mercoledì 25 settembre 2013

Siamo noi i nipoti di Keynes: Per una discussione su decrescita ed economia - di Marino Badiale, Genova, Settembre 2013.


1. Introduzione
Questo articolo vorrebbe essere uno stimolo per una discussione sul tema della decrescita fra i sostenitori della decrescita stessa, da una parte, e, dall'altra, quegli economisti eterodossi che contestano in modo radicale le attuali politiche di austerità, e in generale il pensiero e le politiche neoliberiste, a partire da posizioni keynesiane o marxiste o da una mescolanza delle due correnti di pensiero. Si tratta di un dibattito che ho a più riprese  invocato, l'ultima nelle pagine finali del libro sull'euro scritto assieme a Fabrizio Tringali [1]. Purtroppo le diffidenze e le ostilità fra i due gruppi non sembrano diminuire. I decrescisti vedono nelle posizioni degli economisti “eterodossi” semplicemente una versione “di sinistra” del dogma della crescita che essi combattono, gli economisti “eterodossi” vedono nella decrescita una ideologia reazionaria, confusionaria e incapace di fornire risposte reali e non regressive ai drammatici problemi contemporanei.
È mia convinzione che queste diffidenze possano e debbano essere superate, e in questo scritto cercherò di argomentare questa convinzione. Credo che questo superamento sia un'urgenza del tempo presente. La crisi che il mondo oggi attraversa risulta dal confluire di varie crisi relativamente indipendenti: siamo di fronte infatti ad una crisi economica che non si riesce a superare e ad una incipiente crisi ecologica [2]. E' evidente che non è possibile fornire risposte separate a queste due crisi. La risposta alla crisi ecologica non può prescindere dai problemi drammatici della disoccupazione e delle crescenti ineguaglianze, perché, se facesse così, la preoccupazione per l'ambiente apparirebbe come una fisima di benestanti senza problemi. D'altra parte, la risposta alla crisi economica non può sperare di ripercorrere le strade tipiche del keynesismo del  “trentennio dorato”, perché quel modello era basato sulla fortissima crescita dei consumi materiali, che oggi non sembra più possibile dati i vincoli ecologici [3]. Il confronto su questi temi appare quindi una esigenza imprescindibile per confrontarsi seriamente con la nostra realtà.
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1 commento:

Vincenzo Cucinotta ha detto...


Riporto anche qui il commento già postato su Mainstream.

"In sostanza, per te l'accordo tra decrescisti e Keynes sta nel fatto che entrambi immaginano una società in cui venga ridotto il tempo lavorativo.

Mi pare che si tratti di una concordanza poco significativa. Keynes ( e Mazzetti bene ne tramanda il pensiero), pensa che l'economia crescerà tanto che il livello dei consumi potrà essere alto anche lavorando poco, mentre i decrescisti pensano che la riduzione del tempo lavorativo sia un mezzo per evitare di avere una produzione così alta da compromettere gli equilibri ambientali: mi chiedo dove stia la concordanza allora.

Per quanto mi riguarda, mi colpisce sfavorevolmente il fatto che i decrescisti parlino di tempo libero (esattamente come i capitalisti in quest'aspetto),e quindi ammettino che parte del nostro tempo va ceduto per espletare attività considerate ineluttabilmente sgradevoli. Il tempo libero è appunto l'invenzione dei capitalisti a cui non basta essersi appropriato del tempo lavorativo, e vogliono lucrare anche del resto del nostro tempo: definirlo libero non solo implica che quello lavorativo non lo è per definizione, ma che è vuoto: Infatti,quando si dice che un posto è libero? Appunto, quando esso è vuoto, mentre il tempo di una persona realizzata non è mai libero, come non è mai interamente vincolato.

Credo infatti che Latouche abbia su questo punto torto marcio, ciò su cui una politica ambientalista dovrebbe intervenire è invece sulla qualità del lavoro, e tanto per uscire dal generico, dal rifiutare la competitività. Insomma, invece di accettare che il lavoro sia sgradevole per definizione concentrando così gli sforzi sul ridurne la durata, dovremmo a mio parere riprenderci anche quel tempo tentando di rendere il lavoro il più gradevole possibile, senza l'obbligo di produrre più velocemente di altri. E' questa insensata competitività che rende il lavoro odioso, ed è su questo che si dovrebbe intervenire.

Il puinto fondamentale è tuttavia costituito dal fatto che nei fatti è proprio la scuola di Keynes che si trova agli antipoldi dei decrescisti, proprio perchè, contrariamente ai monetaristi che privilegiano la stabilità, essi predicano come priorità la crescita: crescita contro decrescita, potrebbe esserci opposizione più assoluta?

continua dal precedente...

La questione del rapporto con il pensiero di Keynes è più che mai di attualità oggi, visto che io trovo il modo sostanzialmente acritico con cui vasti settori che includono anche gli ambientalisti, nello sforzo di opporsi alla sventura dell'euro, finiscono per sposare le politiche espansionistiche di USA, UK e Giappone, apparentemente dimenticando come sia proprio la politica insensatamente espansiva, ad avere prodotto la crisi, Capisco che sitratti di un modo irrituale di seguire Keynes (alcuni parlano di monetarismo keynesiano), ma oggi è questo il modo con cui viene interpretata quella dottrina.

Crtedo che invece si possa essere contro l'euro anche essendo fieramente contrari con le politiche insensantemente espansive di quei paesi che ho citato, ma sarebbe troppo lungo argomentarlo qui."