sabato 27 ottobre 2012

IL PARTITO ANTIEURO e QUELLO DEL SOLDO VERDE


Il partito antieuro ha il suo leader (per adesso solo economico). Si chiama Alberto Bagnai (nel nostro blogroll lo si può leggere attraverso il suo blog   http://goofynomics.blogspot.it/  ). Seppur esorcizzi questo epilogo verso cui si sta trascinando, di fatto è quello cui aspira- E il codazzo di simpatizzati al suo blog, questi sempre pronti a sostenere fino al limite del linciaggio parolaio il suo kapo, seppur Bagnai kapo non lo è poichè non ne possiede il fisique du role, oltre che l'impianto di valori al ruolo pertinente... Ma della schiera di sostenitori ne riconosce l'esigenza per un pur minimo servizio d'ordine  che l'afflato studentesco e non che lo sostiene puntualmente gli assicura!)




Bagnai vorrebbe essere di sinistra, ma come dichiara la minuto 21 circa del video che segue, non riesce proprio ad esserlo, sopratutto se ascolta talune cosine che proprio non gli vanno giù, a lui economista ortodosso e impiegato di una università di provincia, e che dice cose che economisti di calibro internazionale e più autorevoli di lui (naturalmente di scuola iessei, quella che dette filo da torcere a Win Duisemberg (morto nella sua piscina in circostanze singolari) e a qualche governo nazionale) dichiarano non soltanto adesso ma fin dal principio della costituzione della moneta unica. E lo dice come se fossero stati i soli a dichiararlo... prima che la profezia si compisse.
Un po' come ebbe a dichiarare, dal suo esilio forzoso Bettino Craxi: al massimo l'Europa sarà un limbo, se non un inferno.





Suvvia, Bagnai dice cose anche condivisibili. Ma le divergenze economiche esistenti fra le economie europee mica trovano soluzione nella zecca di Stato che ritorni ad essere di sovranità italiana, e tanto meno nel sostegno (ultima cavolata dell'attuale governo in carica 1 miliardo di euro per la stabilizzazione di donne di tutte le età e giovani sotto i 29 anni con incentivi ad hoc, più specifici e cospicui al Sud, la cui goccia sarà di circa 100.000 posti di lavoro molti dei quali fatti di mogli sorelle e fratelli con qualche amichetto più stretto) ad un'impresa decotta che ormai legge il confronto competitivo, e la produttività, con quei Paesi e continenti con i quali non dovremmo che differenziarci sul piano produttivo e tecnologico. Come han saputo fare i germanici, i quali certamente hanno alcune ragioni da vendere rispetto ad un'Italia  da sempre affascinata dalle soluzioni meramente contingenti, che invece di affrontare le problematiche preferisce risolverle "cinesizzando" le proprie imprese ed attività industriali. Non abbiamo necessità di industrie ed imprese che per essere economicamente sostenibili domandano categorie legislative  pari a quelle di altri Paesi che poco hanno a che vedere con i diritti di cittadinanza. E la risposta alla competitività delle nostre imprese non può essere tutta riposta nelle politiche monetaristiche che abbiamo già sperimentato e che han fatto più danno che bene, facendoci trovare un assetto produttivo attuale che senza aiuti di Stato (ovvero debito pubblico), o una regressione dei diritti di cittadinanza nelle aziende, o una svalutazione che consenta ad industrie decotte di far risultare ancora "convenienti" le produzioni in Italia, non sanno stare nei mercati internazionali. A meno che non si metta in discussione il mercato. E questo già sfronderebbe il dibattito dalle scorie (gravi) utili sono al mascheramento delle proprie più autentiche posizioni. Ma molti (ma non i più) italiani sono abili maschere... anche se da cinematografo. 

Questa querelle fra il partito proeuro e quello antieuro è oziosa: le imprese italiane bisognano di una politica energetica ed industriale seria, che consenta ai nuovi imprenditori di emergere e ai vecchi e decotti imprenditori di andare a godersi i propri profitti. Fatti a spese di tutti e dei diritti di tutti, e non delle proprie capacità imprenditoriali. O di manager della finanza al servizio di questa "impresa" destabilizzante. 

L'Italia ha bisogno di una classe dirigente che compia scelte decisive sul piano della spesa pubblica (vedi la chiacchiera ultima del ministro Fornero sugli incentivi alla stabilizzazione delle donne di ogni età e dei giovani sotto i 29 anni, in quest'ultimo caso sempre più conveniente l'apprendistato, tutta funzionale alla campagna elettorale prossima, chiacchiera verso la quale ci sarà la corsa al click day dal 2 Novembre da parte delle imprese che lottano con i costi e non con la competitività, costrette a queste prassi dagli stessi governanti), scelte decisive che la razionalizzino (la spesa pubblica) e mettano seriamente a lavorare chi è impiegato nelle strutture pubbliche, passando se necessario anche sopra un sindacato ormai tutto autoreferenziale e soltanto preoccupato della mancia di Stato che questo versa ai patronati  (dove per giunta ogni servizio offerto devi comunque pagarlo prima con la tessera e poi con l'onorario appena scontato per il servizio richiesto), e che serve, e manco più di tanto, a una certa sinistra per ammorbare i cittadini attraverso gli equilibrismi del sindacato che finge anche di spaccarsi.

L'Italia ha bisogno non di altre liberalizzazioni all'acqua di rose, dove si svendono, per il consenso politicista del partito della spesa pubblica inefficiente, gli assetti strategici nazionali. Ma di liberalizzazioni del mercato produttivo, poichè adesso quello italiano è il più ingessato di tutti affinchè sia consentito ad un ceto manageriale e dirigenziale di quarto ordine di continuare a perpetuarsi nell'ignavia di cui è maestra. 

L'Italia ha bisogno di cittadini, se siamo ancora capaci di esserlo, che ritornino ad assumersi le responsabilità, e che sappiano render conto (senza bisogno della farsa propagandistica e demagogica delle leggi anticorruzione, ma soltanto abrogando le leggi che hanno deresponsabilizzato il ceto dirigente attuale e che sono state approvate da tutte le parti politiche di schieramento che fin qui ci han governato) delle proprie malefatte, anche attraverso i personali patrimoni finanziari, così come è chiesto ai cittadini che non hanno il potere di farsi leggi ad personam e che quando sgarrano vengono a prendergli la casa e/o da casa. L'Italia deve dividersi in responsabili e irresponsabili, e non i privilegiati e non privilegiati mendicanti di qualche briciola di privilegio. 

L'Italia ha bisogno di meno talk-show, a tutte le ore, e di più ore dedicate non solo al lavoro ma alla socialità e alla solidarietà. Anche per legge, come proposto qui in Tendenza demografica italiana, debito sovrano e ri-modellamento del sistema di welfare con una riforma delle pensioni sostenibile e che ci veda tutti partire dalla stessa condizione, senza privilegi e favoritismi per taluni e miserie per la maggior parte.

L'Italia non ha bisogno di retori dalle soluzioni facili e dalle profezie auto-avverantisi e che trovano facile megafono presso i conduttori alla Paragone, che adesso provano a emanciparsi da quella politica che là li ha messi, così come di altri populisti e salvatori della patria ( e siamo contenti che Grillo abbia cominciato a dismettere questi toni, seppur non in modo ancora decisivo, nella campagna elettorale siciliana). 

L'Italia ha bisogno di ognuno di noi. Non di ritorni al passato, non di salti in futuri utopici e avulsi dalle contestualizzazioni geopolitiche internazionali e nazionali, non si permeare nel provincialismo di cui andiamo fieri, ma di impegno responsabile di ognuno e di leggi che siano al servizio generale e del bene comune, e non di quella o questa schiera di privilegiati. Perchè ci stanno trascinando nel baratro, con l'unica differenza che in coda ci sono loro ed alla testa proprio quelle donne e quei giovani che vorrebbero salvare. Stabilizzandoli nel nulla.

Se sapremo emanciparci, allora potremo riprenderci e ritornare al posto che nel mondo sappiamo ricoprire. Anche con l'euro, e senza ritorno alla lira. Altrimenti meglio diventare colonia: sa meno di presa in giro. 

6 commenti:

kthrcds ha detto...

Seguo questo blog da alcune settimane, e mi ha stupito la superficialità con cui avete giudicato il lavoro del professor Bagnai.
Fossi in voi, un'occhiatina più approfondita a Goofynomics io la darei. E magari anche al lavoro di Lidia Undiemi, Claudio Borghi Aquilini, Nino Galloni, Giovanni Zibordi, Sergio Cesaratto, Emiliano Brancaccio, Gennaro Zezza, Andrea Mazzalai, Bruno Amoroso, e molti altri. Così evitate di farvi trovaare impreparati quando tra non molto l'euro sarà solo un ricordo.
Cordiali saluti.

N.O.I. - Nuova Officina Italiana ha detto...

Il prof. Bagnai ha la stessa stima e considerazione che egli, in reciprocità, ripone in coloro che hanno posizioni non perfettamente sovrapponibili alle proprie. Non per altro è permanentemente nel nostro blogroll.
Rispetto invece alle altre questioni che il post argomenta, restiamo convinti che le questioni riguardanti la moneta unica e l'Unione Europea trovano ragione in una lettura più ampia e geopolitica. Non si sta dicendo che la nostra è l'unica possibile, nè che quella finora adottata e definita neoliberale (seppur di liberale ha ben poco ma è squisitamente fascio-socialista) sia la strada giusta, ma che la soluzione non può essere che inquadrata all'interno delle dinamiche internazionali che non troverebbero l'Italia preparata. L'Europa certamente non lo è per l'ignavia del suo gruppo dirigente, ma ne avrebbe la forza. L'Italia manco quella. Manco se ricomparissero De Gasperi e Togliatti.

kthrcds ha detto...

Innanzitutto la ringrazio per l'attenzione e la cortesia. Sono intervenuto solo perché trovo che questo blog fornisca interessati spunti di riflessione, e mi ha stupito, lo ribadisco, l'approccio a mio avviso affrettato con cui si è trattato l'argomento Bagnai.
Io sono sempre stato convinto che l'euro non avrebbe funzionato sin da prima della sua adozione; molti anni prima che Bagnai fornisse dettagliati elementi tecnici che spiegano perché effettivamente non può funzionare. Ciò, del resto, è evidente nella produzione scientifica degli ultimi settant'anni, con particolare riguardo a quella che riguarda le AVO (Aree Valutarie Ottimali). Tanto più che proprio sul suo sito (N.O.I.) ho trovato il link a questo documento che spiega passo passo come si è formato il debito pubblico italiano nel periodo 1980-2011, e che si integra con quanto illustrato da Bagnai.

Qualcosa di molto simile a quanto sta accadendo oggi, si verificò ai tempi della "prestigiosa quota 90”, quando, nel dicembre 1927, con l'introduzione da parte di Mussolini del Gold Standard Exchange, il tasso di cambio passò da 153,68 Lire per una £, a 90 Lire per una £.
Come conseguenza si ebbero «diminuzione dei salari, crollo delle esportazioni e della produzione, esponenziale aumento della disoccupazione, progressiva proletarizzazione degli strati sociali intermedi, forte crescita della povertà. [...] gli effetti classici di un processo di aggancio a uno standard nominale forte». Situazioni simili si sono verificate negli ultimi 30 anni in America latina – paradigmatico il caso argentino – nel sud est asiatico e in parte dell'Africa.

kthrcds ha detto...

Bagnai, sulla scorta della produzione scientifica succitata – nel suo blog vi sono numerosissimi riferimenti in merito, con dati, grafici, e solide argomentazioni -, e della sua ventennale esperienza in materia (si veda, in proposito, qui) -, non fa altro che evidenziare ciò che nella comunità scientifica internazionale risulta evidente ai più, ossia che in caso di aggancio a uno standard nominale forte, come appunto è l'euro, le economie strutturalmente più deboli, finiscono per soccombere a quelle più forti. Il che non significa, però, che senza l'euro l'Italia andrebbe a fondo. Tutt'altro.
A questo proposito, vorrei sottoporre alla sua attenzione l’ultimo rapporto sul mercato del lavoro curato dal giuslavorista Carlo Dell’Aringa per il Cnel, in cui si afferma che «negli anni Settanta, l’Italia era al primo posto per crescita della produttività nell’industria rispetto ai principali Paesi nostri concorrenti nel mondo, mentre [...] nel primo decennio del Duemila, cioè dopo l’introduzione dell’euro, [...] la produttività nel nostro Paese precipita a un misero 0,4% in media d’anno, contro l’1,8% della Germania, il 2,5% della Francia, il 2,8% dell’Olanda, il 3% del Regno Unito. E meglio di noi ha fatto anche la Spagna (1,5%).
[...]
“La perdita di competitività dell’Italia rispetto alle altre economie dell’area euro è stata significativa, oltre il 2% all’anno”, sostiene il professor Dell’Aringa nella sua ricerca.
[...]
Fa riflettere che la massima espansione della produttività è avvenuta negli anni Settanta, all’epoca della lira sovrana e delle grandi battaglie sindacali per migliorare le condizioni dei lavoratori. Il declino italiano, avviatosi con il neoliberismo guidato a livello mondiale da Ronald Reagan e Margaret Thatcher negli anni Ottanta – meno Stato, più mercato – assume proporzioni catastrofiche soltanto dopo il Duemila, con il fatidico avvento dell’euro che mette in crisi l’intero sistema-Italia».

Purtroppo, in Italia il ventennio berlusconiano ha frastornato a tal punto parte dell'opinione pubblica da indurla ad accettare la macelleria sociale di Monti - che il blog N.O.I. denuncia efficacemente – senza rendersi conto che la politica di Monti altro non è che la prosecuzione “sobria” del berlusconismo, e che ci sta conducendo alla bancarotta, e ad inevitabili tensioni sociali dagli sbocchi imprevedibili.

Di nuovo, la saluto con simpatia, e con l'auspicio di una futura integrazione delle tesi del professor Bagnai con le argomentazioni da lei svolte qui nel suo blog.

P.S. Siccome ho l'abitudine di dilungarmi troppo quando scrivo, cestini pure senza preoccuparsi se lo ritiene opportuno.

N.O.I. - Nuova Officina Italiana ha detto...

Non cestiniamo nessuno su N.O.I., semplicemente perchè non produciamo rifiuti!
Ad ogni modo, la relazione causale che viene indotta fra decremento del PIL (o mancata crescita dello stesso) e introduzione dell'euro è forzosa. La storia dell'euro (prima dello SME e dell'ECU) non è parallela a quella della peseta argentina equiparata al dollaro. Quello che accadde negli anni '70 non fu tutto oro (imparammo anche a consumare, e a diventare "modali"), seppur è chiaro che fu una stagione che vide tutta una serie di riforme che estesero il diritto di cittadinanza. Gli effetti di quella stagione di riforme adesso si stanno esaurendo, così come quei tempi furono effetto di politiche e di uomini che ne avevano innescato i processi. Non senza conflitti sia sociali sia interni ai partiti allora al governo. Si dice che il Presidente Segni ebbe un ictus dopo un conflitto accesso con Moro...
Ad ogni modo, grazie. Se intende scrivere qualcosa di più esteso ed articolato, il nostro invito a collaborare e scrivere è aperto, sempre. Qui amiamo il confronto. E per formazione, siamo piuttosto laici, e quindi agli strutturalismi economicistici facciamo sempre molta attenzione: spesso emanano afrori illiberali.
Grazie ancora

kthrcds ha detto...

A giudicare dalla sua cortesia e dalla capacità di comprendere le altrui opinioni, mi sembra che troveremo punti di incontro su temi che apparentemente ci vedono contrapposti. La ringrazio molto dell'invito a collaborare. Invito che penso che accetterò già dai prossimi giorni, non appena riuscirò ad organizzare meglio il mio tempo. Approfitto dell'occasione per invitarla a seguire, questa sera su Rai 2 alle 23,10, il professor Bagnai ospite de “L'ultima parola”. Mi farebbe piacere che lei seguisse la trasmissione, e magari mi facesse sapere che impressione ne ha ricavato. Ho già seguito Bagnai in altre occasioni sulla Rai, e credo di poter dire che anche lei troverà interessante il suo modo di comunicare, e i contenuti.
Le auguro una buona serata, e a risentirci.