sabato 6 luglio 2013

Quale patto di cittadinanza possibile fra lavoratori e padroni

1497-1498 Albrecht Durer - Apocalisse. Bestia di blasfemia e bestia della tentazione

Mentre la compagine governativa chiacchiera se è meglio tagliare il costo del lavoro o esentare dall'IMU la prima casa (non è chiaro se di residenza o no), costringendo il povero Enrico Letta a fare l'equilibrista invece che dettare l'agenda politica e l'indirizzo politico dell'esecutivo, il mondo del lavoro si muove, eccome se si muove. Anche contro le indicazioni dei sindacati, persino di quelli che, spergiuri, hanno collaborato attivamente affinchè determinate condizioni giuridiche e contrattuali potessero essere sperimentate ed attuate.



Dario di Vico sul Corriere ci mette a parte di questa notizia

Joint & Welding di Sedico in provincia di Belluno. Eddi Della Rosa, proprietario dell'azienda siderurgica (30 addetti), ha chiesto ai suoi dipendenti di lavorare mezz'ora in più al giorno a parità di salario per tenere in piedi l'attività e non chiudere i battenti. La stragrande maggioranza degli operai, tutti tranne un paio, ha accettato seppur obtorto collo e quindi rinunceranno a due pause giornaliere di 15 minuti ciascuna.

Ora, da quanto scrive il giornalista non si ricava chiaramente se anche questo imprenditore abbia "estorto" tale condizione contrattuale attraverso la minaccia di chiudere e mettere in mobilità i lavoratori. Le parole "obtorto collo" lasciano sotto intendere che una soggezione abbia agito affinchè questo risultato fosse raggiunto. Con certezza, però, si può dire che il modello Marchionne e Bonanni comincia a produrre i suoi effetti, e li produce senza quell'infelice perchè irreale presupposto che aveva animato i sindacalisti della FIM-Cisl, ovvero che gli accordi aziendali sarebbero comunque stati firmati dalle parti sociali istituzionali, dimentichi che lo stesso accordo-quadro del 2008, firmato all'epoca solo dalla Cisl e dalla UIL (e poi firmato anche dalla Cigl) prevedeva che, costituendosi un sindacato dei lavoratori anche solo aziendale e non riconosciuto nelle sigle dei sindacati maggiormente rappresentati, sarebbe diventato possibile derogare ai contratti collettivi nazionali. Come si dice?, chi è causa del suo male, pianga sè stesso.

Il giornalista però sa bene che la storia e la tradizione delle relazioni industriali del Veneto e del NordEst in generale è molto particolare. Le piccole dimensioni delle aziende e delle fabbriche, il basso utilizzo di manager e funzionari del capitale privilegiando invece lo stretto rapporto diretto fra padronato e lavoratori, consentono che fra lavoratori e padroni si instauri una comunicazione ed una costruzione di senso comune. Fino a non molto tempo fa, un comune operaio specializzato nella tornitura e nell'uso della macchine a CNC e senza neanche il possesso di un titolo professionale adeguato ma solo provvisto di una qualche esperienza dell'uso delle macchine, era oggetto di vere e proprie compravendite fra imprese, e il mercimonio cui a volte si assisteva rasentava l'indecenza. 

In poche parole, nel NordEst i lavoratori molto spesso hanno respirato (ed in parte ancora respirano lì dove ancora le contrattazioni aziendali fra le parti sociali e il padronato non assumono carature istituzionali e sono ancora veicolate dalle relazioni personali fra padrone e lavoratore) l'aria (culturale) dei padroni, simulandone anche stili di vita e consumi: vacanze all'estero, auto di grossa cilindrata, abitazioni in mono o bi-familiari, fruizione dei servizi di ristorazione più volte alla settimana. E' dato accertato che il reddito medio del Veneto è al terzo posto in Italia con i suoi 2.800 euro mensili, dato che la dice lunga sulle sperequazioni esistenti nella popolazione attiva di questa regione, che vede alcuni fruire di altissimi redditi ed altri immiseriti con stage, contratti a termine, e paracontratti di ogni genere. Questa ultima schiera umana, una volta assediata quasi esclusivamente dai giovani e dai lavoratori delle fabbriche a più alta densità e sindacalizzate, oggi vede come nuovo protagonisti anche gli espulsi dal mercato del lavoro per la crisi che anche in Veneto si fa sentire parecchio. 

La permeabilità dei lavoratori del NordEst alla cultura imprenditoriale qui operata ha anche prodotto i suoi buoni effetti, come lo stesso giornalista menziona attraverso gli esempi di costituzione di cooperative di ex-lavoratori che hanno acquisito le aziende fallite, come accaduto alla ex Quadrifoglio poi diventata Modelleria D&C, e di cui qui noi abbiamo postato un'intervista al suo presidente. E questa esperienza sta cominciando a diffondersi anche in fabbriche più grosse e con un'esperienza di relazioni industriali più articolata, almeno nei progetti di alcuni lavoratori che stanno soffrendo le chiusure delle loro aziende, come ad esempio in Helios Technology, una fabbrica del settore fotovoltaico di qualità e dal marchio internazionale ampiamente riconosciuto. Da questo punto di vista, l'assenza di politiche di sostegno al credito e al mercato per la formazione di cooperative che, a fronte di attendibili piani industriali, si costituiscono per assumere la guida ed il governo delle imprese che nel frattempo falliscono sono anche un indicatore della distrazione dell'attuale governo Letta, oltretutto ed a maggior ragione se vede il suo ministro per lo sviluppo economico essere un uomo del NordEst di lunga esperienza di governo cittadino qual è Zanonato, spesso abbandonato a conferire voce a parole dal cupo risultato progettuale. 

E la stessa distrazione e disattenzione la notiamo nel non voler regolamentare e sostenere i contratti di solidarietà, alla luce anche di una futura riduzione delle ore di lavoro, e di sostegno al potere di acquisto delle pensioni e dei salari e stipendi. Senza una politica che riprenda il controllo dei prezzi di quelli che sono i beni naturali ed essenziali dei cittadini (la scuola, la casa, la sanità, la mobilità, i beni di consumo di prima necessità, le fonti energetiche), l'impoverimento e le sperequazioni che si verranno a determinare saranno pericolose sul piano della tenuta sociale e dell'ordine pubblico, come ormai anche i vertici confindustriali si sono resi conto. Ma evidentemente l'equilibrismo della compagine governativa, tutta chiusa nella permanente compagna elettorale, non può assumere su di sè queste responsabilità, e l'opposizione del M5S è troppo ripiegata sull'agenda politica del governo, invece che dare orecchio al Paese e farsi veramente portavoce delle istanze di cittadinanza che esigono rapidamente una efficace risposta. 

Ad ogni modo, questa deroga esercitata da questi lavoratori e dall'impresa sopra menzionata deve poter essere vista all'interno di un quadro politico che, seppur antagonista, e poter rispondere bene alle sollecitazioni che al sistema produttivo provengono dalla globalizzazione dei mercati. Il ripiegamento sulle politiche di contenimento dei costi (anche attraverso gli incentivi governativi, ovvero attraverso una spesa pubblica che se non ha un indirizzo è solo inutile e spreco di risorse verso magari attività produttive decotte), siamo d'accordo con i sindacati, non conduce verso nessuna strada. Ma insistere con scioperi che continuano con le retoriche che conosciamo è altresì improduttivo, quando invece adesso più che mai i lavoratori e le forze sociali che intendono rappresentarli efficacemente debbono accelerare il dibattito e formulare politiche di contrattazione che prevedano in via privilegiata un deciso cambio di agenda politica, uscendo fuori dalle secche delle modifiche del diritto del lavoro che a nulla hanno portato se non a questo disastro, per unire tutte le energie e convogliarle verso il finanziamento per l'innovazione di processo e, soprattutto, organizzativa delle imprese (che su quest'ultimo aspetto sono ancora per molti versi preistoriche alimentando costi e inefficienze che potrebbero non essere fatte pagare ai lavoratori), spingere per accordi di programma fra università ed impresa sempre più stretti, sostenere attivamente l'artigiano e l'apprendimento delle attività produttive manuali, lasciando solo a queste attività il contratto di apprendistato e fino a 22 anni,  chiudere definitivamente con le politiche di incentivazione all'assunzione e spalmare su tutte le imprese  il risparmio di contribuzione che così  si verrebbe a determinare, invece che creare sperequazioni fra imprese e concorrenza sleale fra esse sulla pelle dei lavoratori.  

Ma il sindacato italiano, così prono verso il potere fino a sè stesso, è pronto a cogliere questa sfida? A noi appare di no, se poi questi assurgono a cariche politiche, come è accaduto da D'Antoni in poi. E da ogni parte politica, magari alternativamente, che dopotutto sa anche di democratico.

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