giovedì 6 giugno 2013

Lo spirito del paese dei balocchi e il marchingegno del miracolo

dipinto di Kenne Gregoire

C'è uno scarto incolmabile fra il rovinato e l'annuncio della catastrofe.

Dal blog di Manuel Martinez, per la precisione da questo post sulla movida notturna a Firenze (come dopotutto avviene in ogni altra città italiana a tutte le latitudini), cogliamo un'opportunità per scrivere dei processi di formazione dell'identità individuale e sociale delle contemporanee genti nelle strutture urbane, e sulla sofisticazione dei dispositivi di controllo sociale che attraverso le articolazioni urbanistiche e le dinamiche del consumo si sono implementate, e che hanno riguardato città amministrate dalle più diverse formazioni politiche, in una soluzione di continuità che di fatto ha annullato le differenti categorie programmatiche che hanno indotto gli elettori a preferire e votare un indirizzo amministrativo invece che un altro.

Se Firenze giunge alle movide notturne (forse) solo adesso, questi fenomeni a Padova così come a Treviso (solo per indicare città amministrate con criteri e valori politici  - apparentemente? - differenti) sono oggi molto consolidati. E la diffusione delle pratiche di consumo notturne si è estesa su ogni latitudine italiana e nei centri antichi delle cittadine anche della provincia italiana che ne hanno uno, di centro antico, che è possibile riconvertire in Luna Park del divertimento e del consumo smodato di alcool.




In via generale la matrice può essere principalmente fatta derivare dalle feste del consumo delle cosiddette "Notti Bianche", e dalla riconversione dei centri antichi in salotti della mondanità sociale per "recuperarli" a una situazione urbanistica che veniva percepita come di degrado solo perchè abitati da larghe fasce di popolazione lì nata e cresciuta. Il fenomeno della gentrificazione  dei centri antichi ha riguardato ogni città italiana, ed ha caratterizzato molto le piattaforme programmatiche dei governi cittadini dei Progressisti prima e del CentroSinistra dopo.

Mentre negli USA i ricchi si costruivano ed abitavano specifici quartieri eretti ad un uso esclusivo degli appartenenti al proprio ceto sociale, quartieri completamente autonomi anche dal punto di vista della sicurezza e della tutela dell'ordine pubblico, in Italia abbiamo assistito al recupero immobiliare dei centri antichi in parte attraverso le acquisizioni dei gruppi finanziari per la riconversione d'uso in luoghi del commercio, in parte attraverso le acquisizioni del ceto più ricco che ha preferito andare a vivere in centro, ed in parte attraverso lo sviluppo della movida e la diffusione dei locali di pertinenza. Quindi, i centri antichi sono stati riconvertiti in diurni centri commerciali di fascia alta di reddito ed in notturni luoghi di consumo smodato di sostanze alcooliche se non anche di droghe.

La causa strutturale, secondo noi, di questa riconversione sta tutta nelle autonomie fiscali che negli ultimi anni sono state determinate dalle disposizioni di legge che hanno tagliato i trasferimenti statali agli enti locali e consentito ai Comuni italiani di applicare tassazioni e/o messa a redditto degli spazi pubblici per le ovvie necessità di bilancio. Quindi, più sono stati tagliati i trasferimenti di denaro da Roma alla periferia, e più è stato consentito ai Comuni di applicare balzelli che consentissero ai Comuni di fare cassa, più i centri antichi sono stati funzionalizzati a spazi da tassare attraverso la loro riconversione funzionale dal punto di vista urbanistico.

Nella foto che potete vedere cliccando qui è possibile verificare di come la centralissima Piazza dei Signori di Padova sia oggi occupata nella sua totalità da tavolini dei bar e ristoranti. Nella foto di prima con vista dell'orologio del Dondi l'angolo a sinistra difronte alla Sala della Gran Guardia appare libero, ma solo perchè la foto è relativamente vecchia ed ancora non erano disposti i tavolini del ristorante che affianco alla suddetta Sala sono poi stati "piazzati" occupando quel residuo spazio, come è possibile scorgere da questa altra foto che inquadra la stessa Piazza dei Signori da altra angolazione, ovvero dall'Orologio del Dondi inquadrando la Chiesta di San Clemente. In questa foto notturna potete da voi verificare la totale intensità di occupazione di tavolini dei bar e ristoranti della Piazza dei Signori, la cui percorrenza ed attraversabilità a piedi è lasciata solo nella sua parte centrale. Pensiamo ad uso solo degli avventori dei punti di ristoro, dato che gli accessi stradali laterali, seppur in via limitata come ZTL, sono percorsi da auto,  e senza limite alcuno da moto di ogni cilindrata, oltre che da biciclette.

La stessa situazione è riprodotta nelle piccole e tortuose vie del Ghetto di Padova, dove ogni slargo è occupato dai tavolini come è possibile vedere in questa foto, mentre per chi non può permettersi tavoli all'aperto è sempre possibile per gli avventori sostare fuori dai bar per consumare intorno allo spritz le loro relazioni sociali.

I Comuni, quindi, pur di rientrare in termini di budget e di bilancio non ostante i tagli dei trasferimenti statali hanno consentito che ogni spazio urbano utile fosse occupato dai punti di ristoro, sostenendo gli inizi dell'operazione di cassa con iniziative simil-culturali come le notti bianche, consentendo ed accordando il cambio di destinazione d'uso di molti locali dei centri antichi, oltre che orari di chiusura anche fino alle 2 di notte. Chi conosce Padova, ad esempio, può ricordare come negli anni '90  gli ultimi e storici bar del centro chiudevano alle 21, ovvero quando legittimamente può definirsi chiuso il tempo dell'aperitivo. Oggi, invece, è possibile trovare tutto a portata di mano nei centri antichi, dove anche le grandi catene di ristorazione hanno intuito la possibilità di fare affari aprendo numerosi punti di ristoro alimentare.

Quindi, una prima ragione di questa riconversione dei centri antichi sta tutta nelle esigenze di cassa e di bilancio dei disastrati comuni italiani, attraverso le tassazioni locali delle attività commerciali (più alte di quelle produttive), i canoni per l'occupazione di suolo pubblico e quant'altro. Parallelamente, tutte le attività produttive esistenti nei centri antichi han dovuto chiudere le attività per l'insostenibilità dei canoni di locazione (cresciuti a dismisura) e delle tassazioni relative.

I centri antichi delle città capoluogo (vedi qui Treviso) come anche dei piccoli centri di provincia (ad esempio vedi qui Cittadella nella provincia di Padova)  sono stati tutti riconvertiti a luna park per il divertimento del dopo-lavoro. I centri antichi sono diventati tanti piccoli paesi dei balocchi (non siate dei bacchettoni moralisti  (!) se persino alcuni asili nido e scuole materne hanno come nome "Il Paese dei Balocchi" come questo e questo, così alla pari di un qualunque club privè): c'è una logica ed un filo comune che tiene in piedi tutto questo e muove i novelli pinocchio delle società contemporanee, ed è il processo di espropriazione dell'identità personale e la sostituzione di essa con le applicazioni modali dei processi di identificazione funzionali al consumo.

A questa sostanziale causa strutturale per necessità di bilancio comunale si è accompagnata una superfetazione culturale degli spazi urbani.
La cosa fu investigata già agli inizi del '900 da G. Simmel nel suo breve saggio Le Metropoli e la vita dello spirito, di cui finalmente dal febbraio 1995 possediamo una diretta traduzione del testo, mentre prima era possibile accedere alla traduzione funzionalista della scuola sociologica americana per niente fedele alla lettera di Simmel. Una breve introduzione al saggio è possibile leggerla qui oppure di seguito in questo post.



Quello che ora a noi interessa sottolineare è che nei centri antichi è stata operata una espropriazione dell'identità dei luoghi pari e parallela a quella che è avvenuta per le personalità individuali. E' come se anche i luoghi avessero assunto la s-cultura del denaro e della monetizzazione delle relazioni di scambio.
In questi estesi luna park ci si diverte, si gioca, nulla si fa sul serio, nessuno corre il rischio di equivocare il proprio destino. Alla realtà delle relazioni produttive e sociali, anche conflittuali, che nei centri antichi vivificavano le geometrie di senso, oggi la finzione fornisce la regola stessa del movimento identitario. La città che più di chiunque altra è stata pervasa e permane in questa "intrasformabilità" è, ad esempio, Venezia. Questa città che una volta aveva anche la sua zona industriale, ed era abitata da 250.000 persone, oggi è svuotata ad appena 60.000 abitanti di cui molti stranieri non permanentemente stanziali, ed attraversata da una ridda di "bàcari", vetrine, hotel, ristoranti... Bisogna spingersi fino al sestiere di Castello per scorgere ancora panni stesi al sole e qualche officina, o recarsi presso ciò che resta della Giudecca!

I sedimenti storici degli stessi edifici frizionano con l'ipermodernità degli arredamenti interni dei luoghi dell'identificazione veicolata dal consumo, e ne esaltano la finzione e l'iscrizione nel vizio, ovvero nella deviazione dalla propria "via" identitaria e dal proprio destino personale per assumere su di sè ciò che diventa solo possibile comprare, al fine di apparire decisamente certi, e mortalmente annoiati.

Privi, queste donne e questi uomini, degli oggetti, delle sicurezze, delle quantità che costituiscono una normale vita dedicata alla "realizzazione" della realtà, vagano fra vuoti identitari, fra universalismi di senso dove ogni disegno ideale è assente, ogni singolare abitudine sconosciuta, ogni comunità privilegiata incomprensibile.

L'universalizzazione dei luoghi riproduce un'umanità indifferenziata, devastata dalle catastrofi che derivano dalla violenza implicita al suo sistema di vita prevalente, fin dalla "razionalizzazione" che nei luoghi del lavoro è riprodotta nell'attività lavorativa, fin dalle insufflazioni linguistiche che dalle agenzie (dis)culturali dei media provengono nei nostri spazi privati, riproducendo il "notturno" dell'identificazione che si sostituisce al mezzogiorno ideale, notturno che in maniera assordante corrompe le nostre già pre-disposte e pre-definite domande di senso.

E' la nemesi di un Occidente che dopo aver schiavizzato popolazioni intere ora vive nella "virtù dello schiavo". E forse quest'unica certezza del valore del nostro presente senza memoria e senza futuro potrà  aiutarci ad assumere finalmente una virtù, ad occupare quel vuoto di pensiero che nella nostra tradizione manca della comprensione del rapporto fra natura e civiltà e che è stato affidato alla regolamentazione totalizzante delle relazioni sociali, espropriando la cultura dalle "ovvietà" per farvi posto all'universo relativistico dell'opinabile, insediando le nostre esistenze nella contraddizione permanente del totalmente sottoposto alla regola e del pensiero disperso e alla deriva che non riesce più a tessere trama e ordito della propria singola personalità. Ed il sintomo di questa contraddizione è rintracciabile nell'assordante rumore di ribadire sempre "ciò che si è", od ancor peggio di "capire ciò che si è", ma "fuori luogo" da ciò che si fa!

E' la vittoria "critica" della modernità, della permanenza ossessiva della crisi, dell'egemonia del marchingegno della civiltà industriale avanzata, dove in apparenza (in appariscenza) i singoli individui possono sviluppare la propria rappresentabilità identitaria, mentre ciò che accade di fatto è il loro occultamento. Migliaia di pinocchi dispersi nel cosmopolitismo dell'esilio, vanificati in lussuose e lussureggianti rappresentazioni di sè, affidati completamente alla cura altrui di sè e parimenti avvertitesi come uno indipendente dall'altro.

L'estraniazione della possibilità realizzatrice dalle mani degli uomini configura identità estranee dalle conseguenze delle proprie azioni, corpi irresponsabili che necessitano permanentemente di tecniche per rifuggire dalla gravità delle proprie indeterminazioni, siano essi i consumi smodati di alcool e droga siano anche i moralismi e i libertinaggi che coesistono come lavacri delle nostre false coscienze. Non sono più gli esiti delle nostre azioni il piano di ricomposizione delle identità, ma la distribuzione eterodossa dei meriti verso coloro che sono i viziosi più zelanti, nel lavoro come nella vita extralavorativa.

L'articolazione viziosa del riconoscimento delle appariscenze soggettive è la questione di tutte le modernità e della globalizzazione della "emergenza" del soggetto. Chiunque esso sia, lavoratore o cittadino.




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