lunedì 14 maggio 2012

CRISI DI SISTEMA: Resilienza, Cambiamenti Climatici, Investimenti e Lavoro


CRISI DI SISTEMA

RESILIENZA, CAMBIAMENTI CLIMATICI, INVESTIMENTI E LAVORO


Ciao,


Il Genere umano vive oggi in un’epoca denominata “post industriale” e caratterizzata da un’impronta ecologica “nuova”, che dal punto di vista Geologico, é definita come l’era dell’Antropocene, in altre parole un periodo geologico dominato dalla specie umana e caratterizzato in particolare dall’impatto dell’uomo sull’ambiente: un’umanità moderna capace di mettere in gioco gli equilibri ecologici del pianeta e innescare processi di cambiamento irreversibili e degradanti. Tale era è fatta risalire storicamente alla fine del 18° secolo con l’ arrivo del motore a vapore (James Watt – Scozia 1784) e quindi con la Rivoluzione industriale caratterizzata dall’avvento delle macchine, delle produzioni massificate e da un crescente utilizzo di risorse ambientali.



Siamo a oggi quindi attori e spettatori di una crisi di Sistema e su scala Globale per certi aspetti mai vista in precedenza dall’umanità e che manifesta la sua insostenibilità nei suoi sottosistemi Finanziario, Economico, Energetico, Ambientale e Sociale. Il crollo finanziario, la crisi occupazionale, la riduzione dei diritti e in generale l’impoverimento sociale, i conflitti per l’energia, il cambiamento climatico, l’acidificazione degli oceani, i cambiamenti nell’utilizzo globale dell’acqua e del suolo, la perdita di biodiversità, l’inquinamento antropogenico, i conflitti fra la popolazione e le istituzioni e in generale il raggiungimento ed il superamento dei Livelli ambientali critici di irreversibilità (tipping points), sono solo alcuni dei grandi problemi planetari che l’umanità sta vivendo e che dovrà affrontare. Tutte queste crisi sono riconducibili a un problema generale: non siamo riusciti ad adattare l’attuale sistema socioecologico concepito per un mondo “vuoto” (a risorse illimitate) ad un modo “pieno” (a risorse limitate).

Una crisi quindi complessa derivante principalmente dall’egemonia culturale consumista e da tutte le sue derive, che si è imposta nel tempo e Stato dopo Stato come cultura dominate, diventando il motore principale di una sempre più crescente domanda di risorse e di produzione di rifiuti.

Il Presidente del World Watch Institute Cristopher Flavin cita nell’introduzione allo State 2010: (…)L’attuale portata degli impatti ambientali è di certo legata a fattori quali l’esplosione demografica senza precedenti, la diffusione di un certo livello di benessere, e una serie di scoperte epocali in campo scientifico e tecnologico. Ma è altrettanto innegabile che il consumismo è corresponsabile di questa situazione in quanto ha contribuito a incentivare e ad amplificare oltre misura le altre forze che hanno permesso alle nostre civiltà di crescere oltre il limite di sopportazione dei rispettivi contesti ecologici.

E’ evidente quindi che le nostre società non possono più proseguire su tale strada della massimizzazione del consumo, pena il collasso del Sistema socioecologico, ma dovrebbero approfondire e implementare proposte operative, oggi a disposizione della collettività ed elaborate dalla comunità scientifica. Molti sforzi, per combattere ad esempio la grave crisi ecologica mondiale, sono già stati compiuti introducendo politiche a sostegno dello sviluppo delle energie rinnovabili, delle tecnologie Verdi , della riduzione degli impatti dei processi produttivi e all’efficienza sull’utilizzo delle risorse, lasciando purtroppo però al margine la dimensione culturale della Crisi.

La situazione attuale del nostro pianeta e delle nostre Società come parte di esso, è quindi complessa e deve essere affrontata con un approccio multidisciplinare, multi istituzionale e integrato, proponendo e diffondendo con le pratiche una nuova cultura e un cambiamento basati sui principi della resilienza.

Le attività commerciali, produttive e in generale le attività imprenditoriali sono elementi principali dell’economia globale ma anche il motore fondamentale delle società, delle culture e persino dell’immaginazione umana; le imprese giocano quindi un ruolo chiave nel processo di cambiamento che ci prospetta. Vanno introdotti nelle imprese dei nuovi codici deontologici per promuovere e praticare una nuova cultura imprenditoriale atta a favorire la minimizzazione degli impatti sull’ambiente e sugli individui; vanno promossi ed attuati nuovi modelli innovativi sostenibili in tutti gli ambiti delle attività d’impresa: Amministrazione , Finanza e Controllo, commerciale, finanziario, ricerca e sviluppo, tecnologia, prodotto, processo e organizzazione del lavoro.

Per fare ciò abbiamo bisogno che le imprese promuovano e attuino cambiamenti consapevoli e integrati con le altre istituzioni anche con quelle sindacali, attuando nuove pratiche quali ad esempio:

· Amministrazione, finanza e controllo: inserire nelle strategie aziendali e come opportunità d’impresa un nuovo codice deontologico basato ad esempio sui Valori minimi proposti dall’ONU nell’iniziativa denominata “UN GLOBAL COMPACT” (Vedi http://www.unglobalcompact.org/AboutTheGC/TheTenPrinciples/index.html); Trasportare la Visione imprenditoriale da una scala di breve termine ad una di medio e lungo termine; migliorare la qualità degli statuti aziendali orientando lo scopo e la responsabilità d’impresa a vantaggio della società e della sostenibilità ambientale non solo di facciata ma di sostanza.

· Commerciale: sviluppare modelli di distribuzione efficienti ed innovativi minimizzando i consumi legati ai trasporti e gli sprechi di risorse di origine logistica; promuovere all’interno dei network commerciali la nuova cultura sociale e ambientale d’impresa;

· Prodotto: Ricercare e sviluppare prodotti che siano utili al miglioramento della qualità della vita e del benessere e che minimizzino gli impatti ambientali; Progettare i prodotti secondo il concetto “dalla culla alla culla” inserendo la longevità come attributo qualitativo principale.

· Processi e tecnologia produttiva: utilizzare le migliori tecnologie produttive atte a minimizzare gli impatti sull’ambiente e sulla popolazione lavorativa, ad esempio processi produttivi denominati a “ciclo chiuso”.

· Organizzazione del lavoro. Sviluppare e Implementare nuovi modelli organizzativi finalizzati a: minimizzare l’impatto sulla salute dei lavoratori, migliorare e innovare perpetuamente, ridurre gli sprechi di risorse e di energie, massimizzare la partecipazione di tutta la popolazione aziendale nei processi decisionali innovativi, minimizzare l’orario di lavoro per un migliore contributo partecipativo e creativo “dal Basso”, massimizzare l’attenzione alla sicurezza, minimizzare la precarietà.

Le Aziende giocano quindi un ruolo fondamentale in questo processo di cambiamento necessario, e tutta la popolazione aziendale dovrà essere pronta a condividerlo e sostenerlo con spirito sia propositivo che critico. Per fare ciò tutti gli amministratori, dirigenti, impiegati e operai dovranno essere via via sempre più informati e preparati per contribuire, ognuno con le proprie competenze e responsabilità prioritarie dettate dai loro mansionari ma in modo integrato, alla costruzione di un nuovo modello di sviluppo industriale e di un novo equilibrio capitale-lavoro basato sui paradigmi della sostenibilità e della Resilienza.
Riporto sotto un articolo pubblicato dal fatto quotidiano che mette in evidenza uno degli aspetti della crisi di Sistema che l'italia, i paesi occidentali e di conseguenza il resto del mondo stanno vivendo. La crisi non è solo politica e sociale quindi , ma anche ambientale.
I cambiamenti climatici stanno generando danni ambientali che stiamo già pagando. Parallelamente ad un cambiamento dei paradigmi dell'attuale sistema fallimentare dovranno attivarsi progetti e attività mirate a rendere piu resiliente i sistemi Sociale, politico, economico, finanzirio e il sistema Terra. C'è anche su questo ultimo fronte tanto da pensare , progettare e fare . Fino ad oggi l'essere umano non si è mai trovato difronte ad una problematica simile.
E' chiaro a mio parere che investimenti su questo fronte dovranno essere visti con tempi di rientro a lungo termnine e lontano da mani speculative , quindi da un sistema uomo-terra basato su paradigmi diversi: Sotenibilità e Resilienza.
Renato Dall'Agata

APPROFONDIMENTI:

·WORLD WATCH INSTITUTE: State of the world 2010 ;
·STOCKHOLM RESILIENCE CENTER: http://www.stockholmresilience.org/ ;
·INTERFACE Inc. (azienda esempio di una ristrutturazione aziendale efficace e impostata sui principi della sostenibilità non solo di facciata ma di sostanza) : http://www.interfaceglobal.com/ ;
·RESILIENCE ALLIANCE (Research on resilience on social and ecological Systems , a abases for sustainability) http://www.resalliance.org/ ;

Quanto ci costa il cambiamento climatico Nel 2011 spesi quasi 440 miliardi di dollari

Tra il budget speso c'è da mettere certamente lo tsunami in Giappone. L'aumento è dovuto alla maggiore densità della popolazione mondiale, nonché da infrastrutture più complesse e più costose

Alluvioni, terremoti, siccità e incendi ci costano sempre di più, e la colpa è del cambiamento climatico. Un conto salatissimo per l’umanità: 380 miliardi di dollari, solo nel 2011. Cioè il doppio dell’anno precedente e più del triplo di quanto l’economia globale abbia dovuto sborsare solo sei anni prima. “Non è possibile sostenere che questi aumenti non siano collegati ai cambiamenti climatici”, affermano da Monaco di Baviera i dirigenti della compagnia assicurativa tedesca Munich Re, leader mondiale nel campo della ri-assicurazione, che tutela le grandi compagnie assicuratrici in caso di danni eccezionali. Nel suo nuovo rapporto, Muniche Re rivela come il 90 per cento delle catastrofi naturali dello scorso anno sia stato causato da eventi estremi legati al clima, in un quadro segnato dalla maggiore densità della popolazione mondiale, nonché da infrastrutture più complesse e più costose di un tempo. Il colpo di grazia arriva dal clima impazzito: ormai il global warming è una realtà anche economica, con spese ogni anno più disastrose.
Fra le cause dell’impennata del 2011 c’è ovviamente da tenere conto del terremoto/tsunami che ha colpito il Giappone, ma l’aumento dei capitali andati in fumo per eventi climatici estremi è ormai una tendenza pluridecennale. Infatti, se nel 1980 i disastri naturali legati al clima sono stati 400, trent’anni dopo con gli stessi metodi di classificazione se ne sono registrati quasi mille.
Come ricorda il dottor Sergio Castellari del Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici e Focal Point Nazionale del Comitato Intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC), il caos climatico in corso è anche all’origine di nuove e profonde disparità. “L’ultimo rapporto IPCC, in pubblicazione in questi giorni, è proprio sui rischi degli eventi estremi – anticipa Castellari a ilfattoquotidiano.it - e mostra come dal 1970 al 2008 più del 95 per cento della mortalità causata da disastri naturali è nei Paesi in via di sviluppo”. Che, in questo modo, “vedono aggravarsi ulteriormente la loro vulnerabilità“.
Questi problemi, però, riguardano da vicino anche l’Italia, dove nei prossimi decenni ci si aspetta, ancor più che nel resto della regione mediterranea, di dovere far fronte a un impatto dei cambiamenti climatici particolarmente negativo. “Questi impatti, combinandosi agli effetti dovuti alle pressioni antropiche sulle risorse naturali, fanno della nostra regione una delle aree più vulnerabili d’Europa”, evidenzia Sergio Castellari. I calcoli della compagnia tedesca, in sostanza, fanno riflettere sull’irresponsabilità umana. Non solo per le enormi quantità di gas serra riversate in atmosfera, ma anche per una gestione del territorio che lascia spesso a desiderare. Basti pensare che, sempre nell’arco del 2011, inondazioni e frane sono quasi triplicate. O a quanto accaduto, limitandosi al contesto italiano, con le alluvioni verificatesi in Liguria e Sicilia.
“La questione della gestione del rischio degli eventi estremi climatici è decisamente scottante”, avverte Castellari: “Ma quando si parla di questi fenomeni, e in particolare degli impatti di eventi intensi di precipitazione, bisogna sempre tenere conto della vulnerabilità del territorio in questione, che dipende anche dal dissesto idro-geologico“. Un dissesto, appunto, troppo spesso causato da fattori umani.

1 commento:

Mario Intini ha detto...

Inserisco questo link per un ulteriore dibattito sull'argomento
http://www.cartografareilpresente.org/article20.html

Quello che mi preme sottolineare è che anche per le FER (fonti energetiche rinnovabili) il fenomeno della concentrazione in poche mani e che vedono la partnership se non il sostegno diretto degli Stati nazionali, si sta facendo sempre più evidente. Le FER da essere veicolo di decentramento produttivo sono oggi anch'esse oggetto di fenomeni di forte concentrazione. Ad esse si stanno applicando gli stessi modelli che oggi vediamo fortemente in crisi e che stanno collassando ogni sistema produttivo industriale ed agricolo, impoverendo le comunità locali nel mondo in via di sviluppo e diffondendo la disoccupazione nei paesi sviluppati.
Decentramento produttivo energetico, sviluppo delle agricolture locali, sostenibilità economico-produttiva ed energetica delle comunità, partecipazione ai processi decisionali, cambiamenti degli stili di vita e di consumo, sono priorità dell'agenda politica internazionale inderogabili dall'essere messe sul tavolo.