CHE UN CAPO POLITICO
subisca una condanna definitiva e consistente senza alcuna
ombra di malversata giustizia è quasi impossibile che possa realizzarsi. Se poi
il capo politico si chiama S. Berlusconi e il luogo dove si concretizza
l’impossibile circostanza è l’Italia, allora si potrebbe giustificare tutto e
altro ancora...
In Italia, infatti, l’iniziativa politica è sempre all’ordine
del giorno, in forme le più varie: dal solidarismo amicale all’accordo
interessato; dalla intenzione forte di regolare i conflitti, alla non sempre giustificata e comunque migliorabile
forma di partecipazione; da una sintesi morale umana che si vuole tradurre in
politica alla storicizzazione delle volontà confliggenti; dalla facilitazione comoda
del governare alla politica come mestiere per i senza-mestiere; ecc. ecc.
Ma pure tutte queste forme e ben altro ancora hanno qualcosa
in comune: la ricerca di un equilibrio che riveniente da un conflitto
controllato possa avere la pretesa giustificata di trasformare la comunità e
adattare al meglio le esigenze del vivere umano, con gli strumenti dei quali si
dispone, secondo le forze che si riesce a tenere insieme fino a modificare lo
stesso spirito della politica. Politica che anche quando assume forme le meno
forti la riuscita delle modificazioni sociali alle quali anela non avrà
necessariamente quale suo obiettivo permanente.
E le forme “in
politica” sono decisive. Addirittura fanno politica “in politica” le forme
forse di più della comunicazione, in quanto ne sono l’indispensabile contenuto…
esteriore. E per intenderle le forme della partecipazione politica e della
politica in quanto tale, bisogna avere il possesso della “trasformazione astratta”
adottata e di ogni contraddittorietà che possa intervenire in ogni ambito della
vita umana. Altrimenti nessuna fiducia nel capo politico potrà maturare né
alcuno potrà mai intendere come utile e necessario anche se per il minimo, la
pratica politica concreta nelle forme disparate nella quale si esercita.
Così capita di dover apprezzare quale stile popolar-comunista
anni 60 la manifestazione a Roma a sostegno dell’innocenza e della volontà di
continuare ad esercitare politica di Berlusconi. Stile e contenuti di
riferimento dove il senso della storia dominava il cambiamento e lo strozzava
inevitabilmente. Come se la forza di una micidiale opposizione a qualcosa, una
volta esercitata, non avesse più energia a costruire relazioni politiche e a
fare politica.
Si deve considerare così che la forma obbligata con la quale
si rappresenta la contraddizione e la trasformazione è lo stesso limite
dell’avvertire contraddittorietà e proporre trasformazioni e modifiche.
In questo modo le forme della contraddittorietà sociale,
produttive e giuridiche, morali ed etiche, culturali e pratiche raggiungono
equilibrio una volta incardinate in un processo di validazione politica e si
propongano per una affermazione trasformativa estesa che gode direttamente delle
forme stesse della contradditorietà sociale che le ha generate.
Da qui la compiuta storicità di ogni cambiamento. Ovvero la
negazione di ogni possibilità ulteriore che non sia la apertura di una
contraddittorietà ancora più consistente che metta in moto soggettività nuove
in grado di oggettivare territori di trasformazione nuovi dove a tutti deve
essere riconosciuto ruolo trasformativo e ideale, particolare e universale,
dove quell’oggettivo diventa adeguatamente abitabile.
Qualsiasi “dominio politico”, dunque, consegue già il suo
risultato decisivo appena la contraddittorietà di cui è portatore si incarna
nelle trasformazioni astratte e concrete (!!!) che le forme della politica
oggettivano.
In questo senso l’età
berlusconiana ha già portato in forme politiche di trasformazione compiuta
quanto era contraddittoriamente vissuto nella società italiana.
Questi in sintesi i risultati:
· protagonismo politico generalizzato
di larghe parti della società italiana poco avvezze all’esercizio della
politica (l’ultima “scuola estiva” di politica del PdL a Sorrento -luglio 2013 -
con i giovani a scoprire che la “politica non è sporca” !? ne è la dimostrazione);
· trasferimento dei processi di
valorizzazione economica dalla produzione alla rappresentabilità del valore
dove il carattere astratto della misura contribuisce ad una diffusione più
larga della ricchezza e della povertà;
· rallentamento e riduzione controllata
della conflittualità sociale sostituendo la oggettività di una condizione con
la soggettivizzazione di uno stato sociale e personale;
· diffusione di contenitori e tempi
chiusi delle soggettività esercitate disposti in condizione di continuità e
alternativa dove al massimo del gregarismo è associato il massimo della libertà
creativa;
· diffusione della logica
dell’allargamento permanente dei diritti nuovi, soggettivi e oggettivi astrattizzando
le ragioni del diritto dalla necessità dello Stato, fino alla scomparsa di ogni
necessità della relazione sociale e personale.
Queste dinamiche si concretizzano come la stessa riuscita del
disegno politico di Berlusconi e, dato che si affermano secondo i caratteri
della ricerca del minimo sforzo per il massimo rendimento, sono il limite della
stessa condizione che li rende possibili. Non si potrà in altri termini
ricercare una linea di sforzo minore senza che lo stesso sforzo venga
completamente compromesso nelle sue ragioni.
Una app, ad es.,
non avrà più, nella moltiplicazione permanente delle applicazioni possibili,
nessuna necessità di giustificarsi, dunque di servire a qualcosa. E in generale
si potrà dire che, intesa quale ulteriorità la app, come il progressivo aumento del livello di vita e la sua
durata, questa è diventata nell’opinione pubblica una “pretesa giuridica” nella
condizione della società di massa. La vita lunga di cui… godiamo, così come
l’uso di qualcosa che non si sa più a cosa possa servire.
Dice A. Gehlen:
“Sembra che una forma di potere debba valere come legittima in forza di aspettative, incondizionatamente poste, dei suoi successi in campo eudemonistico-sociale, dando per presupposto che, in tal modo, essa stessa si minimalizza, restringe gli ambiti di libertà e tiene conto (del suo contrario!!!) della suscettibilità generale nei confronti di un’intrusione troppo compatta dello Stato!”
Dunque, per Berlusconi non
ci potrà essere futuro! Il “successo eudemonistico-sociale” quale
“pretesa giuridica” non può essere né “forma di potere minima”, né iniziativa
antistatale “incondizionatamente posta”, dato che i “giudici che fanno politica
con le sentenze” sono intesi quale espressione di una forma di potere
condizionatamente posta e dalla politica necessariamente, alla quale la traccia
dell’incondizionato che corrisponde non potrà consentire che un altro potere,
quello giudiziario, vinca per essere stato posto incondizionatamente!!!
Dunque, è la politica a… minimizzarsi per vincere su un
potere giudiziario posto incondizionatamente!!!
E una politica minima, minimizzata nelle sue espressioni non
avrà mai senso, neppure nelle mani del più potente apparato di comunicazione
possibile!!!
Politica e giustizia, dunque, restano oggi, nonostante il
miglior Berlusconi, due nani che si combattono quando passa loro per la testa
che ne possa tornare un vantaggio per una delle due parti. Niente sostiene la
forza del diritto, come nulla si apprezza collettivamente a partire dalla
volontà politica condivisa.
Questo spiega la richiesta ultima di Berlusconi
sull’abolizione dell’IMU e quella ancora più apparentemente indecifrabile del
restare leader del suo partito… nuovo!!! E ancora meglio si può evidenziare
l’abbaglio di Angelo Panebianco sul “Corriere della Sera” del 10 agosto, circa
il “potere della magistratura” in grado di resistere la politica e le sue
volontà di riformarla, come d’altra parte quelle della sinistra di usarla come
leva politica esplicita.
Storicamente, dunque,
condizionatamente, il potere giudiziario ha sempre vissuto all’ombra del potere
di decisione che la politica esercita. Né in alcuna caso l’affermarsi del
“potere giudiziario” si è concretizzato senza lo Stato! Piuttosto è vero il
contrario. Senza Stato, o con un apparato potestativo
minimo, ciò che scompare è proprio quella autonomia della politica ubiqua, dei
partiti, delle lobby, che non riesce più a chiamarsi tale, se non legandosi ad
un capo al quale offrire la propria delega senza che alcuna proposta politica
venga espressa per la comunità intera intorno ad un criterio, il più elementare
possibile, di ripartizione di oneri e ricompense. E questo è anche il caso
paradossale del “potere giudiziario” attuale, scomparse le divisioni dovute
alle correnti interne alla magistratura, ancora più forte si presenta la istanza
di un avallo incondizionato che si concretizza in tempi brevi nel ricorso al
potere mediatico, in tempi prossimi al tempo della decisione, direttamente alla
espressione formale della politica. Esposito docet.
Anche per questa via, dunque, il futuro di Berlusconi è
compromesso. Pure considerando come risultato positivo la diffusione dei
comportamenti politici ubiqui che hanno ormai, comunque, raggiunto il massimo
della espansione possibile, questi stessi non reggono più nessuna espressione
politica che ne richiami una qualche condizione unitaria. E diventa del tutto
evidente l’incongruenza del come per fare politica bisogna annullarla o esserne
i detrattori più tenaci.
Allo stesso modo quando in un ambito destinato ad una
sostanziale minimizzazione, che sia la Costituzione o uno Statuto comunale, o
la stessa funzione del rex, questi
vengono intesi come qualcosa di dato dai quali cominciare, la stessa libertà si
riduce sia negativamente che positivamente. Se fosse per la datità originaria
dello Stato questa sarebbe oggettiva, dunque universale, compiuta negazione di
ogni idea di Stato. Ove, diversamente, per evidente equivocazione sostitutiva,
la libertà fosse intesa come una eventualità, una disponibilità, toglierebbe la
decisione e la stessa pensabilità, fino alla più spicciola razionalità
interessata, dall’ambito delle stesse prerogative umane.
Si affaccia così una essenzialità della politica che passa
quasi per naturale: il potere del tempo del decidere/indecidente è
essenzialmente un esaltare le parti messe in evidenza e ridurre l’incidenza, di
quelle trascurate. Mentre a fatica si considera che la decisione, invece, è la
culla etica di ogni iniziativa umana che se pure destinata alla sconfitta e al
danno, addirittura all’impotenza, allo sforzo circa la migliore risoluzione
chiamerà ognuno. È paradossale come gli studi ultimi sulla decisione, si prenda
C. Shmitt, la qualificano solo in ambito politico e paradossalmente teologico e
per nulla quale culla etica del fare umano, dove prevale, piuttosto che la
scienza dell’errore etico, quella della colpa e della redenzione tramite
giustizia. Dove è ancora il tempo della decisione politica a determinare la
“forma generale condivisa” di come l’apparato della giustizia e della
redenzione possa oscurare opportunamente l’errore e ogni sua espressione quale
materia etica assolutamente fuori da ogni possibilità di combinazione con la
politica o la giustizia.
Combinazioni e combinatorie che sono messe così, del tutto in
una condizione di coerenza impossibile, e massimamente nella politica e nelle
forme di autonomia della giustizia. Mentre non
si può non tornare a fare presente che la politica è coerente nelle sue istanze
di combinazione solo se riesce a unire in una visione collettiva il futuro di
una entità sociale memore di incontro e salvezza, espressioni della ulteriorità
permanente dello Stato che è già da prima, e sempre, giustizia.
Lo Stato e
la sua immanenza non rincorre, da sé, infatti, le ragioni delle sue origini e della
società/comunità quale contraddittorio rapporto tra individuo e collettività, ovvero
non può solo ripresentare come se fosse nuova e vecchia insieme, la “società
civile”, come se il contrasto fosse la sua stessa natura, o inseguire affannato
e impotente il destino utopico della umana specie, ma rappresenta la sua stessa
immanenza per ogni incontrarsi degli uomini e nulla potrà sostituirlo se non
parzialmente e per poco!!! E fin quando la Politica avrà la forza di coniugare
l’immanenza permanentizzata dello Stato e la salvezza del pensare, quale inevitabile fare che
raccoglie le espressioni di quanto all’idea di Stato si lega: la pensabilità di
Dio, espressione della sola mente, quanto accompagna e accompagnerà continuamente
l’idea di Stato nel Mondo!!! Null’altro serve all’idea di Stato, infatti, se
non la pensabilità unitaria di quanto
possa essere pensato e di fatto si pensa! Come pure per sola mente potrà
attivarsi Politica e per il nostro destino umano, ogni politica praticabile!!!
Questa l’unica combinatoria giustificabile che accede al
“buono e al giusto” del diritto e della giustizia e consente che ricomprendendo
nella “politica potestativa” ciò che se
ne affranca, sempre ricorrendo alla “pretesa politica” attivabile sempre nell’ambito
del tempo della decisione/indecidente ci si ritroverà nostro malgrado.
L’affermarsi dello
stile autocoscienziale in riferimento alla possibilità permanentizzata
dell’errore che la dimensione etica essenziale richiama per propria decisiva
salvaguardia ha consentito che della economia come della politica e della
giustizia non ci sia più alcuna efficacia.
All’opposto di ogni radice della possibilità di errore la
trasformazione in impresa e imprenditorialità di ogni fattualità etica che
comporta la sopravvivenza ha dimostrato la sua completa disfatta. Paragonata al grado di efficacia economica
di ogni aggregazione umana qualsivoglia impresa, comunque organizzata e per
come si possa modernizzare rileva limiti insuperabili e inefficacie
pesantissime. Sia sul risultato
economico sia sui termini particolari del suo esercizio per lo spirito di
impresa, la ricchezza sarà sempre contro la povertà e rimarrà un ossimoro
insolubile; il lavoro contro l’abilità resterà altrettanto indecifrabile e
irrisolvibile; i beni naturali saranno costretti alla dimensione perenne dello
scarto; l’uso e la conservazione, in perenne contesa, fino a sovrapporsi e ad
annullarsi non avranno più una identità pratica.
La sintesi è drammatica. L’imprendere
e l’impresa hanno raggiunto il grado massimo di sviluppo e ormai costituiscono
di fronte al tessuto di reciprocità che le comunità ancora conservano una fonte
perenne di danno economico in qualsiasi campo si applichino. Le diseconomie
ripudiate sono le stesse economie che si avvalorano, ma non certo per
l’efficacia del sistema. Bensì per la capacità della comunità di sostenere la
logica dello scambio oltre la misura economica interna come acquisitiva ed
esterna come comparativa! E tutto questo sia in relazione alla capacità di
mantenere attiva la presenza di un bene naturale in qualsiasi stato questo si
presenti, sia per quanto riguarda la percezione diretta della ricaduta del bene
nelle comunità medesime!
Le comunità umane rappresentano
la soluzione. Nate per la sopravvivenza alla sopravvivenza dedicano la loro
stessa esistenza.
Nella specie etica ad es. il “femminicidio” non è altro che la
contestualizzazione all’oggi del “delitto d’onore”!!! Cambiano i codici di
riferimento alla colpa e alla redenzione, ma la materia etica resta ancora
oscura e maggiormente oscurata dalla evidenziabilità del fenomeno fatto passare
per nuovo, che se disegna la vittima e il colpevole non riconduce a nessuna
materia unitaria il fenomeno, figurarsi la sua essenzialità dinamica e la sua
contestualizzazione.
Resta così evidente come sia l’affermazione del “fenomeno
nuovo”, sia la “generalizzazione dei diritti nuovi”, che tra l’altro non si
capisce dove siano esercitabili se non in territorio difensivo, cautelativo,
dunque minore e circoscritto (e un diritto circoscritto non è altro che la
contraddizione della libertà che crede di sapere di se stessa, fino all’assurdo
del sapere o del non sapere di esercitarsi!!!) e dunque il sistema massimo di
riferimento, la cosiddetta democrazia liberale, viene a trovarsi completamente
compromesso pur non avendone nessuna intenzione, né mai alcuno avesse mai avuto
pretesa di osare tanto!!!
Questa la cella stretta
di Berlusconi. Da un lato reclama la democrazia che il… popolo votante gli
consegna, dall’altra, quale supremo principio di libertà non saprà mai dove
applicarla, come usarla!!! Visto che la democrazia come ogni altra forma di
dominio non accetta di essere divisa e compartimentabile a piacere o a comando.
Da ogni parte la democrazia sfugge, appare grandissima e si
dilegua ambigua; è ciò che continuamente auspichiamo in caso di impotenza, ma
essa stessa rifugge dall’esercizio diretto della forza, fino a depotenziare
ogni iniziativa, fino allo stesso spirito di impresa.
Invocarla per Berlusconi, dunque, un suicidio… annunciato,
obbligato. Non va oltre i confini della ripartizione… interessata a
comparazioni esterne mondiali delle bande di trasmissione televisive. Ma di
questo oscuramento della… democrazia nessuno parla e nessuno chiede!!! E…
mancando la democrazia la stessa impresa non sa dove applicarsi!!!
Bisognerà essere muti, sordi e inabili. Ma su questo la…
democrazia ha già lavorato.
Il “grado massimo di
politicizzazione” ottenuto da Berlusconi, di per sé non superabile, in nessuna
maniera è compensato/compensabile se non dall’abbassamento/elevazione dei
criteri di giudizio del… “popolo delle… libertà”. In altri termini, acquisito
“il grado… minimo di competenze e il grado massimo di presenza” il “giudizio
del… popolo delle libertà” sarà sempre disponibile e adeguatissimo. Tutti in
piazza e tutti a casa!!! Ma spinto in queste atmosfere il… “popolo delle…
libertà” non ritrova più e immediatamente gli appoggi dei quali si è sempre
servito. Ovvero non riconosce più “la propria antropologia”, dovendo
individuare il nemico nell’amico, il privato nel pubblico e… lasciamo perdere…
l’universale!!!
Dunque il “grado massimo di politicizzazione” raggiunto non
produce più nulla, non è più la leva efficace in grado di garantire l’agibilità
politica, la decisione politica. Capacità e forza ricercate, da tutta la
politica del “secolo breve” e precedenti nel “popolo delle… libertà” e giammai
nell’origine in atto dello Stato che impone a tutti riconoscimento e
reciprocità permanenti di ogni condizione, ovvero di ogni storicità che non ha
da poggiarsi sull’intero passato che la ha generata e che continua a generarla.
E forse bisogna dire che la contesa con il potere per il
dominio ha scelto la via facile della politicizzazione delle masse piuttosto
che la regola della giusta contestualizzazione. Ovvero la cultura piuttosto che
la politica… delle libertà e dei diritti uguali.
La nuova scoperta di Machiavelli che si deve a M. Viroli,
impone di ritenere che la fortuna e il tenere in politica valgano più
dell’occasione ricercata e dell’apprezzamento emotivo.
La “fortuna” in Machiavelli è la accettazione e lo studio
dell’errore etico quale portato permanente della decisione. Di quella
insopprimibile necessità dell’azione che nessuna “società civile” sarà in grado
di ordinare anticipatamente e la politica di parte orientare ideologicamente o
secondo lo spirito deficiente di impresa!!!
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