sabato 22 settembre 2012

nasce il MOVIMENTO POPOLARE del LAVORO

Nonostante i tempi appena trascorsi ci abbiano raccontato ed educato a tutt'altro, lavorare è l'attitudine più propria dell'uomo. Quale animale meno specializzato (ma dotato di particolare intelligenza e consapevolezza dell'ambiente nella quale vive), l'uomo ha sempre dovuto invece che adattarsi all'ambiente provvedere a modificarlo per ridurne l'ostilità. Si è vestito ed ha costruito abitazioni per ripararsi dalle intemperie climatiche, o si è industriato per cacciare gli animali o coltivare i suoi alimenti o produrre gli arnesi e le attrezzature,  pratiche tutte che consentissero e fossero cercati e trovati gli equilibri adattivi con il suo habitat. 
Lavorare è quella potenza della volontà, quel volgersi innanzi che nell'intento e nell'ingegno dell'uomo questi ha coniugato, con arte e pensiero così come con la fatica e tutta la propria vita, a segno e traccia di tutto ciò che è sua opera. E senza questa centrale azione costitutiva dell'umanità che è esercitata nei luoghi propri nella sua più mirabile espressione, nessuna civiltà sarebbe potuta essere e divenire. Nessuna società o comunità e sua propria legge  etica e relazione umana fondante della sua stessa memoria sarebbe potuta essere senza il lavoro. Nessuna consapevolezza e memoria l'uomo avrebbe di sé senza i numerosi segni della sua fatica e del suo lavoro. E' esso che fa di un insieme di genti un popolo.
Il lavoro è l'elemento costituente e costitutivo di ogni stabile organizzazione che possa definirsi umana. Il lavoro è ciò che rende un popolo tale, fin dalla cacciata dall'Eden e del successivo patto fatto con Dio quali pertinenti metafore della determinazione di un popolo. Il segno operativo del lavoro dell'uomo è il significato distintivo di un popolo, della sua identità e cultura, della sua etica e legge.
E' da questa profonda e primitiva convinzione che nasce il MOVIMENTO POPOLARE del LAVORO



E' sempre stato nello spazio di esercizio del lavoro che l'uomo ha incontrato l'altro da sé, sia esso un altro uomo sia un'animale che ha predato o utilizzato come energia sia una macchina che lo ha sollevato dalle peggiori fatiche. In questo spazio di manipolazione e trasformazione della materia e dell'energia, l'umanità ha siglato ogni patto di relazione fra gli uomini, più o meno giusti ed equi, più o meno tirannici o liberi. E' nello spazio di esercizio del lavoro dell'uomo, e solo qui, che può costituirsi il diritto ad abitare autorevolmente la propria polis, ad esserne cittadino nei suoi più pieni poteri e facoltà. E' sempre stato nei luoghi di lavoro e nelle relazioni di lavoro che si sono gettate le fondamenta del diritto e della civiltà.
Se nella polis ateniese si era cittadini a pieno titolo, e quindi con diritto all'esercizio della parola politicamente significativa, solo se di discendenza ateniese (di madre), nelle società moderne il diritto di cittadinanza è derivante dalla possibilità che ogni uomo possa far parte dell'azione costitutiva delle organizzazioni umane che ne diviene dal lavoro franco e libero. Non può esserci nessun diritto di cittadinanza riconosciuto e riconoscibile ad ogni uomo se questi non ha le possibilità di poterlo esercitare come persona operante libera e franca. Può esserci un popolo, che con la pienezza della sua memoria continua a guardare verso il futuro agendo nel suo presente, solo nel lavoro e nei limiti che la quotidianità dello stesso lavoro gli rimanda. E' attraverso il lavoro che ogni uomo e ogni popolo possono assumersi la più piena responsabilità del proprio destino. E' nell'impegno del fare e nell'arte del pensare che l'uomo realizza ogni traccia di vita di sé stesso, e la dimora a memoria dei prossimi.

Sono queste elementari consapevolezze di tutti e di ognuno che oggi, assaliti da gesta irresponsabili e violente così come dalle chiacchiere e dalle malefatte, fanno salire forte l'urgenza di ripristinare il corretto senso dell'impegno civile politico e sociale, oltre che finalmente culturale. Sono queste elementari consapevolezze, essenziali e umili, che non possono che disporci nel rifiuto delle logiche del lavoro che ci vorrebbero in competizione gli uni con gli altri, quando invece è proprio il lavoro la piattaforma di cooperazione ed organizzazione delle forme evolute delle comunità. Ed invece oggi assistiamo, in particolare sui giovani ma anche i non più giovani, alla messa in scena della più squallida delle circostanze deprimenti la persona e la sua appartenenza ad un popolo: l'ordine sociale stabilito dalla più completa espropriazione operativa (chi sa più fare qualcosa con le mani adesso? Chi sa esercitare un "mestiere"?) e parallelamente alla precarietà delle condizioni lavorative subordinate come anche autonome. 

Mentre coloro che, nell'autorevolezza che un popolo ha loro delegato e designato con legittime elezioni, dovrebbero governare per il miglioramento umano e civile di quella comunità, li vediamo imbelli recedere dalle loro responsabilità anche di fronte alle più smaccate evidenze. Vedasi il comportamento di un presidente di regione che, a fronte delle persone sue collaboratrici che sperperano le energie di un popolo nei sollazzi decadenti, si aut-odichiara innocente e non responsabile, neppure indirettamente dell'indirizzo etico e culturale della quale non può, nella carica che ricopre, irresponsabilmente declinare. E dichiarando la sua irresponsabilità di fatto denuncia che non ricopre affatto il ruolo per il quale ha mandato popolare, anzi si smaschera che gelosamente lo detiene e lo conserva, a questo punto, solo per sé. 
Ecco, proprio qui, proprio nel gesto del lavoro che è sempre indirizzato verso qualcos'altro e qualcun'altro nella sua efficacia e nel suo significato più intimo, tutti ma proprio tutti manchiamo, ogni volta che ne esercitiamo e verifichiamo gli effetti: quando votiamo rappresentati popolari abili unicamente a sedurci e ammansirci per poi scoprire che coloro che abbiamo votato eludono e truffano i loro mandatari che saremmo noi. Ma anche noi non possiamo spogliarci delle responsabilità che abbiamo esercitato quando li abbiamo eletti. Quelle ostriche e quel champagne hanno visto noi come camerieri della peggior specie, o quelle gite in barca hanno visto noi come mozzi, nell'ignavia comoda e ammiccante della complicità e della cortigianeria che prende le voci di questa querula che tradisce impotenza e bassa moralità. Non sono certamente il nostro specchio e ciò che come popolo di meriteremmo, ma certamente lì non ci sono finiti da soli ma ce li abbiamo mandati. Questa è l'urgenza del lavoro e della necessità di ricostruire un tessuto popolare ed un'istanza politica e civile che a questi principi si richiami.

Il Movimento Popolare del Lavoro, che vede un collaboratore di questo blog partecipe attivo e creativo dell'iniziativa (Mario Staffaroni), vuol essere un tentativo ed un'opportunità affinchè possa porsi fine, per quanto sarà possibile, alla crisi e alla decadenza civile che il popolo italiano oggi soffre, e dalla quale dobbiamo riscattarci recuperando il senso più profondo ed ampio dello stare insieme. 
Lavorando. 

1 commento:

dm ha detto...

Tutta questa prosopopea è davvero inessenziale.
dm