stoccaggio, rivendicazioni che sono andate assumendo toni sempre più violenti e che hanno anche comportato attacchi distruttivi agli stessi impianti. Tanto che questi miliziani ingaggiati per la sicurezza sono stati accusati di effettuare veri e propri attacchi terroristici.

Il Governo di Tripoli sta provando a riprendere in mano la situazione, ma non ha un buon controllo del territorio nella parte orientale del Paese, dove ci sono i maggiori giacimenti di petrolio e da dove è nata la rivolta contro il regime di Gheddafì. Tanto che c'è chi sostiene trattasi di una ulteriore recrudescenza separatista che sta assumendo risvolti violenti.

Anche questa interruzione economica della Libia sta mettendo in ginocchio le finanze libiche di riserva di valuta straniera, necessarie per l'acquisto delle derrate alimentari. E questa situazione fa sì che le maggiori compagnie petrolifere mondiali abbiano smesso di investire in Libia, e stiano costringendo a maturare la necessità di un attacco in Siria, soprattutto per mettere in sicurezza le pipeline irachene che sono, tra l'altro anch'esse oggetto di attentati da parte di miliziani antigovernativi, sia in Iraq che nella stessa Turchia. Infatti, anche la produzione di greggio iracheno è diminuita. E un altro produttore africano di greggio, la Nigeria, ha per gli stessi motivi ridotto le estrazioni.

Insomma, la situazione nel Mediterraneo e nel Medio-oriente è più nera che mai, non ostante si estragga meno petrolio di quanto se ne potrebbe estrarre e che così mantiene alti i prezzi al barile non ostante la perdurante crisi economica dell'Europa e degli stessi Stati Uniti. Le minacce di guerra alla Siria per molti osservatori energetici potrebbero anche rivelarsi un ulteriore boomerang, così come lo è stato per l?iraq, la Libia e l'Egitto. Ma ormai per il dipartimenti strategici degli USA la situazione sembra diventata irreversibile, e rimediare ai danni fatti vede come unica soluzione quella di controllare ancora più militarmente e fermamente tutta l'area del Mediterraneo e del Medio-Oriente. Tutto questo, però, rischierà di ostacolare la ripresa del bacino meridionale dell'Europa, se le politiche europee resteranno quelle che attualmente sono per le volontà della Germania di non volerle modificare. Ed il rischio ulteriore che si corre sarà quello di importare rumore sistemico nella stessa Europa da queste aree. Questo è uno dei principale motivi che ha visto dubbiosi persino gli inglesi, oltre che la stessa Italia, nell'appoggiare un intervento militare in Siria: le incognite sono troppe, e questa strategia di controllo geopolitico non ha portato a nulla di buono.

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