venerdì 26 aprile 2013

Ettore, Achille, il Cavallo, e...Letta?



Non coltiviamo qui certo l’inclinazione ad autocitarci, ma non possiamo non vedere che la rappresentazione del finale del nostro recente scontro elettorale già proposta come un duello tra Ettore (Bersani) e Achille (Berlusconi) appare proprio oggi ancora quanto mai calzante per continuare ad osservare anche l’attuale presente. Seguendo appunto ancora l’Iliade.

Perché se in quel duello vi era a ben vedere la sintesi dello stesso nostro risultato elettorale, adesso nella medesima immagine – e in quel che ne seguì nel racconto di Omero - pare potersi collocare ragionevolmente anche molto del nostro attuale presente politico nazionale entro similitudini efficaci.


Se ci ricordiamo come è andata, possiamo anche ritenere che lo scontro di Campagna elettorale ha effettivamente rievocato il duello decisivo tra Ettore ed Achille. Dal momento che sono stati proprio loro due, Bersani e Berlusconi, i veri duellanti per decidere a quel modo la sorte della città di Ilio assediata.
Berlusconi-Achille ritornava in campo dopo un lungo periodo di propria assenza sdegnata dai combattimenti e durante quella sua assenza la <guerra> risultava stesse intanto volgendo ormai a favore dei Troiani (Pd). Ma il suo ritorno in campo, di Achille, aveva rovesciato completamente la evoluzione del conflitto.
La sfida nel duello finale tra Ettore (Bersani) e Achille (Berlusconi) cristallizzava infatti sull’esito del loro scontro diretto l’esito stesso del lunghissimo conflitto.
 E non possiamo non vedere che la similitudine prosegue anche nella diretta vigilia del <duello>.

In quanto anche in questo nostro caso reale non risultano che siano mancati i molti che supplicavano Ettore-Bersani di non esporsi da solo a quell’impari duello esistenziale e su cui giocare tutto anche della sorte di moltissimi altri.


Ma il duello si svolge ugualmente, nell’Iliade come poi anche entro la nostra campagna ultima elettorale. Il nostro attuale Ettore-Bersani pare anche egli, come forse direbbe Omero, prigioniero di un destino già assegnato dal <Fato>; sebbene colmo di infausti presagi non può ritirarsi, e non può scappare. Perché era scritto e già tutto previsto che accadesse…

E come nell’Iliade, il nostro Ettore contemporaneo soccombe nel duello elettorale anche recente; e come nell’Iliade anche l’Achille di oggi maramaldeggia e impone, all’avversario già sconfitto, anche lo <scempio> di trainarne il corpo nei giri sotto la città di Troia attonita e sempre più sgomenta. Così potremmo raffigurarci infatti un incarico impotente a formare la presidenza del Consiglio; e la rovinosa designazione prima di Marini
 
www.wikipedia.org 
e poi Prodi a presidente della repubblica. Giro su giro come sotto le mura della città assediata….

Ma se non vogliamo arrestarci a questo punto, ecco che la similitudine con il finale della guerra di Troia pare ci assista ancora.

Ecco infatti che, dinanzi alla città già sgomenta per l’esito dello stesso duello che aveva visto soccombere il proprio campione, compare anche l’inganno del Cavallo. E chi può essere il nostro astuto Ulisse che prova a prendere alfine la città assediata con l’inganno del Cavallo?


Su questo ruolo non paiono esserci poi molti dubbi, se seguiamo il dipanarsi delle possibili analogie tra il Poema antico e la nostra vicenda politica attuale recente. Infatti, il nostro Ulisse pare spetti proprio a Grillo. Il quale Grillo appare aver costruito, con la candidatura di Rodotà, proprio il Cavallo ingannevole che avrebbero dovuto condurre alfine gli assedianti all’interno delle mura della città <nemica>.
Per inciso, se il nostro Ulisse fosse Grillo, allora auguri ai suoi tentativi racamboleschi che l’attenderebbero per ritornare a <casa> dopo un decennio di peripezie e vagabondaggi.


Ad ogni modo, tornando così al nostro Cavallo

anche nella nostra politica reale recente paiono comparire tanti che, come i Troiani antichi, nel vederlo apparire sostengono anche vivacemente che quel Cavallo così <inerme> sia in realtà un pericolo; mentre altri, molto più numerosi, sostengono che sia, al contrario, solo un gesto di omaggio e di pace da parte dei Greci assedianti e che si sono già intanto ritirati lasciandosi dietro quel dono …

Il resto è noto. Sia nel poema epico di Omero, come nella nostra vicenda politica recente.
Il Cavallo di Troia verrà infatti condotto all’interno della città ignara di quel che già l’attende e spera invece di aver anche visto la fine del terribile assedio.

Come finì, si sa. Il Poema di Omero.
Nella notte, il Cavallo si apre, pare raccontasse Omero. E Greci armatissimi dilagano per la città alfine abbandonatasi al sonno senza diffidenza.
I Troiani non riescono ad arginare l’inatteso assalto dall’interno. E che trova rinforzo nelle stesse Forze assedianti improvvisamente ricomparse sotto le mura divelte per precipitarsi dentro. Troia verrà messa a ferro e fuoco sia dagli occupanti il Cavallo, sia dagli altri Greci ricomparsi in massa a invaderla in armi.

Ma il racconto epico non finiva qui, per quanto sommariamente ricordato.

L’anziano re Priamo, si ritirerà sin nell’acropoli sulla sommità della città già persa, assieme a famigli e dignitari supersiti. Per tentare una estrema quanto improbabile difesa.

E Paride, l’altro personaggio centrale, in questa epopea nostrana a chi potrebbe calzare eventualmente come personaggio? 

A prima sensazione, questo ruolo di coprotagonista nella rovina di Troia-Pd parrebbe spettare proprio a Paride-Renzi…

Quanto alla <Elena> che avrebbe travolto prima Paride e poi la stessa intera Troia, appare azzardato farne sul presente una attribuzione certa. Così ché al momento ci limitiamo a propendere anche nell’attuale per una <Elena> decisiva non meno dell’antica quanto tuttora rimasta però coperta….


Ed anche il resto lo si sa, da Omero.
Cade alfine in mano ai Greci anche la Rocca della estrema difesa tentata a Troia. Tutti annientati i nobili di Troia sconfitta? Non proprio.
Di uno si dice che si salvi: Enea. Caricandosi sulle spalle l’anziano <padre> e riuscendo a fuggire sino a prendere il mare con pochissimi amici   di un tempo.



Ma chi potrebbe essere l’Enea attuale, se vogliamo spingere la similitudine sino a quel finale? Letta?
Una cosa appare però certa. Anche il nostro attuale Letta, come già Enea, non risulta un passante. Ma un principe di sangue della stessa oligarchia troiana trovatasi sotto assedio sin sull’Acropoli.

E che sia un <principe di sangue> lo si deduce già dal curriculum del nostro attuale Letta mentre si colloca anche egli entro il mito antico:
-       nel 1991 è presidente dei giovani democristiani europei;
-       nel 1993 è capo della segreteria dell’allora ministro degli esteri Andreatta;
-       nel 1996 è al ministero del Tesoro come segretario generale del Comitato per l’euro;
-       dal gennaio 1997 al novembre 1998 è vicesegretario del partito popolare;
-       nel 1998 è ministro alle politiche comunitarie nel governo Dalema;
-       rimane ministro allo stesso dicastero, aggiungendo alle proprie competenze il Commercio estero, anche nel successivo governo Amato:
-       tra il maggio del 2006 e il maggio 2008 è sottosegretario alla presidenza del consiglio nel governo Prodi;
-       nel 2009 si ritrova vicesegretario del Pd;
e inoltre
-       è vicepresidente dell’Aspen Institute Italia, presieduto da Giulio Tremonti ( tra i vicepresidenti onorari ci sono Giuliano Amato e Cesare Romiti;
-       è segretario generale dell’Arel;
-       ha attivato due sue associazioni: il <think-net>VeDrò (2005) e TrecentoSessanta (2007);
(dati tratti dal Corriere della Sera del 25 aprile c.a pag.5 di Paolo Conti e Giuseppe Sarcina)

Con un notabilato come questo, comunque già appare intanto evidente come l’Ettore-Bersani, al confronto, appare soltanto quel che era ed è: un principe guerriero…


Qui ci fermiamo perché non sappiamo, ne tantomeno intendiamo profetizzare. 
Il prossimo ravvicinatissimo nostro futuro reale si incaricherà di evidenziare se tante possibili similitudini si siano interrotte con l’introduzione del Cavallo entro la città assediata e col rifugiarsi del vecchio Re, con la sua intera corte e familiari, sulla sommità della Acropoli mentre Troia intanto brucia.
Più oltre non andiamo a vedere l’infelice Troia messa a dura prova dopo l’infausto esito del duello del proprio campione con Achille; l’ammissione al proprio interno del Cavallo; e l’irruzione degli altri Greci mentre i dignitari di Troia scappano entro l’ultima sperata difesa della Rocca interna. Affidandosi tutti ai propri Lari ed al vecchio re Priamo.


Se però ritenessimo di voler tornare al nostro presente attuale questa volta senza alcuna similitudine diversa, una <lancia> la vorremmo spezzare a favore del nostro vero Bersani. 
Da molti dei melliflui adulatori precedenti, già oggi provato a trasformare in uno <sprovveduto> causa proprio per questo di tutti i guai della propria parte politica.
Giudizio che appare a chi scrive infondato, a prescindere dal merito delle politiche che Bersani abbia perseguito, quanto ingeneroso. Come spesso tuttavia capita ai perdenti. Di venir irrisi anche dai precedenti troppo prima compiacenti.

La politica perseguita da Bersani in questo ultimo arco di tempo 2011-2013 – tutto appare infatti meno che improvvisata. E tanto meno sprovveduta. Condivisibile o meno questo è tutt’altra cosa. Ma di certo una strategia politica risultata lucida e più che determinata.
Apparsa riassumibile nell’intenzione di portare sé stesso alla presidenza del consiglio e contemporaneamente rinnovare un decennio di supremazia del Pd a trazione post-pci (di rito emiliano) tra le varie caste della politica attuale italiana.

Eccolo forse il primo vero limite dello stesso disegno complessivo di Bersani:
aver pensato di poter divenire lui il Carlo Magno che avrebbe sottomesso i feudataari del regno ad un suo lucido progetto.  E non, invece, magari proporsi lui come il Rinnovatore capace di condurre la nazione intera fuori dalle Caste.

Il disegno di Bersani pare ancorarsi ad un punto fermo basilare: la Legge elettorale attuale non va toccata perché solo tramite questa diverrebbe possibile consegnare il Parlamento, e quindi – in diretta conseguenza -  la presidenza della Camera, del Senato, del consiglio dei ministri, e della Repubblica, alla ritenuta più forte minoranza politica italiana: quella sperata appunto del suo stesso Pd.
Appare del tutto evidente infatti che, senza Porcellum, e lo smisurato folle premio che esso tuttora prevede, una minoranza elettorale, quale era e sarebbe comunque rimasto anche il Pd, non avrebbe mai potuto nemmeno immaginare una simile propria scalata entro l’intero asse delle Istituzioni italiane.
E che non si tratti di mere congetture queste, si sarebbero incaricato di dimostrarlo proprio le stesse dichiarazioni ultimative di Bersani  allorchè Pdl, Fini e Casini e Monti, nell’estate del 2012,  parevano essersi accordati per portare al 42,5%  la soglia di accesso al Premio elettorale dei voti conseguiti. Andandosi a sfogliare la raccolta del Corriere della Sera dell’estate di quel 2012, risulta infatti possibile trovarvi in una pagina interna della cronaca politica nazionale che si apre all’incirca titolando su una perentoria dichiarazione attribuita dal giornale a Bersani (anche se citato a memoria adesso) . E che si riassumeva in : Via la soglia, o sarà la crisi di governo.

E si capisce bene perché Bersani giungesse a minacciare persino la crisi del governo Monti se si fosse alzata la soglia per poter ottenere il premio elettorale: basta osservare infatti il successivo risultato elettorale vero per comprendere che il Pd non avrebbe mai superato con i voti conseguiti quella fatidica soglia che era stata paventata. Si capisce dunque altrettanto bene che senza il controllo di entrambe le Camere parlamentari, conquistabile appunto solo grazie al premio senza soglia di alcun tipo, l’intera strategia di Bersani pare si sarebbe arenata. Per ritrovarsi come uno dei tre possibili soggetti destinati ad una alleanza obbligata almeno con un altro dei partiti presenti in parlamento.

Bersani tuttavia riesce ad evitare la introduzione della <soglia> di accesso al premio elettorale. Il Porcellum rimane pertanto come era ed è. Il suo progetto può restare attuabile. E a quel punto Bersani si lancia nella sua apparente apertura delle primarie per la scelta del candidato premier del Pd. Apertura risultata apparente, in quanto Renzi, il competitore più pericoloso potenziale, viene fatto correre ( e però lui lo accetta!) con le gambe legate. Tramite le cosiddette <regole> imposte dallo stesso Bersani e che sostanzialmente di fatto circoscrivono i potenziali elettori a chi già fosse apertamente sostenitore del Pd. Nonostante questo Renzi giunge a ridosso del segretario come suo risultato, così imponendogli il secondo turno di ballottaggio.
Ma qui le <regole> prendono letteralmente il collo di Renzi col capestro: ora possono infatti votare soltanto chi lo ha già fatto al primo turno di primarie. Renzi è già fritto a questo punto. Non potrà infatti più sperare in aiuti di nuovi elettori impossibilitati ad accedere al voto in suo soccorso, mentre su Bersani confluiscono i tre altri apparenti suoi precedenti sfidanti ma in realtà ben solidi alleati (Vendola, Puppato, Tabacci).

Bersani vince e si pone da solo in testa la corona di unico incontrastato candidato premier del Pd.
La corsa delle primarie rimarrà solo una immagine di bon ton dentro il partito e senza effetti più concreti? Per niente. Bersani ne incassa una poderosa sovraesposizione mediatica preelettorale sua ed anche del Pd. Ed inoltre Renzi, assolverà, anche per Bersani, il ruolo di <boia> gratuito verso numerosi capicorrente interni. Risultati infatti – questi ultimi - decimati, o quantomeno in molti altri indeboliti a esporsi, dalla crociata <rottamatrice> del sindaco di Firenze. In pratica, Renzi demolisce nidi di oligarchi interni, e Bersani se ne rafforza nel partito senza doversi battere.

A quel punto Bersani lancia le <primarie per le liste elettorali>. Sarà una <privatissima> corsa in famiglia tra Natale Santo Stefano di fatto riservata a militanti e iscritti. Ma dal grande risultato per Bersani: la formazione delle Liste (che poi a Liste bloccate coincide con la scelta dei futuri deputati) viene tolta dalle mani degli Oligarchi interni e finisce nelle mani del controllo degli apparati di partito a loro volta prevalentemente controllati dal Bersani Segretario del medesimo partito).

Sino a questo momento la corsa di Bersani appare determinata, quanto priva di errori.
Ha fatto fuori Renzi ma apparendo democratico ed aperto; Renzi gli ha eliminato o indebolito gli oligarchi interni permettendogli di preparare una LISTA DI FUTURI DEPUTATI caratterizzati in prevalenza alla sua obbedienza.

La <gioiosa> astuta macchina appare così ora pronta allo scontro elettorale vero.

Bersani è il candidato a premier del proprio partito, e parte, come prima mossa, annunciando in Tv reiteratamente, sollecitatovi anche da Vendola, una <patrimonialetta> ulteriore sulla casa per finanziare qualche <equità> diversa.
L’errore risulterà mortale, per le ambizioni di Bersani, quando il capo del Pdl Berlusconi lo infilerà in contropiede caratterizzando la sua intera campagna elettorale sulla abolizione di ogni tassa sopra la casa.

La sorte anche della campagna elettorale successiva risulterà segnata. Perché, Bersani, già prima predestinato da troppi a naturale vincitore nelle urne, in realtà ne condurrà il finale con l’angoscioso assillo crescente di non venire battuto da Berlusconi in rimonta. E con l’angoscia che si viene facendo sempre più concreta di poter comunque ritrovarsi a perdere la agognata maggioranza parlamentare al Senato.

L‘apertura delle urne rivelerà l’incubo di Bersani più che fondato.
Maggioranza bulgara alla Camera rubata con il premio consueto smodato allucinato. Ma, al Senato, la truffa bis elettorale questa volta si inceppa; per la presenza di troppi concorrenti a prendersi i premi elettorali previsti ad assegnazioni regionali.

Conclusione?
Bersani si ritrova con larghissima sua maggioranza alla Camera; ma non controlla, da solo, la maggioranza anche del Senato.
Di conseguenza, il suo disegno di Primo ministro appare essersi azzoppato. O almeno, alquanto complicato. Bisogna infatti <fabbricarsi> adesso una qualche maggioranza anche al Senato. Ma qui bisogna fare i conti con un Nuovo Arrivato: Grillo ed il suo Movimento 5 Stelle che schiera adesso un notevole mucchietto di propri parlamentari  a Camera e Senato.

Bersani tuttavia risulta che non si perde di coraggio: per settimane, senza posa, blandisce, minaccia, coccola, il Movimento 5 Stelle perché gli conceda di fare maggioranza anche al Senato. Tutto intero, o magari anche con una sua sola scheggia parlamentare sufficiente.

Sarebbe riuscito Bersani a valicare queste Colonne d’Ercole, conseguendo per un suo governo maggioranza parlamentare anche al Senato?
Da Grillo doveva passare, comunque. Essendosi precluso i voti del Pdl, che pure glieli offre. Ma Bersani non poteva accettare di fare il governo proprio con l’avversario che intendeva sbancare sin dall’inizio.   Dunque, per forza rigetta le avance Pdl ed insegue disperatamente Grillo.

L’esito definitivo di questo così inevitabile passaggio di Bersani attraverso le Forche Caudine di Grillo non sarà però mai noto.
Perché intanto Bersani, a diretta conseguenza della sua vittoria <mutilata> elettorale, si sarebbe scontrato con l’ostacolo maggiore verso i suoi disegni: il Presidente della Repubblica in carica.
Questo ultimo avrebbe infatti negato senza scampo a Bersani di poter fare un suo Governo potenzialmente di minoranza con cui andare in Parlamento e per cercarsi lì i voti al momento ancora mancanti per la fiducia anche al Senato. O, se non vi fosse riuscito, condurre lui stesso – Bersani – direttamente il Paese alle urne dopo nuovo scioglimento del parlamento.

Ma qui Bersani doveva trovare appunto un muro. Quel medesimo muro dove si sarebbero alfine infrante sia le sue speranze che il suo complessivo disegno.
Il presidente della Repubblica gli negherà, infatti, per quanto insistesse Bersani, la facoltà di recarsi dinanzi alle Camere anche se potenzialmente senza una sua  maggioranza certa.
E di contro, lo inchioderà ad un mandato delimitato al dover certificare la preesistenza di una propria maggioranza certa di governo.

I voti del Pdl Bersani li rifiutava; Grillo negava a Bersani di prevedere una maggioranza di governo assieme. Bersani finiva nel tritacarne del mandato vincolato risultato al momento inevadibile da parte sua.
Tanto che si passava, archiviando momentaneamente la questione della formazione del governo, ad assolvere, per prima, la rielezione del Presidente della Repubblica ormai giunto in scadenza.


Bersani si arrende?
Neanche per idea. Mentre risulta convinto che, se porterà a casa un nuovo Presidente della Repubblica <amico>, gli verrà concesso di andare a cercarsi una maggioranza di governo direttamente in parlamento o comunque di poter ritornare lui alle elezioni come capo di governo anche senza fiducia. Ed è forse proprio per          questo che risulta spingere la propria prova di forza col capo dello Stato sino a non riconsegnargli l’incarico sebbene rimasto non espletato. Come dire, è da qui che si riparte dopo aver sistemato il Colle…


Parte dunque la corsa a tappe per il Quirinale.
Bersani spara un candidato secco, apparentemente d’intesa col Pdl di Berlusconi: MARINI.
Candidato che tuttavia apparirà travolto al primo lancio dai franchi tiratori del Pd e istantaneamente ritirato.
Un’incidente dentro un rovesciamento di strategia di Bersani? Oggi pare potersi dire che piuttosto costituisse una vittima sacrificale da dare intenzionalmente in pasto alla propria opposizione interna di partito e quale propria dimostrazione di buona volontà impotente a mantenerla quella scelta.
Un testimone involontario che tale fosse la sua effettiva scelta mantenuta coperta? Le dichiarazioni della sua stessa portavoce che candidamente avrebbe dichiarato anche prima del voto che lei non avrebbe votato Marini. E senza venire per questo immediatamente revocata dall’incarico.

Oggi, pare potersi dire infatti che, la vera candidatura di Bersani, da sempre, risultasse in realtà quella di PRODI.
Prodi che viene lanciato infatti immediatamente dopo in pista da Bersani come candidato a presidente della Repubblica del Pd al posto di Marini che per questo viene abbandonato all’istante.
Cosa lascia dedurre che quella di Prodi fosse da sempre la vera candidatura di Bersani per la Presidenza della Repubblica?
Il comizio di chiusura di campagna elettorale fatto da Bersani a Milano.
In quella serata, sale infatti sul palco accanto a Bersani, ad apparente sorpresa, proprio Romano Prodi. L’asse politico effettivo appare proclamato, tra entrambi. Ti puoi fregiare anche del mio appoggio politico alle elezioni, e… poi mi candiderai al Colle come convenuto…

Ma oramai, per Bersani, era iniziata la sua serie <orribilis>: al primo colpo, Prodi, verrà massacrato da un’ondata di oltre cento franchi tiratori del Pd. I quali, forse, e contemporaneamente, presentano anche in questo modo il conto complessivo al Segretario Bersani delle loro emarginazioni in essere e prospettiche.

In pratica, all’ultimo passaggio decisivo, il Pd risulta essersi ribellato al proprio segretario Bersani che crolla infatti assieme al suo candidato al Colle. Dietro alla sconfitta di Prodi si dimette infatti, quasi in contemporanea, anche Bersani da Segretario del Pd.

La strategia di Bersani è ora definitivamente saltata.
Sulla doppia sanzione a suo danno del presidente della Repubblica e del suo steso partito.

Molti si sono interrogati perché Bersani non abbia accolto la candidatura di Rodotà offertagli intanto da Grillo per venire condivisa.
Probabilmente la risposta appare una soltanto, ed anche logica. Bersani quella altrui candidatura non la poteva accettare. Sarebbe altrimenti saltato infatti tutto lo schema complessivo ipotizzato, e che, tramite Prodi al Quirinale, avrebbe dovuto consegnare l’Italia ad una gestione mono Pd.
Ed uno schema politico simile, su cui si era tutto investito sino ad allora da Bersani, non poteva prevedere subordinate di condivisione con altri pena di venire abbandonato.

Bersani dunque appare quantomeno estremamente coerente nelle sue condotte: aveva tutto finalizzato alla costruzione di un <decennio> Pd di gestione del Paese. E sulla contemporanea demolizione del Pdl da rendere intanto <orfano> di Berlusconi in un modo o nell’altro. Questo disegno eventuale si sarebbe inesorabilmente perso anche condividendo la Presidenza della Repubblica con Grillo. Perché, a quel punto, rischiava di aprirsi un settennato 5 Stelle, invece che mono Pd.
E che alla fine, entro i paletti posti dal Presidente della Repubblica, Bersani sia caduto dentro un <complotto> di partito, lo avrebbe dimostrato anche la relativa calma con cui quel medesimo partito ormai tornato saldamente sotto controllo agli oligarchi di sempre (ruolo di possibili oligarchi interni che non ha niente a vedere con l’età anagrafica degli interessati) si sarebbe adattato alla giravolta di 360 gradi sulla propria politica precedente. Cioè accettare una alleanza di governo con il Pdl di Berlusconi; proprio quella che Bersani aveva sempre rifiutato. E lo accettava, adesso il Pd, e proprio con il già vice di Bersani alla segreteria, perché probabilmente riteneva ormai definitivamente sconfitto il tentativo di un decennio venturo ad esclusiva egemonia Pd.

Ed è sulla resa di un <sogno> troppo ristretto per la sua enormità, che si potrebbe infatti dire oggi: e venne LETTA.
Mentre la città di Troia in fiamme cerca intanto di salvare quel che può della sua stessa Casta regnante raccoltasi attorno a re Priamo.

Letta, appunto incaricato di condividere. Già, condividere ma cosa?
La restaurazione fuori tempo massimo di un regime minoritario ormai assediato anche dall’elettorato; o condividere, appunto, la archiviazione di questo medesimo regime senza consenso ed avviarsi, tutti, verso la sovranità effettiva di un voto elettorale reso nuovamente libero e sovrano e sollecitato attorno a Programmi alternativi tra di essi e lealmente esposti?

Neanche questo appare dato di saperlo sin da ora.
Se Letta risulterà l’ultimo degli oligarchi precedenti, incaricato di chiudere la porta, ed affacciarsi verso il nuovo mondo; o se risulterà soltanto l’oligarca più presentabile incaricato di riparare l’immagine deturpata di una politica economico sociale che però nella sua sostanza non cambi.

E’ questo che in fondo si leggerà nel prossimo ed immediato anche nostro futuro.
Il farlo oggi, apparirebbe infatti una prevenzione, o, al contrario, una illusione.


Concludendo questa ricognizione che potrebbe anche apparire irrituale per le qualificate opinioni mediatiche prevalenti, potremmo ancora dirci un ulteriore perché di quella similitudine qui evocata già all’inizio con l’Iliade e ripresa poi alla stessa conclusione.
Appare esservi un fatto grande ulteriore che sembra avvicinare le vicende attuali politiche nostre al grande Poema di Omero.
Cosa appare infatti completamente assente nell’Iliade in tutta la sua narrazione epica? IL POPOLO.
Nell’intera Iliade il popolo non risulta comparire mai. E’ assente, irrilevante. In quella che rimane la narrazione di un’epica lunghissima feroce  lotta tra Dei, Principi, Re, ed Eroi guerrieri. La scena e la storia è tutta e solo loro.
Il Regno di Troia aveva un popolo che abitasse quelle stesse terre? Non si sa, irrilevante alla narrazione.
Il Regno di Troia aveva un popolo che soffriva o amava quella grande interminabile rovinosa disfida? Non si sa, irrilevante alla narrazione.

Diciamoci la verità: ma non appare la medesima angolazione della battaglia politica italiana ancora oggi? 
Anche qui, non dovremmo dire: e il popolo, con le sue passioni e bisogni vitali, dove sta?
Non si sa, irrilevante alla narrazione. Almeno per ora.

Speriamo che il popolo, cioè tutti noi, torni quantoprima. Con le proprie speranze e con i propri leciti sogni ed irrinunciabili esigenze.  Almeno nel nostro presente.



n.b.
tutte le immagini riportate provengono dal sito: www.wikipedia.org. che per questo si ringrazia






Nessun commento: