E so benissimo che per i tanti o pochi che mi sanno e mi conoscono per come la penso e come l’ho sempre pensata, quest’affermazione rappresenta una scelta, per alcuni versi, inaspettata. Per uno che ha percorso buona parte della sua vita in un’atmosfera idealizzata e idealizzante di sinistra, il passaggio dall’idealismo alla cogente logica della ragione (opinabile ragione, ma per me, hic et nunc, la ragione giusta) questo passaggio non è stato affatto facile. E so bene anche che scrivere questo in questo posto in cui, anche per amicizie scelte , in parte anche per affinità politiche di parte, mi porterà a litigare verbalmente con più di qualcuno dei miei decennali amici di Web e non solo. Penso ad almeno una cinquantina di persone che conosco molto bene che quasi quotidianamente scaraventano su questi schermi tutta la rabbia o l’ironia sarcastica o, talora , tragica, sui fatti e i personaggi politici di questo paese, pensando, così facendo, di liberarsi almeno un po’di quella frustrazione vitale e sociale a cui oggettivamente siamo stati condannati da una classe politica che, però, in fondo, ha solo parassitato amplificandoli, e traendone straordinario personale vantaggio, gli stessi vizi che rappresentano il sottobosco, il tessuto connettivale, gli intrecci di connivenza che poi, in una cabina elettorale, li ha eletti come loro (degni?) rappresentanti.
L’esercizio di antipolitica, come pure il non voto, portato al paradosso, non è solo la sconfessione di loro, ma anche di noi stessi, semplici cittadini ed elettori. E’ come dire: siccome non riesco a vedere nessun modo di cambiare io per primo il mio modo di partecipare al bene comune (e i modi di diventare cittadino “civico”, poco poco ma inesorabilmente, pure ci sarebbero,ci sono) figuratevi se voi, privilegiati, avete voglia di recedere da questi vostri privilegi e cambiare le leggi “per” noi.
E poi, l’esercizio dell’antipolitica si coniuga spesso con una delega ancora più ingenua e a tipo “assegno in bianco” dove è facile che - nel malcontento generale d’una “non c’è più trippa per gatti, figurarsi per topi” - azzuppino il pane un certo genere di persone avvezze a magnificare le uniche tre o quattro parole che tutti vorrebbero sentire. E con queste tre o quattro parole tesorizzano tutto il convoglio di rabbia inespressa d’una , ma che dico “una” … “della” sempre presente e mai troppo emancipata“maggioranza silenziosa”
E la storia insegna che non ci vuole quasi mai una pur cazzo di laurea per laurearsi capopopolo: in altri tempi bastava un maestro elementare, nel passato più recente un impresario televenditore di sogni detassati della realtà, e adesso, addirittura a scadere sempre più in basso nella credulonità, un comico logorroico che, divenuto santone, ma rimasto logorroico, per non sbagliare e per salvare tutti senza salvare nessuno, vaffancula il mondo intero.
Dicevo che IO STO CON MONTI, forse anche condizionato, ma non più di tanto e non solo, dopo avere ascoltato il suo attento, puntuale discorso di fine avventura. Non nego neppure che per me ha un certo fascino – io che “senesco” cercando di coltivare l’arte del dare il giusto peso alle parole – il suo modo elegante quanto intelligente di dire tutto quello che c’era da dire senza animare zuffe inutili, il suo modo di boxare col “jab” per poi piantare sul corpo del bersaglio (uno palese, ma non solo uno) due o tre colpi mancini, a delimitare un territorio di serietà non aggredibile, anzi, direi, inviolabile.
Ma tutta questa abilità verbale, che d’altra parte nella costruzione sintattica di quanto di contenuto andava enunciando, non solo non strideva, (come succede di fare ai parolai) ma ne esaltava la coerenza; eppure tutta questa abilità verbale non mi avrebbe convinto se non ci fosse stato un momento chiave nel suo discorso che mi ha illuminato. E’ quando ha citato Alcide De Gasperi dicendo che l’uomo politico è tale solo se quello che fa o che promuove non guarda solo al momento che si sta vivendo, ma alla prospettiva futura. Sembrerà una botta di banalità, ma per me è stato un chiarore Ebbene, io alla soglia dei miei sessant’anni in un solo anno di governo Monti, io classe sociale media, mi sono visto allungare i tempi del raggiungimento della soglia della mia pensione, mi sono visto aumentare le mie tasse di almeno il 10%, da medico del SNN nulla evasore, mi vedrò aumentare gli oneri della professione e probabilmente ridurre anche qualche cespite dello stipendio. Che rimane, comunque, di quelli che non temono l’arrivo dell’ultima famosa settimana del mese, intendiamoci. Eppure, a pelle, e poi, a conti fatti, ‘sto cazzo di governo Monti tartassone a pioggia, non mi avrà affogato, ma mi ha inzuppato di brutto. E allora? Io ceto medio, quasi medio alto, mi guardo intorno e dico: “più tasse di così , neanche la sinistra più di sinistra (nel senso non politico, ma di evento disgraziato) me ne può chiedere, visto che per principi ereditati dalla mia famiglia, vedo tanto evadere, ma non evado un cazzo (anche se la tentazione, minima, ma a volte ti viene) visto che sono stato allattato quasi e poi cresciuto in mezzo a ideali di egualità, e allora, se ancora fosse identificabile, perché non votare anche, per Rifondazione Comunista. Ma almeno per Vendola, dai . E qui, però, il gioco non vale più. Giocare non vale più, per rispetto proprio per quei tanti che fanno il culo in cento modi più faticosi del mio nello sbarcare il lunario. Quelli che hanno diritto, tutto il diritto, di dire a me: la tua pancia è piena o semipiena, e questo comporta che, poco a poco, a noi ritorni la voglia di ritirare fuori, dopo decenni di quiescenza, di ascia di guerra sotterrata, parole come “lotta di classe”. Io, rispetto il concetto ovvio che questa società massificante, dei consumi, globale, metta sotto i piedi, senza neppure accorgersene, anche diritti acquisiti nel tempo, come certe conquiste sindacali.
Ma i tempi fluiscono e cambiano, questo lo vogliamo ammettere o no? E cambiano per tutti. La società operaia (o ancora “classe” la chiamiamo, in modo vagamente giurassico) è stata dai sindacati per un quarantennio una “specie” protetta. Protetta e privilegiata, per reciproco interesse, dei lavoratori, fino ad un certo punto, dei sindacalisti inequivocabilmente. Per cui, quando tutto il mercato del lavoro è andato lentamente e progressivamente in crisi e gli operai hanno cominciato a produrre figli laureati e disoccupati, il sindacato s’è mantenuto e difeso i suoi iscritti, conservando miopemente solo lo status quo. Immaginate voi un sindacato di giovani disoccupati regolarmente iscritti. Non esiste se non come velleità fine a se stessa; come sigla nazionale non esiste perché il sindacato vive del lavoro degli iscritti. La disoccupazione, specie quella giovanile, di prima mancata occupazione, a parole viene rivendicato a tutto spiano in ogni occasione televisiva, ma, in fondo, e di fatto, non è un problema loro.
Monti, garbatamente, ha detto che, per certi aspetti, una certa sinistra e un certo sindacato, che taccia lui di conservatorismo, in fondo è lei (sinistra) e lui (sindacato) il /la vera conservatrice.
Espressione forte, ma almeno degna d’una seria riflessione, se è vero che la contrapposizione padrone –operaio inteso una volta come rapporto di forza e motivo di ingiustizia sociale, adesso più che altro si è tramutato in un rapporto di forza diverso tra imprenditore ed operaio, per cui il legame è diventato più solidale: se io imprendo tu lavori, se io non sono nelle condizioni di imprendere, tu puoi continuare, se ti pare, a odiarmi quanto vuoi, ma io non guadagno e tu non lavori. In quest’ottica di piccola impresa, specie nel nord, si è mossa la lega, in cui, paradossalmente, fino agli ultimi scandali, operaio e imprenditore finivano per votare uguale.
E io sto con Monti, in definitiva, perché quando ho voglia di sognare un mondo migliore, ideale, utopico addirittura (e lo so, quanto è bello sognare) visto che un po’, appena un po’ lo so fare, mi metto a scrivere poesie o racconti. Ma , neanche tanto per me, che d’acqua sotto i piloni del mio ponte, n’è già passata tanta, di meno bella e più brutta, e ne passerebbe anche un’altra di quella più melmosa, ma per mia figlia, che si affaccia ora alla vita di lavoro e fra qualche anno metterà su famiglia, è per lei che ho bisogno di essere realista. E allora, intanto lei, e con lei tutto il nostro paese che vuole almeno sperare di cambiare qualcosa, non può, per motivi diversi votare né Berlusconi né Grillo. Non può premiare più di tanto il velleitarismo altrimenti abile di Vendola, e non può neppure votare il solo buonintenzionismo di Bersani. Il prossimo parlamento ha bisogno d’una maggioranza “con le spalle larghe” che esprima un governo che possa, comunque sia, mantenere una rotta senza virare, strambare e scuffiare. Nessun italiano, neppure quello più lontano idealmente da quello che si potrebbe andare a formare, può permettersi un assurdo altro vuoto di potere. Realisticamente, se questo succedesse, molti di questi distinguo nostri sul governo migliore, sarebbero sopravanzati dal nostro andare giù a picco. E, francamente, io in questo momento vedo un solo timoniere e tanti Schettino.
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