lunedì 21 gennaio 2013

Siamo in guerra, e molto probabilmente la perderemo

In tutta la drammatica vicenda algerina l’aspetto più inquietante sono state le parole del Ministro per l’energia, Youcef Yousfi, 
che ha dichiarato: “I nostri partner non hanno sofferto per la situazione”. Con tali parole Yousfi intendeva dire che le esportazioni algerine di gas e petrolio (il 45% del PIL del paese) non hanno subito significative interruzioni. Che di fronte ad un evento così tragico, il cui numero delle vittime è ancora sconosciuto, si senta l’esigenza di rassicurare i partner economici assume davvero una connotazione spettralmente significante.

L’impianto di Is Amenas, oggetto dell’attacco, da solo fornisce circa il 18% del gas annualmente esportato dall’Algeria. Da qui parte il gasdotto In Amenas-Hassi Messaoud gas pipeline che si immette nella rete che arriva a rifornire di gas l’Italia, soprattutto attraverso il gasdotto Transmed, conosciuto anche come Gasdotto Enrico Mattei gestito da ENI e Sonatrach, la compagnia energetica statale algerina. Per l’italia quindi le vicende di questi giorni sono di particolare attenzione in quanto se la ridotta capacita’ produttiva di un impianto non direttamente collegato, come appunto Is Amenas, ha provocato un calo del 17% della media giornaliera di gas pervenuto a Mazara del Vallo, (punto di arrivo di Transmed) inutile dire quali sarebbero le conseguenze se invece di Is Amenas fosse stato colpito un impianto direttamente appartenente alla rete ENI.

Sotto i riflettori ci sono le modalità di intervento delle forze di sicurezza algerine, ma per capire meglio quanto successo occorre contestualizzare i fatti. L’Algeria, anche a casusa della propria storia recente, ha sempre fatto dell’antiterrorismo il suo punto di forza, anche per accreditarsi nel contesto internazionale. Infatti Algeri ha usato la sua poltica securitaria per bilanciare la sua accusa alle istituzioni finanziare internazionali ed all’Eruopa che di queste si fa complice. La stessa Algeria è stata sottoposta alle “cure” del FMI negli anni ’90, proprio il periodo di tempo in cui le compagnie petrolifere occidentali hanno letteralmente preso d’assalto il paese, al punto che Sonatrach, compagnia statale, ha realizzato in quegli anni più progetti in partnership che autonomamente.

L’Algeria inoltre ha sempre avuto una posizione di difesa dell’Iran e contraria alle sanzioni contro il paese islamico, tessendo inoltre ottimi relazioni commerciali con la Cina a fronte di un rapporto ambiguo con gli Stati Uniti, fatto di avvicinamenti e allontanamenti. Proprio questi due paesi, USA e Cina, sono in competizione per quanto riguarda il sud dell’Algeria, ossia la zona sahariana confinante anche con il Mali. La regione del Sahara vive una situazione complicatissima, essendo diventata rifugio per i gruppi di Al-Qaeda che hanno abbandonato l’Afghanistan. I gruppi islamisti si sono legati ad alcuni clan tuareg, che da sempre sono in lotta con i governi centrali dell’area, stabilendosi in una regione ricchissima di risorse naturali e diventata un’ importante rotta del narcotraffico; creando così una situazione esplosiva.

Gli Stati Uniti e la Francia da tempo criticano il governo algerino per la sua incapacità di controllo del suo confine sud, controllo che avveniva tramite relazioni con i clan tuareg che permettevano ad Algeri di avere un ruolo di egemonia nell’area sahariana, Tuttavia tale egemonia è stata messa in crisi sia dalla comparsa dal gruppo islamista AQMI (Al Qaeda per un Maghreb Islamico), sia per la guerra di Libia che ha di fatto sconvolto le relazioni geopolitiche nell’area sahariana. E non è fuori luogo notare come il confine tra Libia e Algeria sia costellato di giacimenti di petrolio. Il fatto che l’attacco a Is Amenas sia contestuale all’intervento occidentale in Mali potrebbe destabilizzare l’Algeria e spingere i paesi europei a tentare di controllare il paese. Una seconda Libia?

Da ultimo ma assolutamente di primaria importanza è il fatto che intervenire nel Sahara significa scontrarsi direttamente con gli interessi cinesi. La Cina infatti ha investito moltissimo nella regione, Mali compreso, e le dichiarazioni ufficiali delle autorità cinesi a proposito dell’intervento francese nel paese sub-shariano sembrano confermare le possibilità di uno scontro futuro tra Cina e paesi europei, più gli Stati Uniti. Commentando l’iniziativa europea in Mali il portavoce del ministero degli Esteri Hong Lei, pur non condannando l’intervento ha auspicato la rapida attuazione della risoluzione 2085 del consiglio di sicurezza dell’Onu sottolineando “l’importanza del dialogo politico”, nonché il dispiegamento di “una forza a guida africana”.

Il governo cinese si è sempre opposto all’ingerenza nella vita politica dei singoli Stati, temendo un’intromissione nelle proprie vicende interne, ed ha inoltre sempre negato l’esistenza dei cosiddetti ”Stati canaglia”. Il grosso vantaggio della politica cinese è la mancanza di scrupoli legati ai diritti umani e civili, il che permette a Pechino di dialogare con qualunque partner senza dover rispondere, almeno per il momento, ad un’opinione pubblica interna. I paesi occidentali devono invece, almeno formalmente, rispettare tali diritti anche se, ipocritamente, il mutare delle relazioni internazionali muta anche la concezione di violazioni o meno di tali diritti, si veda il caso dell’Uzbekistan dopo l’avvicinamento agli Stati Uniti.

Che vinca il non rispetto dei diritti umani e civili proprio della Cina, o che vinca il rispetto di tali diritti “ad uso e consumo” proprio dell’Occidente, molto probabilmente una guerra di civiltà noi la perderemo comque.

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