martedì 2 ottobre 2012

L'autocandidatura


Mao tse-Tung
Mao Zedong, un datore di lavoro fra gli altri.
Vorrei entrare a far parte della squadra di Nuova Officina Italiana con questo racconto, che ho pubblicato sul mio blog alcuni mesi fa. Categoria che, se tanto mi dà tanto, continuerà ad espandersi, visti i tempi che corrono. Questo racconto è un pezzo d qualcosa che potrebbe essere un piccolo manuale di illusioni, errori da non fare, errori fatti. Sul mio blog, Frottole, scrivo anche finte guide per la perfetta riuscita nella ricerca del lavoro, tanto per prendermi gioco di quelli che le scrivono seriamente. Buona lettura!



Qualche settimana fa ho scritto e spedito un curriculum nuovo. È l'esatto opposto di quello che piace ai selezionatori delle risorse umane: è pesante, dettagliato fino all'inverosimile per quanto riguarda l'istruzione e i titoli accademici – diamine, mica piovono dal cielo! – privo di tutto ciò che li interessa e che tutti ci inventiamo: che facciamo volontariato, aiutiamo le vecchiette ad attraversare la strada, giochiamo a pallacanestro e di tanto in tanto facciamo anche viaggi avventurosi fino ai quartieri della periferia. Ci ho scritto pure che ho conseguito il titolo di dottore di ricerca, cosa che in un italico ufficio del personale suona un po' come ammettere di essere portatori di qualche orrendo esantema contagioso.
Avevo appena parlato al telefono con la mia signora madre, la quale è un'indignata di prima categoria. Perché la politica è in mano ai magnaccioni, perché l'economia va a rotoli (ed è in mano ai magnaccioni pure lei), perché l'età del suo pensionamento si allontana con effetto doppler, perché il suo posto di lavoro fisso fa schifo, perché tutto va avanti a forza di nepotismi, conoscenze altolocate, cortigianerie. Non uno spiraglio di luce nell'oscurità della valle della morte, e nemmeno il Signore al proprio fianco, che si sa che quando c'è lui non hai paura ad attraversare qualunque autostrada.
Soprattutto non uno spiraglio di luce per me, se non ricorrere a lontane conoscenze altolocate, salti sociologici tra reti amicali altrui, e via dicendo. Perché è tutto in mano ai magnaccioni e va avanti a forza di nepotismi e cortigianerie: urge adeguarsi. Suggeriva quindi di far pervenire il mio desolante curriculum, tramite vie traverse, fra le mani di un magnaccione: credo che sia l'amministratore di una qualche partecipata che mangia soldi pubblici emettendo fatture e nutrendo una discreta schiera di politici che altrimenti sarebbero giustamente disoccupati.
Mi viene difficile immaginare per quale motivo e in quali modalità io sia riuscito a rifiutar la ricca offerta e a non mandare a quel paese la mia signora madre come si meritava; però... il seme che cade nel buon terreno e con cura viene coltivato dà sempre frutto (buona idea per uno slogan, da rivedere e vendere alle Edizioni Paoline): e così mi è venuta questa idea del nuovo curriculum. E soprattutto mi è venuta l'idea del destinatario.
C'è qualcuno al quale posso rivolgermi e che forse mi può dare una mano. Ho spedito il mio curriculum al compagno Prachanda, corredato di una molto marxista lettera di presentazione. Per chi non lo sapesse, il compagno Prachanda, al secolo 'Puspa Kamal Dahal, è il segretario generale del partito comunista nepalese, un maoista con baffi d'altri tempi. È da qualche anno uscito dalla carica di primo ministro, ma è pur sempre uno che conta, e poi sembra anche un tipo alla mano. Faceva l'insegnante di agronomia prima di darsi alla guerriglia e rovesciare il regime semimedievale dei re per grazia di Dio o di chi per lui: ho pensato che potesse capire la mia situazione, comprendere l'entusiasmo che ho provato sapendo della loro vittoriosa rivoluzione, necessitare della collaborazione di uno scienziato sociale che magari non sarà il migliore dei sociologi ma nemmeno l'ultimo degli analfabeti.
Mi ha risposto. Il compagno Prachanda, Chairman of the Unified Communist Party of Nepal, risponde. Non come l'ultima delle segretariette d'azienda che sculettano e parlano con le vocali spàlancàte, e che con gioia cestinano il mio curriculum di intellettualoide di terza categoria appena lo vedono, non degnandosi nemmeno di dirmi che lo hanno fatto. Mi ha risposto con una mail in un inglese elisabettiano dicendomi che mi avrebbe telefonato sul numero di cellulare indicato nel curriculum, nella giornata di oggi.
Un'ora prima dell'orario indicato mi sono recato in piazza e ho cercato un bar con pochi clienti per potermi sedere e parlare tranquillamente. Il Luna Piena faceva al caso mio, e la cameriera anche, quindi ho preso un tavolino a caso all'aperto – erano tutti vuoti – e ho ordinato un caffè.
«Intende stare qui fino alla chiusura, con questo caffè?» mi chiede la cameriera.
«Sì» le rispondo sorridendo. Ti sbircerò un'altra volta, oggi ho da imprimere una svolta alla mia vita.
Oggi è una bella giornata di luglio. Il sole a picco, temperatura da lato soleggiato di Mercurio, quel poco di vento che dà ossigeno ai polmoni – all'ora di pranzo non si vede nessuno in giro. Gli indigeni sono così, qui nella Bassa Padana: vivono da sempre in questa sorta di incrocio estivo fra un forno e una cottura a bagnomaria, eppure non tollerano il caldo e l'umidità del loro habitat. Io sì, che a noi Mediterranei il caldo e l'umidità ci fanno un baffo. E poi, come dice un mio amico ligure: i nostri antenati hanno avuto più fame dei loro – e questo spiega sempre tante cose.
E in questa giornata di luglio lui, il Migliore ha chiamato me al telefono – io che sono il peggiore fra i comuni mortali votati alla rivoluzione proletaria, ché molto ho parlato in suo favore e tanto poco ho fatto.
Rispondo ad un numero inequivocabilmente straniero: Sì?, dico.
È il compagno Prachanda! “Buongiorno, compagno” mi dice.
È un grande onore parlarvi, compagno Prachanda.”
Si schermisce e mi dice che un segretario vale l'altro: quello che conta è il partito, i suoi quadri, la sua base – la loro fedeltà alla causa e al popolo.
Sagge parole. Vorrei averne sentite di così sagge almeno una volta, negli ultimi venti anni: e di così semplici.
Gli chiedo come stia, come vadano le cose a casa. Non c'è da lamentarsi, a quanto dice. È in ottima forma, tutto va come dovrebbe, e da quando non è più primo ministro ha smesso di soffrire di insonnia. Lo invidio, io che di insonnia soffro da quando sono disoccupato. Dice di capire la mia condizione; non dubito che anche lui sappia cosa vuol dire.
Il compagno Prachanda visse in clandestinità per venticinque anni, da quando entrò nel partito, prima che io nascessi. Conosce la povertà di persona, l'ha vista facendo l'insegnante, nelle campagne del suo paese.
A proposito – gli chiedo, – il paese come va? Il nuovo primo ministro, che tipo è? Se la sta cavando?”
Il paese avanza a grandi passi verso la modernità e il progresso, nuovo – piccolo – faro di socialismo nel mondo: i Cinesi sono lì che rosicano! esercito di venduti al profitto, al capitale, alle multinazionali occidentali.
Del suo successore non si lamenta; anzi, dice che si sta barcamenando piuttosto bene. Non è una posizione facile, quella di primo ministro – eccome se lo sa! – per questo non se la sente di criticarlo quando commette qualche scivolone. È inevitabile compierne, d'altra parte. È come stare in equilibrio sulla punta di uno spillo, mentre qualcuno prova a spingerti da una parte, qualcuno dall'altra, e tutti vogliono qualcosa – in genere soldi. Burocrati, tecnici, industriali, agrari, per non parlare dei parlamentari, che sono di un'avidità immonda e di un'incompetenza rara.
Gli dico che questa descrizione mi ricorda qualcosa, ma che dubito assai che l'avidità dei loro parlamentari possa avvicinarsi a quella dei nostri, e lo stesso vale per l'incompetenza.
Ridiamo.
È un piacere parlare con il compagno Prachanda. È una persona colta e spiritosa, affabilissima e di grande saggezza. Parliamo del Nepal, dell'Italia, della preoccupante caduta dei diritti dei lavoratori nell'occidente, dello sviluppo impetuoso e disordinato della Federazione Indiana, del movimento no-global, di Balotelli che è forte. Però lì, al partito, non hanno posizioni aperte al momento: terranno comunque in considerazione il mio qualificatissimo curriculum qualora se ne presentasse l'occasione.

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