mercoledì 17 ottobre 2012

PER CONTO LORO - Intervista a Alberto Grolla realizzata da Barbara Bertoncin - UNA CITTA' n° 197




Una ditta padovana che fallisce e gli operai che, costituitisi in cooperativa, prima la prendono in affitto per un anno e poi, con l'anticipo della mobilità, decidono di acquistarla; le discussioni, le preoccupazioni delle famiglie, ma anche la necessità, nel passare da dipendente a socio, di cambiare mentalità; la crisi del settore della modelleria dove da anni, di fatto, si lavora solo per l'estero; un distretto, quello padovano, nato dai dipendenti dell’originaria modelleria che si misero in proprio. Intervista ad Alberto Grolla, che trovate sulla rivista UNA CITTA' n° 197 appena uscita in edicola e libreria.



Nel 2010 la modelleria "Quadrifoglio” di Vigodarzere (Padova) è stata chiusa in seguito a fallimento. Negli stessi mesi gli ex lavoratori si cono costituiti nella cooperativa D&C Modelleria e dopo un anno d’affitto d’impresa hanno rilevato le attività della ditta. Alberto Grolla, già dipendente della vecchia azienda, è consigliere d’amministrazione della nuova cooperativa.

Partiamo dalla storia della vecchia azienda…
Il fallimento è arrivato a maggio 2010. L’azienda era stata fondata quaranta e passa anni fa da quattro soci che sono rimasti dentro l’azienda come proprietari fino al 2006, quando hanno venduto a un’altra società che era una specie di completamento della modelleria, nel senso che faceva la prototipazione rapida ed era inserita nelle fonderie. Sembrava un buon modo di allargare e loro sono rimasti in società per un paio d’anni come dipendenti. Poi il nuovo padrone, nel giugno del 2009, ha venduto la modelleria ad una società di stranieri, egiziani.
Alla fine l’azienda è fallita per tutta una serie di motivi fra cui un’amministrazione un po’ allegra, ma fondamentalmente perché uno dei creditori, che tra l’altro vantava un credito ancora dai tempi del precedente acquirente, ha chiesto il pignoramento dei conti correnti. Per cui non c’è stato più modo di operare. A quel punto i nuovi proprietari sono spariti, proprio da un giorno all’altro…
Ma voi avevate avuto avvisaglie che le cose stavano andando male?
Sì, un po’ ce lo aspettavamo, perché avevano un modo di operare poco chiaro. Infatti, poi abbiamo saputo dal curatore che non pagavano i contributi, non avevano versato l’Iva... Non hanno mai fatto un f24.
I contributi poi li avete recuperati?
Beh, sì, quando c’è il fallimento poi l’Inps li mette.
Ma l’Inps non se n’era accorta?
Sì, arrivavano anche delle raccomandate, però prima che la cosa diventi penale o comunque perseguibile, credo debbano passare due anni.
Così siamo rimasti un po’ in un limbo in attesa di sviluppi. Siamo stati messi in cassa integrazione straordinaria per due mesi e poi abbiamo chiesto la mobilità volontaria. Avendo costituito una cooperativa e avendo fatto domanda al curatore di formare questa società, non potevamo restare dipendenti della vecchia "Quadrifoglio”, per cui abbiamo deciso di metterci in mobilità e poi, con l’anticipo della mobilità, che si può fare proprio per costituire il capitale sociale, siamo partiti insomma...
Ma la mobilità immagino non fosse una cifra...
Beh, tieni conto che un anno di mobilità sono circa 9000 euro (quindi 18.000 per chi ne ha due, 27.000 per chi ne ha tre) e che in dieci hanno chiesto l’anticipo. In pratica, se si inizia una nuova attività, lo Stato prevede la possibilità di richiederla tutta insieme anziché erogarla in 800 euro al mese per tot tempo.
La logica è che se uno non inizia un altro lavoro, comunque resta in mobilità; se in mobilità viene assunto da un’altra azienda, ci sono gli sgravi fiscali; se uno invece decide di mettersi in proprio per fare, che so, l’artigiano o l’elettricista, ecco che può chiedere l’anticipo della mobilità per iniziare l’attività, per cui lo Stato, i soldi che gli darebbe un po’ alla volta, glieli anticipa tutti insieme. "Anticipa” per modo di dire visto che è passato quasi un anno, però almeno sapevamo che c’erano.
Siete partiti in dieci?
Dieci soci. Prima che l’azienda fallisse eravamo in sedici dipendenti. Dopo il fallimento, dieci degli ex dipendenti sono entrati direttamente come soci, due sono stati assunti come dipendenti, poi si sono associati anche loro, per cui, attualmente, siamo dodici soci, due dipendenti e un collaboratore.
Immagino ci siano state discussioni tra di voi, perché, comunque, si trattava di assumersi un grosso rischio...
Beh sì, abbiamo passato dei mesi di grande incertezza. Da maggio fino alla fine di luglio, ci trovavamo una volta la settimana ma senza mai deciderci, tant’è che a un certo punto ho proposto di rifletterci meglio, perché vedevo una certa leggerezza nell’affrontare la cosa. Insomma, per me era un impegno non indifferente, tant’è che poi io non ho chiesto l’anticipo della mobilità perché mi avrebbe vincolato per due anni a rimanere dentro quella società o comunque a non poter essere assunto come dipendente da altre parti senza aver prima ridato indietro l’anticipo.
Alla fine però c’è stata una svolta e tutti hanno preso più seriamente la cosa... Così siamo partiti. Per un anno abbiamo fatto un contratto di affitto d’azienda con una proposta irrevocabile di acquisto.
La stima del curatore è stata un po’ spropositata, ma se non altro il ricavato andava a ricoprire anche i nostri crediti, che comunque erano parecchi, perché tra tfr e stipendi arretrati, era una cifra di un certo rilievo...
Che avete reinvestito?
Sì, praticamente. Ma per il momento abbiamo avuto solo l’anticipo dell’Inps. Anche lì le procedure sono veramente fastidiose...
Cioè?
L’Inps ci ha dato il tfr e l’80% delle mensilità, fino ad un massimo di tot al mese. O meglio, l’Inps ce li ha dati a noi e noi li abbiamo versati in banca. A quel punto la banca deve comunicare all’Inps che noi abbiamo versato e che i soldi sono stati incassati. Dopodiché l’Inps deve insinuarsi nel fallimento e solo dopo essersi insinuata, il curatore può eventualmente pensare di fare un riparto della differenza, ma neanche tutto, fino a circa un 70%, perché deve aspettare la chiusura del fallimento per liquidare i primi creditori... L’iter non è ancora chiuso. Speriamo di recuperare quello che resta entro fine anno.
Ma sono entrati altri capitali oltre a quelli delle vostre mobilità?
Sì, abbiamo usato un fondo delle cooperative che ha raddoppiato il capitale che noi abbiamo messo.
Ma era un prestito?
No, loro sono entrati come soci...
Quindi sono tuttora soci?
Sono tuttora soci. Loro hanno messo 250.000, noi ne abbiamo messi un po’ di più. Poi abbiamo fatto un finanziamento, con Cfi, uno strumento sempre delle cooperative, di altri 150.000 a un buon tasso.
Coopfond invece è entrata e se ci sono utili può vantare circa il 4% di interessi sul capitale. Siccome utili, in questo periodo, è difficile farli, io penso che, a parte restituire la cifra, non credo che andremo molto lontano. L’anno scorso abbiamo fatto 13.000 euro su poco più di un milione di fatturato.
Avete assunto qualcuno?
Abbiamo assunto due dipendenti, un amministrativo e uno in produzione, un extracomunitario che veniva sempre dal mondo delle modellerie; era in mobilità anche lui perché era fallita la modelleria dove lavorava.
Ma le vostre mogli cosa dicevano?
Mah, ti dirò che mia moglie fino all’ultimo ha detto: "Cerca qualcos’altro!”. E, in effetti, io ho anche cercato qualcos’altro per un po’. Penso che sia anche normale cercare un buon lavoro: ognuno si vende meglio che può. Però poi, insomma, ho visto che le cose cominciavano ad andare. Quindi sono rimasto anche se lo stipendio si è ridotto di parecchio...
Cioè come soci lavoratori prendete meno che prima come dipendenti?
Sì. Gli stipendi più bassi li abbiamo lasciati fermi o addirittura qualcuno lo abbiamo leggermente alzato, fino ad un minimo che ci sembrava dignitoso. Gli stipendi più alti, invece...
Lo stipendio più basso quant’è?
Intorno ai mille e qualcosa, il più alto è intorno ai 1500 euro...
E prima?
2500 euro.
Ma tu, per esempio, quanto prendevi?
Io prendevo 2000 euro, adesso ne prendo 1400 e qualcosa. Eh, sì, un cambiamento notevole... Abbiamo assegnato un premio prima delle vacanze, a luglio, per conguagliare un attimo ‘sta cosa. Per ora però le cose stanno così.
Adesso dovete decidere voi quanto darvi, quindi...
Beh, ma non è che decidiamo noi... decide il bilancio. Al momento un aumento di stipendio sarebbe una spesa fissa che poi devi andare a coprire.
Adesso stiamo facendo delle valutazioni, penso che coinvolgeremo anche il sindacato da questo punto di vista, perché vogliamo essere giusti nei confronti dei dipendenti... Se alcuni dipendenti svolgono delle mansioni superiori a quello che effettivamente abbiamo riconosciuto come contratto, lì dobbiamo fare una valutazione seria col sindacato e mettere a posto le cose perché un domani magari uno può litigare per un qualsiasi motivo e...
Quanti siete nel Cda?
Tre. C’è Simone, Loris, e ci sono io. Ovviamente il Cda ha rinunciato al compenso di amministratore.
Passando da dipendenti a soci, è cambiata anche un po’ la mentalità?
Certo, dovrebbe cambiare e indubbiamente cambia, anche per un gioco di forze. In realtà, pur essendo soci, c’è il socio che è rimasto più dipendente e il socio che ha più preso a cuore la società e quindi risponde in maniera diversa. È abbastanza fisiologico e normale. Ognuno mette quello che può, anche come carattere, capacità. Insomma non è che si può pretendere da tutti in egual misura, ognuno dà quello che ha, dopodiché ovviamente ha un ruolo e un compenso in base alle capacità, come è normale che sia in tutte le aziende.
La cooperativa non è diversa. Non avrebbe senso, insomma, è un’azienda come tutte le altre, dove però, diciamo, c’è lo strumento dell’assemblea che è importante perché in quella sede si può anche discutere e lì sì che si è tutti un po’ allo stesso livello. Però è chiaro che nella gestione delle cose sarebbe un casino tremendo se tutti potessero decidere. La realtà è che l’azienda resta quello che era prima, da un punto di vista lavorativo. Cioè, se tu sei disegnatore, fai il disegnatore, se uno è commerciale, fa il commerciale, se uno è responsabile di un reparto, fa il responsabile di un reparto, chi è sotto quel responsabile fa esattamente quello che fa un qualsiasi operaio in qualsiasi azienda, cioè fa quello che gli dice il responsabile. Punto. Poi c’è l’assemblea dove si è tutti soci e si ragiona.
Non c’è un po’ di schizofrenia nell’essere socio e dipendente allo stesso tempo?
Non è semplice, soprattutto per chi si sente più socio e meno dipendente. A volte penso che sia un bene che siamo in pochi a occuparcene, se fossimo di più forse verrebbero fuori dei problemi. Alla fine siamo un nucleo di soci che portano avanti l’azienda. Agli altri soci, che, insomma, non vogliono più responsabilità di quella di fare il proprio lavoro, sta bene così. D’altronde troppe teste sono difficili da gestire, si creerebbero dei conflitti.
Comunque in effetti c’è stata una difficoltà iniziale di ritrovare un po’ un equilibrio e di capire effettivamente che cosa vuol dire essere soci. Un’azienda ha delle regole diverse, non è come la gestione dei soldi che fai a casa, dove hai entrate e uscite. Un’azienda è un animale un po’ più complesso. Per dire, in certi momenti, pur essendo in difficoltà, può avere senso investire. Noi adesso stiamo valutando l’acquisto di un immobile, perché qui siamo in affitto e la proprietà cerca chi lo compra. Ovviamente per comprare bisogna trovare le risorse, impegnarsi, eccetera, però, se vai poi a fare i conti sugli affitti... Allora uno comincia a dire: "Vabbé, con la stessa rata pago il mutuo e a fine anno con gli ammortamenti...”. Insomma potrebbe essere una scelta strategica, o forse potrebbe essere più opportuno investire su un nuovo macchinario. Ecco, tutte queste cose, non è facile capirle. Anche con gli stipendi: è chiaro che per un anno o due, uno è disposto a fare dei sacrifici, ma poi comincia a dire: "Vabbé, ma quand’è che torniamo...”. Uno spiega: "Io sono amministratore e devo amministrare i soldi che voi mi avete dato. Se volete vi aumento lo stipendio, però se andiamo in perdita, ci mangiamo i soldi, che sono i vostri... Insomma vi entrano in tasca da una parte e vi escono dall’altra”. E allora poi capiscono, però non è immediata la cosa...
Vi appoggiate anche alle banche o rimanete solo nel circuito delle cooperative?
No, noi abbiamo i normali castelletti in banca. Con le banche all’inizio non è andata bene. D’altra parte per parecchio tempo abbiamo dovuto gestirci come potevamo. Abbiamo aperto col credito cooperativo chiedendo subito un affidamento di 40.000 euro, che ci hanno concesso, poi abbiamo fatto invece un credito di 200.000 e abbiamo dovuto firmare noi del consiglio di amministrazione le fideiussioni. Erano 170.000 di anticipo fatture e 30.000 di scoperto di conto. Per 100.000 euro abbiamo fatto una fideiussione di garanzia con firma solidale. In più Confidi ha firmato per altri 100.000. Insomma tra il capitale sociale dell’azienda, le nostre firme personali e Confidi avevano una garanzia per oltre il doppio di quello che avevamo chiesto.
Poi abbiamo chiuso e abbiamo aperto con Banca Etica. Siamo stati una delle prime cooperative a farlo, è un progetto pilota. Le condizioni sono buone, anche se è una banca forse un po’ scomoda, perché non ha sportelli, però con l’home banking si fa tutto. Ci siamo trovati bene. Ci hanno concesso un castelletto di 160.000, mi pare, ma non ricordo perché non li usiamo particolarmente. Comunque non hanno voluto garanzie personali. Ce l’hanno concesso sulla liquidità dell’azienda, sul capitale. In questo caso però devi diventare socio della banca, in questo senso ti vincolano un po’.
Adesso siete un po’ rientrati a regime?
Sì, al momento, dopo aver acquistato l’azienda, coi soldi che abbiamo messo noi, quelli di Coopfond, i soldi di Cfi, ce n’è rimasto abbastanza per finanziare i clienti, sostanzialmente. Per cui i castelletti sono abbastanza fermi...
Rispetto alla crisi, il settore della modelleria come va?
Ovviamente la crisi la sentiamo anche noi... Forse è arrivata un po’ dopo perché avevamo delle commesse abbastanza lunghe che avevamo acquisito prima, per cui abbiamo sentito il riflusso magari qualche mese dopo gli altri. In realtà il settore è in forte crisi, nel senso che i nostri diretti concorrenti hanno molto ridimensionato l’organico. Noi abbiamo ridimensionato gli stipendi.
In realtà abbiamo una rete commerciale abbastanza buona, con clienti solidi che tra l’altro all’inizio ci hanno dato una mano. Quando siamo ripartiti abbiamo chiesto a più di qualcuno di pagarci un anticipo e gli storici ci hanno dato un bell’aiuto.
Certo la crisi c’è e si registra soprattutto sui prezzi. Il mercato è estremamente "asciutto”, cioè vendi a poco più del costo e non è così semplice andare in cerca di nuovi clienti. L’abbiamo fatto, ne abbiamo acquisiti alcuni, alcune sono state esperienze buone, altre sono state estremamente negative perché qualcuno non ha pagato... Adesso stiamo recuperando. Sono due anni che stiamo recuperando 24-25.000 euro, a mille euro al mese però. D’altra parte piuttosto che non recuperarli... Con altri siamo entrati facendo dei buoni prezzi per farci conoscere, per presentarci, abbiamo lavorato due, tre mesi, magari abbiamo fatto tre, quattro lavori poi, quando abbiamo cercato di riportarci sullo standard, sono tornati ai vecchi fornitori. Insomma, costruire un rapporto commerciale oggi non è così semplice.
Quello che abbiamo cercato di fare è vedere se è possibile recuperare internamente dei costi. Abbiamo acquistato alcune macchine, aspettiamo un tornio nuovo perché quello vecchio non è più affidabile: vogliamo vedere se è possibile fare con il tornio dei lavori che adesso facciamo a macchina, anche se si fa un po’ fatica, stiamo cercando di individuare i tempi morti, anche se alla fine sui costi di produzione quello che incide è la manodopera, che da sola rappresenta circa il 50%...
D’altra parte il nostro tipo di lavoro, anche se hai le macchine a controllo, in realtà richiede una grossa parte di manualità, perché comunque non puoi metter su una catena di montaggio.
Sì, la macchina lavora il legno e lo lavora come programmato, ma quel legno qualcuno lo deve preparare, non è che metto su un blocco di legno, devo prendere dei pannelli, che vanno sagomati in base alla forma e poi incollati. Quando poi scende dalla macchina, non è che prendo il pezzo di legno e lo consegno al mio cliente. Lo devo sfregare, levigare, verniciare, rifregare... Queste sono tutte operazioni manuali perché comunque sono superfici irregolari e ci chiedono pezzi ogni volta diversi. Poi ci sono i sistemi di colata, le placche, la messa in placca, tutte cose che non sono meccanizzabili. Poi c’è l’ufficio tecnico, il disegno, quelli che fanno i programmi...
Il reparto a mano è in grado di costruire il modello, come si faceva vent’anni fa, perché comunque ha acquisito quella preparazione. Alcune volte abbiamo trovato delle soluzioni ibride, abbiamo fatto parte a mano, parte a macchina. E comunque facciamo modelli anche molto grandi. Il più grande che è stato fatto, anni addietro, era di quattordici metri, era un basamento del motore di una nave.
Che clientela avete?
Noi lavoriamo fondamentalmente con le fonderie, principalmente italiane. Abbiamo avuto qualche esperienza con fonderie estere, una belga e una russa, però sempre tramite partner italiani, cioè loro avevano bisogno dell’attrezzatura e hanno chiesto a noi di farla direttamente per il cliente, per cui il mercato è quasi completamente italiano, però, in realtà, i vari proprietari di quello che facciamo sono quasi tutti stranieri, negli ultimi anni.
Faccio un esempio: adesso stiamo facendo dei modelli per un cliente svizzero che acquista fusioni qua in Italia e commissiona alle fonderie italiane di fare attrezzatura. Credo che l’80% del nostro lavoro vada, indirettamente, per la filiera estera. In Italia ci si sta muovendo pochissimo. Alcuni nostri clienti stanno facendo prodotti nuovi, ne abbiamo fatti più di qualcuno, ma tutti per il mercato europeo e americano. E anche roba grossa, in acciaio. Alla fine io penso: "Ma se un domani la stessa qualità la faranno in Cina piuttosto che in India o nei paesi emergenti, cosa resterà in Italia del settore industriale primario, cioè della metallurgia, della meccanica di base?”.
Paesi come Cina, India, eccetera, non sono ancora a questo livello?
Beh, non per tutto. Certi prodotti hanno bisogno di essere seguiti in un certo modo; loro non sono ancora in grado anche perché per dare la stessa qualità avrebbero dei costi molto simili ai nostri per cui, a quel punto, non ci sarebbe più convenienza.
Pensiamo solo all’area dei controlli, dove si devono fare radiografie sul 100% della produzione... Un nostro cliente, un’acciaieria di Vicenza che lavora per il settore nucleare, se deve fare una fusione di un corpo in acciaio, magari ci mette due settimane a fare la fusione, ma poi, tra finiture e controlli e quant’altro, quel pezzo gli resta in azienda anche sei mesi. Perché tra radiografie per individuare le zone più porose, lucidatura, nuove radiografie... Insomma quel tipo di produzioni per ora fa fatica ad andar via dall’Europa. Però, mai dire mai.
Il sindacato sostiene il vostro tentativo?
Il sindacato è stato quello che c’ha portato a conoscere le cooperative. Quando abbiamo avuto problemi con gli stipendi, abbiamo chiamato la Cgil. Alla fine, quando andavamo verso il fallimento che ormai avevamo deciso, lui c’ha detto: "Ma perché non vi fate conoscere, perché secondo me non è un’idea da buttare”. Noi una mezza idea l’avevamo e abbiamo discusso con lui che c’ha indirizzato alla Lega delle cooperative, dove c’hanno messo il naso dentro e hanno detto: "Mah, vediamo come va a finire”. Però il primo contatto l’abbiamo avuto col sindacato. Poi alcuni di loro, secondo me, non sono stati particolarmente contenti, ci sconsigliavano... Al di là di questo, siamo rimasti iscritti al sindacato anche se... cosa vai a sindacare in un posto dove il datore del lavoro e il dipendente sono la stessa persona?
I macchinari qui su che costi si aggirano?
Beh, c’è la più grande varietà, nel senso che un centro di lavoro a controllo può variare dagli 80-90.000 a 700-800.000 euro e anche di più. Dipende dal tipo di macchina che prendi, da quanto è grande, se ha o non ha l’elettromandrino, quanti giri fa. Una macchina per lavorare il legno ha una struttura di un certo tipo e ha un costo, quella per lavorare l’alluminio, la ghisa o l’acciaio, è tutt’altra cosa. Se vuoi un banco da 700x500 è un costo, se vuoi un banco da 1000x800 ne ha un altro. Noi abbiamo una macchina, quella grande, che un tempo l’han pagata parecchio, 6-700.000 euro, che adesso è abbastanza vecchiotta anche se fa ancora il suo lavoro. Ma se la togli da lì non vale niente, perché è costruita praticamente su una fossa e ha una fondamenta che è un banco di ghisa...
Voi esattamente cosa fate, il "negativo” dello stampo?
Noi facciamo il negativo dell’interno e il positivo dell’esterno e ne facciamo uno, due, tre, cinque, dieci a seconda di quanti ne servono alla fonderia. Ogni impianto ha delle dimensioni. Se un impianto ha una staffa 700x800 ce ne stanno tre, se ha la 1100x1200, ce ne stanno otto.
Comunque fate pochi esemplari per ogni modello.
Sì, sì, pochissimi esemplari dell’esterno, e dell’interno di solito se ne fa uno. Adesso ne abbiamo uno abbastanza ingombrante, di legno. Il nostro standard non è roba enorme. Con il legno sì, perché lavoriamo per una ditta che ha una staffa da 1200 e lì ci sta parecchia roba, anche abbastanza grande...
Ma qui c’è un distretto della modelleria?
Sì, ci sono parecchie modellerie qui a Padova. Una volta la modelleria, quando non c’erano le macchine a controllo numerico, era abbastanza un’arte più che un lavoro, perché ricavavano i modelli a mano con lo scalpello. Quasi tutte le modellerie che ci sono a Padova sono state fondate dai dipendenti dell’originaria modelleria, la modelleria Rosa, che aveva anche una fonderia. Faceva la modelleria per la sua fonderia, poi hanno staccato le due cose.
E così tutto il distretto è nato...
… dai dipendenti che si sono messi a lavorare per conto loro.
(a cura di Barbara Bertoncin)

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