venerdì 27 luglio 2012

PROMETEO SCATENATO: L'ILVA E LA CRISI DI UN MODELLO

Stuart Franklin - Shangai


Esiodo , ne Le Opere e i Giorni, racconta che all'inizio, nel periodo in cui regnava Crono, c'era una "razza d'oro". Gli uomini vivevano ancora come gli dei: liberi da affanni, al riparo da fatica e miseria, non conoscevano la vecchiaia ma rimanevano giovani intenti a banchetti e feste. Giunto il tempo di morire si addormentavano dolcemente. Non dovevano lavorare ed i beni appartenevano a tutti spontaneamente. Vivevano dell'abbondante raccolto offerto dalla terra e vivevano in pace. Infatti era chiamata  età  dell'oro: era il regno della Giustizia e della Buona Fede e tale appellativo rimase ad indicare gli esordi dell'umanità in cui gli dei vivevano accanto ai mortali. Le porte non erano ancora state inventate, poichè il furto non esisteva , ci si nutriva esclusivamente di legumi e di frutti, poichè nessuno pensava ad uccidere. A Roma Crono era identificato con Saturno e si poneva l'Età dell'oro al tempo in cui questo dio regnava sull'Italia che si chiamava ancora Ausonia. Con il regno di Zeus, età del ferro, scomparve questa razza. A quel punto la terra e gli uomini sono preda di ogni empietà. Victa iacet pietas, et Virgo caede madentes, ultima caelestum, terras Astraea reliquit. "Vinta giace la pietà, e la vergine Astrea lascia — ultima degli dei — la terra madida di sangue" (Ovidio, Metamorfosi, I, vv. 149-150).


Prendiamo a prestito il titolo del post da Hans Jonas, che per primo coniò questa metafora per definire la contemporaneità di un modello antropologico oggi rimesso in discussione. 
Ed è rimesso in discussione in questa attualità dal gip Patrizia Todisco della procura di Taranto, che ha disposto i sigilli ad alcune aree dell'ILVA di Taranto, e messo agli arresti domiciliari 8 persone fra proprietari e dirigenti della stessa.

I capi d'imputazione sono disastro ambientale colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose. La perizia medico-epidemiologica, sulla base della quale sono stati disposti il sequestro e gli otto arresti in via di esecuzione, è stata redatta da Annibale Biggeri, docente ordinario all'Università di Firenze e direttore del centro per lo studio e la prevenzione oncologica; Maria Triassi, direttrice di struttura complessa dell'area funzionale di igiene e sicurezza degli ambienti di lavoro ed epidemiologia applicata dell'azienda ospedaliera universitaria Federico II di Napoli; e da Francesco Forastiere, direttore del dipartimento di Epidemiologia della Asl Roma/E. Secondo i periti, «l'esposizione continuata agli inquinanti dell'atmosfera emessi dall'impianto ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell'organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte». Così leggiamo dal corriere on line.


Taranto, come Marghera, come il Vajont, come la FIAT... vengono da lontano, segnando anche il nostro ritardo nella industrializzazione della nostra economia.

Nel 1894 nasce a Milano la Banca Commerciale Italiana, con investimenti svizzeri e tedeschi, necessari anche per fondare a Genova il Credito Italiano l'anno successivo. Le nuove banche cominciano a finanziare tutte quelle imprese che si mostrano dinamiche e moderne, come la Edison e la Sade. Fondamentale per lo sviluppo industriale nostrano è l'arrivo massiccio di investimenti esteri. Si forma una nuova classe imprenditoriale giovane e aggressiva decisa a colmare il divario con l'estero.
Nel 1899 nasce la Fiat, nel 1910 l'Alfa e seguono la Bianchi e la Olivetti. Il settore meccanico è il più moderno e l'unico capace di crescere in maniera costante. Altro settore nuovo dalla crescita considerevolissima è quello della chimica e della gomma (Pirelli). Il mondo siderurgico esce dal protezionismo statale per trovare finanziamenti nelle banche. La Falk si lega alla Bci, L'Ilva al Ci e nasce inoltre la Dalmine. Il divario tecnologico con l'estero è però incolmabile. Un buon appoggio alla crescita economica è garantito dalla politica di intervento statale che favorisce l'accentramento oligarchico in settori chiave come la cantieristica, la siderurgia e le ferrovie. Nel 1911 il tradizionale settore tessile rappresentava ancora il 60% della produzione industriale, ma la crescita italiana era ormai una realtà. Punti negativi del nuovo sviluppo sono la debolezza del sistema borsistico con difficoltà di reperire denaro e soprattutto l'enorme divario tra Nord e Sud. Nell'area compresa tra Milano, Genova e Torino, si concentra quasi il 90% del mondo industriale del paese.
Sarà durante il ventennio fascista che prenderanno corpo progettuale gli insediamenti industriali di Taranto e di Marghera, solo per citarne alcuni. Come la stessa diga del Vajont sarà un progetto di quegli anni. La guerra però frenerà gli investimenti, che saranno ripresi in epoca repubblicana, saranno implementati e sviluppati. Insieme a questi investimenti in gran parte statali, ci sarà l'industrializzazione di tutto il settore energetico negli anni '50 e '60 del secolo scorso, in Basilicata con le trivellazioni, oppure a Gela con le raffinazioni. Interi territori che subiranno decisive e totali modificazioni economiche, sociali ed ambientali. 

Taranto è solo un esempio di quel paradigma di sviluppo: una città ed una regione che da quell'insediamento siderurgico ne ricaverà denaro, occupazione, sviluppo commerciale e logistico, consenso elettorale e politico trasversale ai partiti.  Ma anche devastazione del territorio e morte.

A Taranto, come a Marghera, l'incidenza di tumori è la più alta d'Italia: 4 persone su 10 si ammalano di tumori, il doppio di altre aree del paese che non hanno conosciuto questo tipo di industrializzazione (per esempio la Calabria ed alcune aree della Sicilia).

Ad ammalarsi e a morire non sono solo i lavoratori di queste fabbriche, ma anche le loro famiglie e le popolazioni che nulla hanno a che fare con queste attività produttive. La storia dell'amianto e dei suoi effetti sulle popolazioni di questo Paese è ormai consolidata: la casa nuova, l'elettrodomestico di ultima generazione, le vacanze al mare, l'auto per ogni membro della famiglia, la possibilità di mandare i figli a scuola, il filetto sulla tavola di ogni domenica dell'anno... Cose ed opportunità barattate con la morte e la malattia, con la devastazione del territorio e con il relativo impressionate costo economico per le bonifiche, con la radicale trasformazione sociale e della stratificazione culturale, con l'omogeneizzazione produttiva dei distretti in macro aree dedicate... 

La decisione del gip di Taranto rimette in discussione profonda un'idea antropologica di sviluppo dei territori che è passata per la Grande Industria e un'alleanza di ruoli fra finanza industria e stato, dove ognuno ha fatto la sua parte per dare a questo Paese il ruolo internazionale (oggi neanche più tanto autorevole) di potenza economica mondiale. 
E la storia di Taranto non è solo una storia locale, ma la storia di un'idea di progresso e di produzione: l'Italia ha pagato i suoi debiti di guerra inviando migliaia di persone nelle miniere del Belgio, indotti all'emigrazione. Così come ha fornito, fra fenomeni di espulsione dai propri territori e l'opportunità di avere manovalanza non istruita ed a basso costo, masse di persone pronte a riscattarsi dalla povertà e dalla precarietà dalla quale provenivano verso le aree italiane ed europee più industrializzate. Una storia che oggi si ripete nella emigrazione extra-continentale nell'Italia finalmente potenza economica e industriale. 

La storia di Taranto e dell'ILVA, come già la storia di Marghera e del polo petrolchimico, sono storie di miseria: a Marghera fino agli anni '50 si moriva di pellagra... oggi si muore di tumore 4 volte su 10. Queste storie sono territori inquinati e di difficile e costosissima bonifica. Sono storie di territori che hanno conosciuto una urbanizzazione diffusa e in soluzione di continuità per costruire case insicure e mediocri ma che sono state molto lucrose. Sono storie di una energia, quella proveniente da fonti fossili, pagata quasi a gratis e che dove viene estratta per noi oggi lascia solo una devastazione ancor più ampia ed estesa di degrado e povertà, con strutture di trivellazione neanche smontate perchè costa troppo farlo. 

E' una storia unica quella che tesse e lega insieme Taranto al mondo, una storia fatta di una certa industria, di una certa produzione di merci, una storia fatta di esternalizzazione dei costi ambientali, una storia di una tecnologia che che è stata più al servizio del potere e del denaro invece che dell'uomo, a questi data in possibilità di fruizione solo come merce da consumare. 

Non c'è da meravigliarsi se gli occupati dell'ILVA, di fronte ai sigilli della magistratura, occupino la città chiedendo che la politca, impegnata nel frattempo a decidere dove e come noi metteremo la crocetta alle prossime elezioni in un'orgia autoreferenziale impressionate, emetta un provvedimento provvisorio che renda inefficace la decisione del gip. Provvisorietà che in Italia significa decenni. 
Se la morte è inevitabile, e la miseria una iattura cui non ritornare a vivere, la malattia è avvertita come un'eventualità del fato, che potrebbe non colpire te ma il tuo collega, non la tua famiglia ma quella a te vicina. Gridano che è possibile produrre acciaio senza farsi male, senza produrre catastrofi. Che la tecnologia c'è. Ma per quanto ce ne potrà essere, bisogna comprendere che produrre quella merce è già disporsi ad un rischio di salute pubblica, perchè con le incidenze tumorali esistenti nessuno potrà sentirsi escluso dal perdere la sfida a scacchi con la morte. Tu o qualcuno della tua famiglia.

Se la dismissione di Marghera è stata possibile con l'industria turistica di Venezia e con lo sviluppo diffuso della piccola industria nel territorio interno che ha consentito di tamponare i problemi occupazionali che ne sono derivati e di non creare problemi di ordine pubblico, lasciando su quel territorio inquinamento e aree industriali dismesse ed occupate dai topi, a Taranto quelle polveri che ognuno da Massafra  in giù respirano anche quando non soffia lo scirocco sono l'unica possibilità avvertita di reddito. Una enorme area geografica che quasi prende tutta l'intera provincia (e che una volta era anche occasione di lavoro per le provincie limitrofe) questi giorni manifesta affinchè gli venga consentito di continuare la propria partita a perdere con la morte e la miseria, e che come ricompensa non avrà il paradiso ma l'inferno di un territorio inquinato, di una città degradata, di una stratificazione sociale fitta di illegalità, di una permanenza culturale costituita dal nulla e da dove si rifugge e si emigra.

E' un modello antropologico di progresso, che ha visto partecipe tutta la politica della modernità, e di lavoro che ancora oggi, questa volta a Taranto, viene rimesso in discussione. E un modello di produzione e di consumo, e un correlato modello di potere, che quel gip oggi vuole mettere sui piatti della bilancia, in un Paese dove non si riesce ad uscire all'emergenza giudiziaria dallo scandalo Lockheed in poi e dalle sollecitazioni che dalla magistratura provengono nell'applicazione delle stesse leggi prodotte dal sistema politico a quella minima garanzia di cittadinanza che ancora godiamo. 
E' altro che dobbiamo produrre, e altro che dobbiamo lavorare, sono altrimenti le case che dobbiamo abitare, le cose di cui dobbiamo fruire smettendo di consumare merci, gli stili di vita che dobbiamo praticare. E' un'altra politica industriale che questo Paese richiede, dove i territori siano i più articolati ed equilibrati  possibile negli assetti produttivi ed economici, invece che disarticolati nell'infausta progettazione per distretti dedicati, che poi vengono a determinare crisi occupazionali e di ordine pubblico come quelli cui verserà Taranto, e che si sommano alla devastazione ambientale. 
Abbiamo prodotto rifiuti ed inquinamento, che adesso forse ripareremo con l'industria del trattamento del rifiuto e del disinquinamento... a costi sopportati da noi, con denaro che non abbiamo perchè dobbiamo pagare interessi su un debito pubblico che è servito a sostenere l'enorme evasione fiscale e il progresso economico e finanziario di alcuni territori, mentre altri venivano lasciati alla malora della criminalità assistita. 
Abbiamo disperso competenze professionali una volte diffuse sui territori ed occasione in qualche modo di lavoro. Il progresso industriale protocapitalistico che abbiamo conosciuto (e che nel frattempo conoscono in altre aree del globo) è servito a farci arrivare fin qui, fino al limite di una consapevolezza che forse tutto questo PIL e questa monetizzazione delle produzioni è servita un po' ad allungarci la vita e a consentirci di vivere più sicuri. Ma adesso dovremo pensare a vivere meglio, con la tecnologia che abbiamo, con la maturità ideale e culturale che possediamo, con un progetto produttivo ed occupazionale sostenibile e che non comporti l'esposizione ai rischi di deriva sociale ed economica quali Taranto e l'Europa tutta si vede ricacciata a sopportare. 
Un altro equilibrio dobbiamo progettare, un nuovo patto di cittadinanza dobbiamo siglare. Un'altra giustizia dobbiamo domandare agli dei.



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