venerdì 13 luglio 2012

La nostra mente deve lavorare molto
(dall'amianto all'elettrosmog)



1.

Tempo fa dedicai moltissime energie per convincere un tale, inquilino proprietario di una casa il cui tetto in eternit disperdeva fibre in grande quantità essendo in fase di sgretolamento manifesto, che la situazione era pericolosa. In quella villa due piani con mansarda, in un paesino del tanto civilizzato Nord, quell'uomo abitava con la moglie e il figlio. Tutti e tre, forse per una qualche sfrontatezza genetica, nei mesi caldi si mettevano sul terrazzino in bella mostra per prendere il sole o di sera a guardare verso l'orizzonte per ore, con il naso a pochi centimetri dalle lastre ondulate dell'eternit, alcune addirittura frantumate in parte da una leggendaria grandinata di non so che anno. Io, da persona informata sui fatti, insomma da suo compaesano, cercavo di fargli intendere. Ma lui: niente. Se gli dicevo, a esempio, che i morti da eternit sono paragonabili, numericamente, a quelli di una piccola guerra, e gli documentavo il racconto, mostrandogli articoli di giornale nonché stralci di testi divulgativi recuperati in internet, dal canto suo era certissimo che la faccenda dell'amianto fosse un complotto, ordito dai media e da certe industrie che sapeva lui, per prendere in giro i bravi cittadini. E se, per esempio, lo informavo del fatto che non solamente gli operai addetti alla lavorazione dell'asbesto, ma anche gli impiegati negli uffici adiacenti le fabbriche, che non avevano apparentemente un contatto ravvicinato coll'amianto, e le mogli addirittura degli operai, per il solo fatto che lavavano a mano le tute da lavoro dei mariti, intrise di fibre tossiche, anche loro morivano di mesoteliomi e carcinomi, e continueranno a morirne nei prossimi anni dal momento che il tempo di latenza degli effetti non è esaurito ancora; lui che mi diceva? Che davo troppo retta all'internet, io, e ai giornali, e il complotto etc etc etc. Ma il mio compaesano non era uno stupido. Aveva tutto il corredo di strumenti, innanzi tutto il senso pratico e il buon senso da self made man, per capire e magari evitar di spanciarsi al sole e all'aria, con la moglie e il figlio, e, da uomo sensato, far fare una benedetta bonifica al suo tetto. E magari ricostruirlo daccapo. Il compaesano non era povero, né gli mancava l'iniziativa.
Ma allora perché?



2.

Ho ripensato a questa questione nel maggio 2011, mentre discutevo in un famoso blog con una lettrice, nella coda dei commenti a un mio post sul tema dell'elettrosmog. Giusto per capirci, ecco un riassunto in tre punti del post che scatenò quella strana discussione. Il focus era la pericolosità presunta delle tecnologie senza fili, i possibili rischi da esposizione ravvicinata e continuativa al wi-fi nei soggetti più vulnerabili: bambini e adolescenti. Si tratta insomma di tre buone ragioni per guardare con ragionevole sospetto detta tecnologia; o quantomeno di buoni argomenti contro l'uso del wi-fi a scopi didattici nelle scuole elementari. Perché la mia era una reazione d'impulso, scientificamente e razionalmente sostenuta, all'annuncio degli allora ministri Gelmini e Brunetta dell'avvio di un progetto intitolato: “Scuole in wi-fi” che si poneva l'obiettivo d'adottare massivamente le tecnologie wireless nell'ambito dell'insegnamento, a partire appunto proprio dalle scuole elementari. (Il pezzo si può leggere sul web qui, e scaricare in PDF qui).
Dunque perché tenere lontani i bambini dal wi-fi?

1)
Il 18 maggio 2011 il Consiglio d'Europa ha definito le tecnologie wi-fi un “potenziale pericolo” per la salute pubblica. Di conseguenza ritiene che l'uso delle tecnologie wi-fi andrebbe limitato il più possibile. Suggerisce perciò ai Governi degli Stati Membri di:
– revisionare i limiti correnti all'esposizione alle radiofrequenze;
– fare sì che gli utilizzatori del wi-fi vengano allertati con avvisi sulla pericolosità, analoghi a quelli sui pacchetti di sigarette;
– evitare l'uso di questa tecnologia nelle scuole e nei luoghi pubblici.


Il Consiglio d'Europa, cito dal sito istituzionale, “ha come obiettivo quello di favorire la creazione di uno spazio democratico e giuridico comune in Europa, nel rispetto della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e di altri testi di riferimento relativi alla tutela dell’individuo.”

2)
Il 31 maggio l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro ha classificato i campi elettromagnetici a radiofrequenza come “possibilmente cancerogeni”. In particolare sono agenti possibilmente cancerogeni i campi elettromagnetici prodotti da telefonini, apparecchiature radar, ripetitori televisivi, per la telefonia mobile, router wi-fi.

Un Gruppo di Lavoro di 31 scienziati provenienti da 14 Paesi ha valutato i risultati di centinaia di ricerche scientifiche, prima di arrivare a questa conclusione, si apprende dal comunicato stampa di AIRC. Sono indagini epidemiologiche sull’uomo e studi sperimentali condotti sugli animali. La conclusione di AIRC è che l’esposizione prolungata e intensa ai campi elettromagnetici a radiofrequenza provoca un incremento del rischio di contrarre gliomi e neurinomi, rispettivamente tumori del cervello e del nervo uditivo.


3)
Secondo un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, fino al 3 per cento della popolazione di un buon numero di paesi occidentali, denuncia i sintomi dell’elettrosensibilità.
Tra i sintomi, nei racconti delle persone che affermano di essere elettrosensibili, figurano: emicranie, sudorazione, tachicardia, vertigini e stanchezza; ma anche disturbi del comportamento e dell’attenzione, ansia e stati depressivi. L’insorgenza e l’inasprimento dei sintomi si hanno con l’esposizione prolungata a fonti elettromagnetiche comuni, tra cui i dispositivi wi-fi.
Un resoconto più dettagliato della situazione generale si legge in questo articolo.
Oltre agli studi del neuroscienziato Johansson, in base ai quali il Regno di Svezia ha riconosciuto l’elettrosensibilità dal punto di vista clinico e giuridico, sono centinaia i pareri medici e scientifici favorevoli.
Ci sono docenti universitari, scienziati e medici, tra cui neurobiologi oncologi biofisici e biologi, che affermano l’urgenza di considerare gli effetti nocivi dell’esposizione ai campi elettromagnetici.
Di seguito sono riportati alcuni pareri.

Nel giugno del 2008 più di cinquanta scienziati hanno firmato la “Risoluzione di Venezia”, con cui affermano:
“Riconosciamo il crescente problema di salute pubblica conosciuto come elettrosensibilità; che questa condizione di salute può essere molto invalidante, e che tale condizione richiede ulteriori urgenti indagini e riconoscimento.
E’ vivamente consigliato l’uso limitato di telefoni cellulari e altri dispositivi simili, da parte di bambini e adolescenti, e si richiede ai governi di applicare provvisoriamente il Principio di Precauzione, finché misure biologicamente più efficaci non saranno state sviluppate a protezione, non solo per quanto riguarda l’assorbimento del cervello di energia elettromagnetica, ma rispetto agli effetti negativi dei segnali sulla biochimica, sulla fisiologia e sui bioritmi elettrici.”

Un parere simile era stato espresso due anni prima nella risoluzione di Benevento, il cui testo in italiano si trova a questo indirizzo.

Nel 2009, l’oncologo Dominique Belpomme, il professore di oncologia Lennart Hardell, con il neuroscienziato Olle Johansson, dichiarano pubblicamente:
“Noi, i medici, che agiscono sotto il giuramento di Ippocrate, noi, come ricercatori (…), affermiamo in completa autonomia di giudizio, che esiste un numero crescente di pazienti diventati intolleranti ai campi elettromagnetici che subiscono un grave danno per quanto riguarda la salute e la loro vita lavorativa e familiare, che non è possibile escludere l’evoluzione di una malattia degenerativa del sistema nervoso e anche alcune forme di cancro, e, pertanto, che il danno deve essere riconosciuto e considerato dai sistemi di protezione sociale nei vari Stati membri della Comunità Europea.
Mettiamo in guardia il governo che lo stato attuale delle nostre conoscenze, non esclude che dopo un periodo sufficiente di esposizione, questa intolleranza possa coinvolgere anche i bambini e quindi causare un problema di salute pubblica importante nei prossimi anni” (Qui si trovano i filmati degli interventi; qui il testo in francese della dichiarazione).


E ora ritorniamo alla discussione nel blog in cui l'articolo era stato pubblicato.
Una lettrice, madre di un bambino inserito già in un progetto simile, turbata forse per il fatto che il figlio regolarmente svolgesse attività didattiche con un computer connesso ad una rete via wireless, magari anche per quell'onnipresente senso di responsabilità materno (voglio dire di colpa, ma retrodatato...) cercava in tutti i modi di farmi ammettere che nell'articolo avevo esagerato. A preoccuparmi erano soprattutto i modi. Va bene che, lo sappiamo tutti, in internet, e nei blog in particolare è molto facile attaccare il ragionatore, anziché il ragionamento, uscendo dalla logica del pensiero razionale. Eppure la pretesa di razionalità del suo intervento irrazionale – che non riporto – aveva del sorprendente.
Proprio come il mio compaesano, nei confronti della sua casa – mi è subito venuto in mente. Anche lei respingeva in toto l'idea che in un ambiente sicuro per definizione – la scuola – ci fosse un elemento di insicurezza o addirittura di pericolo.
Io mi sarei aspettato l'opposto. Poiché le fonti citate nel mio articolo sono autorevoli, poiché il discorso segue gli step del pensiero razionale, non la retorica facile dell'allarmismo, c'era da aspettarsi una presa di coscienza. Per come io la vedo, quel genitore avrebbe dovuto esigere più informazioni dalla scuola e dalle istituzioni; avrebbe dovuto voler capire. Invece, pareva proprio voler eleggere me e il mio articolo a elementi di insicurezza – se non di pericolo – per il benessere del figlio, e come tali si impegnava a renderli inoffensivi verbalmente.
In tempi recenti il meccanismo di difesa del compaesano ha ceduto al buon senso. Ha fatto rimuovere il tetto da una ditta specializzata, ne ha costruito un altro.
Ma, se si pensa che la minaccia all'ambiente sicuro per eccellenza, la casa, era una minaccia ormai certa, scientificamente provata, associata a patologie precise, ovvero chiara e circoscritta, che ci abbia messo anni a capire, non essendo affatto stupido, è emblematico. Ciò significa che il meccanismo di difesa (descrivibile con la tautologia “Il mio ambiente sicuro è sicuro”) è davvero resistente: fino alla stupidità. Prima di accettare che nelle sfere di nostra competenza si possa annidare un pericolo, la nostra mente deve lavorare molto. A pensarci quindi non è strano che, nel caso dell'elettrosmog in cui non esistono, come per l'amianto, certezze inoppugnabili, ma solo sospetti legittimi, a volte sperimentalmente fondati, in tal caso il meccanismo difensivo di quel genitore, e magari anche quello degli scettici per abitudine che hanno letto fin qui questo articolo, abbia una tal resistenza.
Credo si tratti di un residuo di istinto animale. Me lo fa sospettare il comportamento dello struzzo. Noto a tutti.

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