giovedì 30 agosto 2012

SBATTI IL MOSTRO IN PRIMA PAGINA - I minatori del Sulcis

Ritagli - di Giuseppina Ferrara
La Sardegna non sta attraversando, diciamo, un periodo affatto felice. Insieme alla Sicilia sta soffrendo la più forte deindustrializzazione in atto in Italia. 
In Sicilia la questione degli stabilimenti FIAT di Termini Imerese è ancora lì tutta intera. La fabbrica FIAT aperta nel 1970 con i contributi determinanti della Regione Sicilia ha fermato definitivamente le produzione a fine Novembre 2011. Adesso si attende (dopo che gli operai e gli impiegati sono stati messi in mobilità) che si riesca a sbloccare l'acquisizione del neo-produttore automobilistico cinese DR Motor Company (o della BMW, con minore probabilità). La motivazione ufficiale della chiusura fu il costo logistico per il trasporto in Sicilia dei pezzi da assemblare... 
In Sardegna è da anni che l'Alcoa (acquisita dagli statunitensi con la privatizzazione) ha prima usufruito di aiuti di Stato provenienti dalle nostre bollette energetiche dal 1995 al 2009 pagate da tutti gli utenti, salvata per quanto è stato possibile fin nel 2010 con decreti legge ad hoc... ed adesso in via di smantellamento e delocalizzazione nei Paesi Arabi.
La questione delle miniere del Sulcis a Carbonia è altrettanto lunga nella storia travagliata del lavoro in Sardegna, e della salute pagata a basso costo in questa Regione come in altre che nei giorni scorsi affollavano le cronache giornalistiche italiane. Ed è delle cronache giornalistiche che qui, adesso, vorremmo avviare un attimo di argomentazione e porre in discussione.
30 minatori sono asserragliati a 373 metri sottoterra con esplosivo e detonatori dichiarando di essere pronti a far esplodere tutto se pensano di chiudere le miniere. Uno di essi, difronte ai giornalisti ed alle telecamere, ieri poco dopo le 11 del mattino estrae un coltello e si ferisce l'avambraccio. Fra un "levatevi dai coglioni" di taluni minatori ed altri invece che chiedono "che nessuno vada via", frasi gridate dopo il gesto autolesionista, il giornalismo italiano non ha mancato di dare la propria informazione su quanto accaduto, anche visiva attraverso le riprese del gesto avvenuto nella conferenza stampa dei minatori in dimostrazione. Se volevano spaventarci, scrive Elvira Serra sul Corriere online, ebbene ci sono riusciti.
Stefano, così si chiama il minatore che ha compiuto il gesto autolesionista, prima di tirare fuori il coltello ed avvicinarlo alle sue braccia ha gridato "se qualcuno ha deciso di uccidere i minatori allora ci tagliamo noi". 
E' indubbio che il gesto voleva essere un grido disperato per il disagio profondo che quei minatori stanno attraversando, un gesto per alleviare il dolore emotivo che certamente attanaglia i sentimenti di quelle persone che non intravedono, oltre quelle miniere, nessuna possibilità alternativa di ricollocazione professionale. E questa è una situazione molto comune in talune (anche troppe) parti d'Italia, dove gli squilibri produttivi ed occupazionali hanno deciso il passato così come il presente politico sociale ed economico delle stesse. E che adesso è origine di reciproco ricatto da parte di tutti e di ognuno. Uno scenario fin troppo opportuno per chi conosce le pratiche di controllo. Qui  a Carbonia come a Taranto, ad esempio.
Il giornalismo, invece, e sopratutto quello ritenuto moderato, si è buttato sulla notizia. Lo ha raccontato, ripetutamente trasmesso in ogni notiziario, commentato. Non ha seguito la regola aurea che il bravo Volontè, interprete di un direttore di testata giornalista in un vecchio film di Bellocchio - Sbatti il mostro in prima pagina - , indica al giornalista novello su come si trattano le informazioni, su quali precise parole utilizzare affinchè non venga turbato il senso comune dei lettori del giornale (cliccando qui il link dello spezzone per chi riceve le mail dei post). Qui oltre  il video per coloro che leggono direttamente sul blog.



Da che si abbia memoria, ci appare questa la prima volta in cui una nuova categoria di mostro viene sbattuta in prima pagina, quella del lavoratore che oltrepassa la normale manifestazione di lotta anche esasperata per rivolgere il suo gesto di denuncia contro sè stesso e la sua propria integrità fisica, esprimendo così tutta la sua rabbia e parimenti la fuga dalle consapevolezze che il suo ruolo, sociale politico e produttivo, gli domandano. Certamente il giornalismo italico ha utilizzato le immagini e le parole affinchè potessero esasperare la drammaticità dei tempi che stiamo attraversando sul fronte occupazionale e produttivo, calcando la mano sugli aspetti emotivi che quelle immagini richiamano all'attenzione di tutti. Ma coloro che da questa faccenda ci rimetteranno saranno oltre Stefano, che trascorrerà parte della sua vita a nascondersi questo gesto insensato, anche tutti i suoi compagni di lotta che su quel gesto, insieme ai giornalisti, ci costruiranno una battaglia ad uso e consumo di coloro che potranno, comodamente seduti nelle poltrone del dopocena, sentirsi fortunati e lontani dal dramma di quel territorio così come di altri, oppure ancor di più indotti all'angoscia e alla inconsapevole accettazione che non v'è rimedio, proposta, soluzione possibili. Ed è molto probabile che proprio su questi aspetti più emotivi e psicologici e quindi per noi inconsapevoli che oggi il nuovo ceto giornalistico voglia puntare: ammorbare ulteriormente l'aria impotente e rassegnata che sta attraversando tutto il settore produttivo italiano, sia quello dei lavoratori che delle imprese.  Vedasi il fenomeno così ampiamente raccontato dei suicidi degli imprenditori, che mentre veniva quotidianamente raccontato sui media di fatto era un fenomeno statisticamente non più rilevante rispetto a stagioni non così critiche come quella di adesso. Eppure le emozioni a riguardo si sono ottimamente dispensate un tanto al chilo affinchè i nostri palati così ben allenati ai talk show potessero trovare la piena corrispondenza fra la realtà di quanto accade un po' più in là e la rappresentazione finta dei contenitori televisivi che frizionano i nostri stati d'animo e che sono un po' più in qua.
Ciò che Stefano ha compiuto ieri è un gesto che non deve essere esaltato anche attraverso lo strumento retorico della trasmissione dello "spavento" da parte dei giornalisti, ma semmai definito come il gesto inconsulto di una persona che certamente ha problematiche più estese di quelle che sta vivendo sul piano occupazionale e che sicuramente non lo aiutano e non gli giovano nel contenimento emotivo. Porre una relazione causale fra quel gesto e l'eventuale chiusura delle miniere del Sulcis è sleale e fuorviante, e nasconde obiettivi ben più precisi dal punto di vista socio-politico ed economico.
Forse tutto questo si capirà quando operai e imprenditori smetteranno di lottare per i propri posti di lavoro o le proprie aziende, ma cominceranno a farlo per i più ampi territori di cui sono stati espressione e che abitano. Poichè ci sono tecnologie e materiali che possono sostituire il carbone così come l'acciaio. Ci possono essere possibilità di lavoro ulteriore ed altre economie produttive. Bisogna volerle.
E' questo che bisogna che tutti si riprenda a domandare: un futuro, quello da cui quel minatore è fuggito, con il biglietto convalidato dai mass media che han messo a disposizione la carrozza super lusso per il viaggio. Non solo per lui, ma un po' per tutti quanti noi. Un'odissea ai confini dello spazio ed in prossimità dei luoghi dell'esilio dei diritti di cittadinanza.




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