martedì 17 luglio 2012

Lavoro sperato e Lavoro negato


Henri Cartier Bresson - Basilicata, Monte Cotunio


Si è sviluppato di recente, anche nel web, un dibattito se il Lavoro sia un Diritto presidiato anche dalla nostra Costituzione. O, se l’articolo che lo dispone, sia rimasto solo una foglia <secca> su un ramo non più attuale.  Diritto si, diritto no?

Aiuta alla possibile risposta, allora, chiedersi che cosa sia il <Lavoro> nelle nostre democrazie attuali.
Non si può non vedere, allora, credo, che le nostre attuali democrazie, e la Società civile che ne discende, siano figlie dirette del Lavoro.


Le nostre società attuali risultano infatti tutte sorgere dalle Rivoluzioni borghesi di inizi 800.
Prima inglese, e poi Francese. Anche se non proprio identiche. E la rivoluzione borghese, il cui nome viene poi da <borgo>, dove erano situati i nuovi opifici manifatturieri e i centri del commercio, era LAVORO.
Lavoro di chi lo offriva, e di chi lo prestava in grandi numeri crescenti.

E questi nuovi ceti sociali assieme, pur nelle grandi contraddizioni e sacrifici di tanti, aprirono la porta al nuovo evo attuale.

Essi, vollero le Costituzioni, a garanzia dei nuovi diritti e bisogni. Essi vollero le democrazie elettive, dove la forza dei nuovi <cittadini pari> fosse capace, col voto, di arginare il privilegio precedente della Rendita Parassitaria di pochi su tutti gli altri.

La loro leva di legittimità, di consenso, e di cambiamento, era appunto LAVORO.
Lavoro per tanti, e, potenzialmente per tutti.

Ma il nuovo Lavoro non era di Servi, di Schiavi. Era lavoro, in prospettiva pari, remunerato con un salario.

Ed è a questo punto che lo Stato delle Caste, padrone incontrastato precedente, si dissolve.

L’uomo che lavora, sia che lo offra, sia che lo presti, è un uomo pari. Perché provvede ai propri bisogni, e della sua famiglia eventuale, con il proprio personale lavoro ed i suoi leciti redditi.

E assieme ad essi, la Donna compare, e poi si afferma, anche essa cittadina pari. Perché anche Lei lavora., e dunque anche lei ha, adesso, un suo reddito personale.
E dunque, adesso, non è più <obbligata> potenziale concubina domestica in casa, o passiva <merce> di scambio di altri.
Ora, la Donna, ha anche essa un suo REDDITO.
E grazie ad esso, potenzialmente, finalmente parla, scrive, sceglie, pensa, anche pubblicamente.

Forse proprio la Donna svela sino in fondo la potenzialità dirompente del Lavoro come leva dell’assetto sociale.
Una Predicazione Alta di due millenni prima, la vedeva però ancora rimanere serva inerme in balia piena di altri. Assieme ai suoi figli.
E adesso invece accade che il LAVORO anche suo progressivamente la libera, la fa cittadina pari senza più vincoli e lacci di Genere: grazie al suo Reddito personale da Lavoro.
La riprova appare venire, - purtroppo – anche all’inverso.

Dove la Donna risulta anche oggi espulsa, per le più varie inique ragioni, dal Lavoro personale, la condizione della Donna pari arretra vistosamente. O, crolla. Come oggi anche da noi, dove si espelle <intenzionalmente> la Donna dal lavoro riconducendola, nei fatti, volente o nolente in casa dipendente di altri. Redditi. O a mera < merce> impotente di commerci altrui.

Ed allora, il Lavoro, è un diritto, o un vago simulacro ormai divenuto inerte?

Da quello che abbiamo appena provato a vedere, in realtà appare che la nostra attuale società democratica, non solo italiana, è LAVORO. O non è.

Perché è il Lavoro, in tutte le sue forme, con i suoi leciti redditi personali, che apre la porta ad ogni altro diritto reale. Personale e collettivo. E, ne legittima il contrappeso dei Doveri. Anche essi Costituzionali. Ed è questo infatti che risulta il <grande patto> tra pari e che fonda gli Stati democratici attuali.
Diritto o sperato, a questo punto poco cambia.


Ma le attuali società globalizzate non consentono il Lavoro, né come diritto, né come sperato…
Questa appare la grande mistificazione di un Autoritario tentativo di Restaurazione anche europea. Ed italiana in specie.

Nelle globalizzazioni, il proprio lavoro nazionale si tutela, e si espande, alzando la fascia di prodotto nella Creatività e nell’Innovazione, nella Cultura e nella Qualità. Ed in quella fascia, se ti affermi coerente, il competitore in valuta non è più un problema di vita o di morte. Perché corri e speri su un piano diverso. Dove però il tuo valore aggiunto della tua merce non è <l’euro> in meno di costo del lavoratore dipendente. Ma il tuo sistema paese e l’immagine anche, del prodotto che vende.

Ma se non lo vuoi fare, come Paese, allora provi a vivere di rendita dell’immagine residuale che ancora possiedi e che non curi. Allora, ti porti in casa il Terzo mondo, invece di recare lavoro pari anche a casa loro, perché ti scardinino, pur inconsapevolmente, le aspettative reddituali eque del tuo lavoro nazionale.

Essi infatti, gli altri, nel legittimo desiderio di evolvere al meglio, prendono volentieri retribuzioni mediocri, qui, apparentemente.
Ma a casa loro quel salario mensile, che non fa più vivere l’italiano e l’italiana ed i loro figli, ogni volta si moltiplica in una piccola fortuna valutaria.
Ecco perché vengono e si sacrificano in tanti, in ogni epoca e tempo, dove li retribuisca un valore tanto più grande del proprio denaro natio.
Come sa bene chi scrive, nipote di un nonno materno emigrato per 15 anni in Usa a inizi 900; e con ritorni solo ogni 5 anni. Ma le sue rimesse valutarie in dollari salvarono dalla fame del borgo italiano in miseria la mia mamma, e concessero anche il possesso di qualche nuovo apprezzabile bene materiale alla famiglia. Mia madre, novantenne, taceva ancora attenta quando la tv dava i cambi dollaro lira… la sua sopravvivenza di bimba italiana.

Si può comprendere se personalmente non sia dunque partecipe, ed anche credo capace d’intendere, il sogno di chi speri lontano da casa, soffrendo e risparmiando su tutto.
E dunque annoto sereno anche quel che segue.

Risulta infatti che in questi tempi italiani, mischiando doveri morali reali o presunti di tanti con la RENDITA cattiva di pochi, puoi arrivare ad avere, come fosse normale, una Italia con oltre 7 milioni di immigrati, a fronte di oltre 5 milioni italiani inoccupati.
E non credo occorra un matematico per constatare che 7 - 5 = 2 milioni di ancora possibile spazio d’immigrazione a  Zero disoccupazione nazionale.

Si cacciano, allora? Giammai, sono esseri umani come noi e assai anche italiani nei loro figli e figlie tanti di essi. Ma, magari, intanto ci si ferma di accogliere altri ancora, se il tuo paese non mangia.
Perché le lacrime degli uni e le lacrime degli altri - e per i propri figli affamati -  risulta abbiano lo stesso valore dinanzi al Creatore.

E tuttavia, invece, appare farsi finta, a destra ed a manca, che tutto sia normale. E vada anche bene.

Poi, ti salta il pil, ti scappa via lo spread qualunque tassa nuova metti. E ti meravigli pure , dando l’unica colpa al destino cinico e baro. SENZA AMMETTERE MAI CHE E’ DEL TUTTO NORMALE CHE ACCADA IN UNA NAZIONE RESA intenzionalmente SENZA LAVORO.

Ma se non cambi come nazione, ed anche in fretta, può anche sfuggirti di mano la Democrazia e lo Stato moderno che reca. E che non possono convivere a lungo con la Miseria di massa. Essendo sorti, l’una e l’altro, proprio per sconfiggerla.

Col LAVORO tendenzialmente per tutti.
Diritto o sperato, poi poco cambia.

E, si può restituire occupazione per tutti tendenziale e pure con più eque retribuzioni, anche senza aumentare il Debito Pubblico, e già oggi in questa nostra nazione?
Ritengo personalmente proprio di si. Ma anche questa, appare, una eventuale nuova riflessione.

staffa

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