martedì 21 maggio 2013

Disoccupazione e crescita in Europa: un occhio alla Germania e cento al resto d'Europa e del Mondo




Nella mappa di sopra è visibile immediatamente dove gli effetti della crisi globale stanno determinando i più alti tassi di disoccupazione. L'Europa, in particolare gli Stati europei del Sud insieme ad Irlanda, alle Repubbliche Baltiche ed ad alcuni Stati dell'area Est (seppur per queste ultime due aree è comunque prevista una crescita della ricchezza prodotta), è il continente dove le politiche industriali e finanziarie non riescono a frenare l'impoverimento delle comunità.



Solo 5-7 anni fa la situazione era completamente ribaltata: la Germania e le aree di più diretta influenza germanica soffrivano tassi di disoccupazione uguali a quelli nostri, seppur non aggravati dagli altissimi tassi di disoccupazione giovanile che ormai sono incancreniti da parecchio tempo nell'Europa del Sud (con una leggera eccezione della Francia).

I tassi di crescita previsti nel 2013 e nel 2014 sono riprodotti nello schema che segue.



Pochi credono che i Paesi europei che attualmente non stanno soffrendo crisi produttive potranno reggere i riverberi degli effetti intra-europei della crisi così come si va determinando e consolidando in Europa o in parte di essa. I dati eurostat ci dicono che la stessa Germania sta frenando, anche se sappiamo dagli uffici statistici tedeschi che è in atto, anche dall'Italia, una nuova e massiccia immigrazione di forza-lavoro intellettuale (dalla sola Italia si dice che sia emigrati verso la Germania 40.000 laureati o comunque personale professionalmente specializzato).

A prima vista sembra che anche l'economia tedesca stia versando verso la recessione, seppur il mercato azionario non è convinto di questa evoluzione e sta investendo e gettando liquidità nel mercato borsistico germanico. Anzi, su la rivista Manager Magazin la società McKinsey (società, ad esempio, dove si è formato il banchiere Corrado Passera, ex ministro dello Sviluppo Economico del governo di Mario Monti) sostiene che la Germania va incontro ad un ventennio di crescita economica ad un tasso medio del 2,1% annuo fino al 2025.

Per i lettori di questo blog queste tesi previsionali non sono nuove, dato che avranno potuto leggerle in Tendenza Demografica Italiana e in Saremo più Poveri.

Come anche non sono nuove qui le parole tese a comprendere che la competitività delle imprese italiane non è collegata alla  bassa produttività di esse, ma a fattori di carattere più specificatamente politico che cominciano ad affacciarsi anche nel dibattito del sindacato e di ciò che è rimasto della sinistra italiana (vedi manifestazione della FIOM a Roma del 18 Maggio 2013.

Ad ogni modo per la Germania sembra prospettarsi un secondo miracolo economico, prodotto in gran parte da un ulteriore aumento dell'80% delle esportazioni. Il rapprto della McKinsey ritiene che l'euro sarà salvato, e che per i Paesi in difficoltà finanziaria saranno stanziati diversi miliardi di euro che però bypasseranno i governi e le istituzioni pubbliche per evitare "distorsioni" derivanti dalle procedure parlamentari e dagli "inquinamenti" clientelari del consenso. Certamente questo passerà attraverso la unificazione bancaria europea.

Il dato di fatto attuale è che comunque la crescita della Germania si è contratta del 1,4% al netto dell'inflazione, ed attualmente segna un modestissimo 0,1%.Di questo rallentamento i politici attribuiscono le responsabilità alle vacanze di Pasqua, ma i dati dei bilanci delle maggiori aziende tedesche indicano chiaramente una flessione nel 1° trimestre 2013 dell'0,8%. E le case produttrici di automobili stanno contenendo la crisi del mercato delle automobili europeo attraverso le massicce esportazioni in Cina, un declino che sui fatturati della BMW come della VW pesa per un minor 4%.

Se alcuni scrivono di un ventennio di crescita economica germanica, altri invece allarmano i mercati per il deterioramento delle condizioni finanziarie della Spagna, che è prevista essere a breve insolvente e con un debito pubblico che salirà dall'86% del 2012 al 110% del 2018. Il nostro italiano, in solo 1 anno, è cresciuto dal 120 al 130%, e certamente a fine 2013 toccherà quota 140%. E' chiaro che questo deterioramento finanziario di alcune aree europee produce dei riverberi sulle aree del Nord Europa, le quali debbono mandare giù questa pillola. Ma nel frattempo nel Regno Unito, che secondo fonti sempre della McKinsey detiene un debito fra privato e pubblico che sfiora il 500% del PIL, il partito UKIP e tutti i partiti indipendentisti del Regno Unito (come già avevamo allarmato stava accadendo fra la grande astensione elettorale sempre ogni volta crescente) cominciano ad inscenare da destra la guerra all'Europa e alla Germania, non ostante la sovranità monetaria sia  stata conservata dal Regno Unito che continua a battere la sua moneta, non facendo parte dell'area Euro.

Insomma, c'è un filo sottile che lega UK, USA, Italia, Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo, e non disdegno di vedere fra poco nel club anche la Polonia (appena visitata da premier Letta!), e questo filo si chiama bancarotta.
Dall'altra parte, con il termine austerità di fatto alcuni stanno dicendo che non è più possibile sostenere con il debito pubblico i blocchi sociali del consenso. E che seppur al club di sopra sembra affacciarsi anche la Francia (apertamente in recessione), dalle stampe russe si scrive chiaramente che il Reno non potrà essere oltrepassato, e che anche la Francia deve dismettere le politiche di spesa improduttiva ed inefficiente.


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