mercoledì 31 luglio 2013

Guardo, quindi sono

 illustrazione di Charles Eisen. Da Racconti e romanzi in versi , di Jean de La Fontaine, vol. 2, Londra, 1896


Da quanto leggiamo qui, gli USA consentiranno l'utilizzo civile dei droni.



I due aerei senza pilota omologati dalla Federal Aviation Adminitration (FAA) sembrano saranno destinati al monitoraggio delle aree di estrazione petrolifera in Canada e Alaska, soprattutto quando ci sono sversamenti nelle acque e nei terreni a causa di incidenti, e per monitorare gli spostamenti dei cetacei nell'Artico.

L'uso non militare dei droni era stato finora solo consentito alla polizia e alle agenzie d'investigazione federale. Il sindaco di NY si è detto pronto ad acquistarne alcuni per la sorveglianza permanente e per la sicurezza della città. L'uso militare, invece, dei droni, è ormai standard nelle aree dove le truppe USA sono ingaggiate per il controllo militare delle stesse o delle aree adiacenti, come ad esempio in Pakistan.

Ora, qui non mi interessa soffermarmi sulla iper-realtà nevrotizzante della percezione di insicurezza che intendono instillare nelle nostre esistenze, permanentemente sottoposte all'aggressione immaginaria ed immaginifica del male, e dell'angoscia derivante. Semmai quello che ancora mi interessa venga dibattuto è quanto introdussi scrivendo del film Reality di Matteo Garrone la scorsa volta, ed ovvero della destituzione soggettiva delle identità sottoposte alla sguardo oggettivante dell'impersonale e dello sconosciuto. In altre parole, dell'insistenza in capo ad ognuno (del potere) dello sguardo panocticonico e del processo di soggettivazione e di assoggettamento (depotenziante e impotente) che da tale sguardo si snoda.

Spero sia chiaro che l'oggetto di questa angoscia quotidiana dispensata dallo sguardo è proprio l'oggetto del desiderio che vorremmo fosse ri-preso, e il movimento di volontà è verso qualcosa che viene percepito ed avvertito, valutato, come mancante. Perduto. Cosa vi è di sorprendente se in un incidente stradale una persona rianima l'incidentato mentre altre 50 assistono ri-prendendo con le tecnologie moderne dei cellulari quanto sta accadendo? Quella interposizione tecnologica (ma questo è un altro discorso) serve a coprire semmai la distanza che invece saremmo costretti a percorrere con la visione diretta dei nostri occhi e con il racconto che poi ne dovremmo compiere. Mentre con la ri-presa pensiamo di documentare l'oggettività della scena dove il soggetto della visione viene a scomparire rispetto alla posizione che occupa. E, parimenti, l'oggettività del ruolo di colui che ri-prende dalla posizione del guardare consente questi si assurgere (è proprio il caso di utilizzare questo verbo, essendo in azione un guardare dall'alto) all'assenza del soggetto che osserva, alla sua scomparsa dallo scenario. Non osserva, ri-prendendo, uno spettacolo. Delinea, dalla scomparsa del soggetto, l'attrazione che lo sguardo gli gioca alla sua esistenza inane.
L'oggetto del desiderio appare stare davanti e fuori al soggetto desiderante, e questi nella prova persistente dell'afferrare  l'oggetto non avverte l'inganno che questo assume attraverso le sembianze via via provvisorie, evanescenti, feticistiche di quanto, in realtà, è già andato perduto, è già alle nostre spalle, e che quando si presenta è il ricordo del presente. Mero ri-chiamo, se lo sappiamo riconoscere. Altrimenti è ri-produzione dell'angoscia. Perversione permanente.

La nostra "scatola dei desideri" è, e può solo essere,  vuota. O dall'altro verso, piena di oggetti perduti. E da ri-trovare nella percorrenza dei territori dell'esistenza. Altrimenti è vacuità affollata di compulsioni oggettivate, inconsistenza,  riproduzione permanente, seriale e reiterata dell'Assente, un sottoporsi incondizionatamente e volontariamente alla ri-velatura dello "sguardo dal buco" che vede e non vede, divenendo allo stesso tempo sia oggetti visionari dell'immaginario che soggetti ripiegati nell'immaginazione rappresentativa della superficie che ri-vela la visione insoddisfacente, depotenziati nella fissazione del vedere e del rivedersi.

La somministrazione quotidiana dell'angoscia dello sguardo che ci guarda ci ricaccia nella cattività dell'appercezione che potrebbe tradursi nel "Io guardo, quindi sono", arretrando sul campo del ri-guardo verso sè stessi che è così definitivamente perduto.
Permanentemente danneggiati dalla percezione che il potere opera sulle nostre esistenze rese angosciate dalla sguardo permanente, e che così indifese quindi paternalisticamente da tutelare, rinneghiamo la realtà della percezione stessa per ricacciarci nella cattività feticistica dell'oggetto del desiderio irrealizzato e irrealizzabile. Ed è  proprio questa scomoda condizione che consente il depotenziamento dell'agire attraverso la reiterazione dell'azione che sempre manca il suo oggetto, per finire di divenire, ognuno di noi, copioni (ombre) dell'attorialità da altrui scenari pre-disposta, narrazioni (come piaceva dire a qualche uomo politico) di pre-scritture altrui. Immagini proiettate e disposte allo sguardo, e nello stesso istante occhi abbacinati dall'immaginazione... del terrificante. Come il demone nell'illustrazione.

Penso che la cifra critica dell'attuale contemporaneo potere riposi tutto in questo depotenziamento che quotidianamente rimane muto, incorrotto al linguaggio. E ognuno di noi ne è l'evidente manifestazione.


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