venerdì 16 novembre 2012

GIORNO 46 (tratto da il blog della disoccupazione)




Anzitutto. È stata una giornata un po’ di merda.


Sono tornata a casa dopo aver fatto una gita premio all’agenzia interinale per recuperare le ultime buste paga (sennò col cavolo che posso chiedere il sussidio Ebitemp, che mi potrebbe essere utile per pagarmi il corso per il patentino di guida turistica invece di organizzare un bel crowd founding), e non so perché, complice anche il vecchio in pizzeria che si è preso le ultime due crocchette di patate rimaste -ricordatevi la regola numero 1, che non è nessuno mette Baby in un angolo bensì nessuno mangia le ultime due crocchette di patate in mia presenza, altrimenti succedono cose spiacevoli e volano maledizioni- ho cominciato a sentirmi abbastanza di merda, a pensare che insomma, probabilmente mi converrebbe saltare giù dal primo ponte sul Tevere che incontro e pensa che ti ripensa ho cominciato a piangere.

Roba che se qualcuno mi fermava lo prendevo a pugni.

Oh, non è che sia successo granché, perché la giornata fosse così di merda. Stamattina ho cominciato col chiamare il corso di inglese per dire che essendo ancora disoccupata mio malgrado avevo i requisiti per cominciarlo. Comincio dal 27, dal lunedì al venerdì, la mattina. Il pomeriggio sono sempre di cazzeggio.
Poi ho controllato il conto corrente, e c’erano sia i soldi della liquidazione che quelli della disoccupazione. E queste sono buone notizie, in genere.

Poi ho mandato i soliti inutili curricula rispondendo ai soliti inutili annunci. E ho pure scoperto che la Provincia di Roma ha deciso finalmente di tirar fuori qualche bando per corsi sovvenzionati. Così li ho letti tutti e ne ho trovati un paio che mi possono interessare. Ho pure mandato il link alla collega che è in maternità, perché li voleva.

I casini sono cominciati qui. Perché mi sono impelagata in una discussione sullo spreco di tasse che implicano quei corsi, soldi che potrebbero essere usati meglio. E io a questo punto mi sono chiesta per quale motivo bisognerebbe usare i fondi destinati alla formazione professionale per ricostruire scuole. Perché la formazione per adulti serve. Si può discutere sulla modalità con cui viene organizzata in Italia, si può pure arrivare a denigrare la deprecabile abitudine di lucrare su quei fondi. Ma in qualunque luogo che abbia un welfare e protezioni a sostegno del reddito la formazione per adulti deve esistere, perché il lavoratore ne ha bisogno, pure se non se ne rende conto. Se non stai lavorando e sei improduttivo, devi poter fare qualcosa che ti faccia sentire un essere umano. E imparare qualcosa di nuovo che possa servirti pe il tuo lavoro o consolidare qualche conoscenza è un modo per sentirti un essere umano.

Poi ci sono sempre quelli che le cose le farebbero meglio, e che vedono qualunque passo volto verso una sorta di miglioramento dell’essere umano come uno spreco. A guardare bene ci sono pure milanesi che in questi giorni si sono lamentati perché il comune di Milano ha organizzato una raccolta di indumenti usati, lamentando che dovrebbero essere i politici a dare quello che hanno, perché i cittadini sono poveri. La verità è che troppa gente ha bisogno di aprire bocca e dare fiato.

E allora già questo mi ha messa di cattivo umore, anche perché queste cose arrivano da gente che conosco, e io lo so, che potrebbe dire roba del genere, ma quando capita a me arriva tipo un cartone in faccia, perché a essere sincera non me l’aspetto. Mi aspetto anzi che le persone a cui queste cose non servono non stiano lì a questionare sul perché e per come vengono organizzate. Invece no.

Ma c’è pure stato di peggio. Tipo la discussione sugli imprenditori che poveretti vanno capiti quando assumono solo personale che gode di sgravi fiscali, pure se poi la qualità ne risente, e non danno continuità, e comunque l’imprenditore va capito a prescindere perché poveretto rischia in solido, e se fallisce gli levano pure la casa, e qualcuno poi si suicida pure.

E io pensavo che i dipendenti magari non ce l’hanno proprio, la casa, e che anche se avessero voluto fare gli imprenditori, nella vita, non hanno mai avuto abbastanza garanzie per chiedere un prestito a una banca e mettersi in proprio, e che quando l’imprenditore fallisce comunque loro perdono il posto di lavoro e non è che ballano la tarantella, e anzi, pure qualche dipendente ogni tanto viene preso dallo sconforto e si suicida.
E francamente poi mi ha dato fastidio la difesa a oltranza dell’imprenditore perché chi non fa l’imprenditore non capisce che fatica è, perché se uno è imprenditore ed è un figlio di puttana e agisce in maniera illecita non è che deve essere capito in nome dello spirito di corpo. Col cazzo.  E poi un figlio di puttana ti rovina la categoria, dovresti prenderlo a calci anche tu imprenditore onesto, il figlio di puttana, non difenderlo perché sì, sbaglia, ma vuoi dargli torto?

E insomma, voi che non avete tanto tempo da passare davanti a questa roba avete un culo della madonna, perché non lo sapete, quante stronzate riesce a scrivere la gente quando sta su internet e discute con altre persone. Pare la gara a chi dice la roba più sgradevole. Non so se  si vinca un premio, alla fine della gara, spero di sì e spero per loro che ne valga la pena, perché a me fan venir voglia di tirar fuori le molotov.

Alla fine sono uscita pure per mancanza d’aria. Poi mi sono ulteriormente rovinata la giornata, eh, perché in agenzia ho trovato due tizie che avevo già visto la prima volta che sono stata a prendere le mie buste paga, a gennaio di quest’anno. E sono due tizie cafone di quella cafoneria che trovi solo nelle peggio borgate di Roma. E ho capito che loro, con tutto che sono cafone, non si sa perché continuano a lavorare imperterrite. E allora mi sono chiesta a che serve essere educati (moderatamente), non sguaiati, avere una buona dose di cultura personale o cercare di imparare roba nuova, se poi lavori lo stesso anche quando sei una cafona sguaiata.

Ve l’ho detto che non è una buona giornata, perché sto scadendo pure io nella guerra tra poveri. Sto cominciando a guardare nel culo del prossimo per vedere cosa ha più di me. E non è una cosa che mi piace. Perché non me ne frega niente, di sapere cosa hanno di più gli altri. Non mi interessa sapere che qualcuno ha avuto un lavoro perché ha lo zio che è cugino di stocazzo. Forse io non lo voglio proprio, il posto di chi ha lo zio che è cugino di stocazzo. Magari non è una roba per me, quel lavoro. Pure se paga bene. E non mi interessa sapere nemmeno perché una che urla e parla nei posti chiusi come se fosse in mezzo a una piazza continua a lavorare. Mi interessa trovare il mio, di lavoro. Mentre gli altri si fanno il loro.

È complicato, non cominciare a farsi una serie di seghe mentali in cui pensi che il mondo ce l’ha con te.
Comunque basta, la giornata vivaddio è finita. Posso dedicarmi a pensare al romanzo, che oggi si ricomincia. Tra due settimane comincio un corso di inglese, domani preparo i documenti per i corsi inutili della Provincia di Roma sperando che mi prendano in uno, e soprattutto me ne vado al Forte Prenestino a vedere una roba che mi piace, spero. C’è una mostra di editoria indipendente. Dice che ci sta pure la libreria Calusca, quella dell’Archivio Moroni.

Posso scrivere un sonoro fanculo a tutti quelli che oggi mi hanno avvelenato la giornata?

Non è necessaria la risposta, tanto l’ho già scritto,

State bene.

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