martedì 22 gennaio 2013

Oltre il concetto di partitocrazia



Manuel Castelles è un sociologo, autore che apprezzo molto per le sue analisi rigorose, di cui si trovano "opinioni" anche su Internazionale. L'ultimo scritto, uscito il 21 dicembre 2012, di Castelles su Internazionale mi da l'opportunità di approfondire un tema particolarmente delicato. Il titolo è "La partitocrazia italiana e i movimenti", un tema che mi è molto caro sia dal punto di vista politico che storico. Un tema però non facile, soprattutto se l'analisi è offerta da un attore esterno alla vita politica, travagliata, dell'Italia e alle dinamiche che sono incorse nel Paese durante più di sessant'anni di repubblica.


 In questo caso il termine partitocrazia, che sembra riemergere ad ogni grave crisi politica e che verrà affiancato in tempi recenti a quello di casta, ha un contesto storico ben preciso che si colloca alle radici, alla nascita, della repubblica e che, quindi, sarebbe ora di sorpassare. Questo lessico infatti si forma nei primi anni del dopoguerra, precisamente nel 1949 per opera dello studioso Giuseppe Maranini. Il periodo in cui si forma sono gli anni di Guglielmo Giannini, dei monarchici di  Salvatorelli (chiamato da Giannini "Servitorelli") e del Movimento Sociale Italiano. La caratteristica che lega queste realtà diverse è l'avversione tenace alle istanze che si sono formate successivamente al fascismo, facendolo, però, da una prospettiva vagamente di destra, cioè dal conservatorismo eversivo, tendenze "tenacemente abbarbicate nei bassifondi dell'anima italiana". Tendenze che si sviluppano in un contesto di scarsa rappresentatività parlamentare dei suddetti attori:
Questa frustrazione si espresse nel rifiuto dell'ideologia legittimante la Repubblica, l'antifascismo; o più direttamente nell'ostilità ai partiti, a cominciare ovviamente da quello comunista ma spesso continuando con quello democristiano; e magari nella ripulsa nei confronti dell'intero sistema[...]  (Salvatore Lupo, partito e antipartito, Donzelli 2004, p.7) 

In questo caso il nome, e il concetto che ne è derivato, del movimento di Guglielmo Giannini, L'uomo Qualunque/qualunquismo, serve a caratterizzare il concetto di partitocrazia, ovvero un'avversione al sistema partitico basato sugli "umori", su necessità che si contestualizzano in determinati eventi singolari e che, in quanto tali, sviluppano una conflittualità che non è in grado di rendersi duratura. Gli umori sono passeggeri e di conseguenza anche la conflittualità che creano diventa qualcosa di breve e caratterizzato da una forte ventata populista, da una analisi della realtà che non è capace di andare oltre agli aspetti puramente materiali e "di pancia" del momento. Infatti è questo il motivo per cui il movimento di Giannini non è riuscito a durare più di un paio d'anni.

Tuttavia oggi la realtà si è spostata. Il termine partitocrazia non è mai morto, ma ha avuto la possibilità di tornare all'attenzione durante la crisi della prima repubblica e, oggi, torna alla ribalta durante la crisi della seconda. A sfruttarlo oggi sono movimenti di "sinistra"che, aggiungendo il termine casta, hanno l'opportunità di catturare sacche di voti avviando  un vittimismo alla ricerca del capro espiatorio. Castelles scrive che queste tensioni, che si concretizzano nel movimento arancione e nel M5S, nonchè le primarie dirette del PD, stanno trasformando la vita politica italiana, andando a scardinare quella che definisce la "malattia senile della democrazia", cioè la partitocrazia, creando invece "forme embrionali di rifondazione della democrazia".


Io credo invece che le tensioni profonde, non solo del popolo italiano, che riescono ad evadere dai limiti imposti dalla cultura in cui si nasce, e quindi l'avversione a forme troppo gerarchiche e di rappresentanza di gestione del potere, non debbano essere ri-imprigionate in queste nuove celle. Celle che rinchiudono una tensione libertaria all'interno di una logica di parlamento. Dove molti movimenti riescono ad andare oltre, avversando la vita parlamentare, quest'ultimi, inneggiando alla partecipazione istituzionale rinchiudono la partecipazione in una rappresentanza "più morale". E'nella quotidianità delle relazioni esterne alle istituzioni che creano socialità e forme alternative di vita che si rifonda la democrazia, non nel perpetuo, auto-assolutorio e periodico processo alla "partitocrazia" e alla "casta".





é pericoloso dire al popolo che le leggi non sono giuste, giacchè vi obbedisce solo perchè le crede giuste. Per questo motivo è necessario dirgli allo stesso tempo che bisogna obbedirvi perchè esse sono leggi, come bisogna obbedire ai superiori non perchè essi siano giusti, ma perchè sono superiori. (Pascal)

Questo post e ripreso da blog Before They Fall

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