Matteo Garrone, giovane regista che ha conosciuto l'attenzione del pubblico soprattutto con il suo penultimo film Gomorra liberamente ispirato dal libro di Saviano e girato alle Vele di Scampia, ritorna ancora più incisivamente a soffermarsi su quella che è la sua ossessione filmica: la pervadente perversione delle relazioni vitali interpersonali, e la liberazione da questo stato attraverso la morte.
E' un tema che Garrone ha cominciato a tracciare, dopo i primi film (Terra di Mezzo, Estate Romana, Ospiti) di affaccio ma ancora segnati dal viaggio e dall'esilio, con L'Imbalsamatore prima e Primo Amore subito dopo, pellicole dove sempre di più insisterà sulle perversioni moderne delle singole relazioni affettive interpersonali, dove l'identità e l'esercizio autentico della personalità da parte dell'uno passano obbligatoriamente attraverso la morte fisica di colui che soggioga, nell'esercizio del suo potere espropriativo, e controlla, nell'ossessione perversa del possesso, la vitalità stessa.
Con Gomorra traspone lo stesso tema della dis-identità, ovvero della falsità della identificazione, nelle più ampie relazioni di gruppo. In questo caso di camorra. La tragica fine dei 2 protagonisti di Gomorra è il necessario epilogo affinchè possa ristabilirsi un equilibrio perduto.
In Reality Matteo Garrone si spinge ancor oltre, investendoci ognuno di questa condizione di annichilimento dell'autenticità identitaria poichè riprende con la camera la "normalità" delle nostre quotidiane esistenze ed il differimento che poi il protagonista Luciano Ciotola per tutti vuol rappresentare. Ma questa volta la morte è psichica, la liberazione e il ristabilimento dell'equilibrio è determinato dalla rovina completa , lucidamente folle, del protagonista.
Reality è un film girato benissimo, con Matteo Garrone che continua a utilizzare scenari naturali ed esistenti per i suoi film. Questa volta è una Napoli, una città come ogni altra, che viene ripresa dall'alto nella sua disposizione sul golfo, e una trama che concentra lo sguardo su una carrozza bianca del '700 che trasporta una coppia di sposi verso una villa borbonica dove avranno sede i pranzi, fra le attese dei camerieri in maschera e costumi d'epoca e gli invitati anch'essi per l'occasione vestiti a festa. Vestiti coloratissimi e festosi che poi dismetteranno nelle loro case fatiscenti, e ritornare a vivere le loro vite fatte di espedienti quotidiani.
E' in questo delicato equilibrio fra le condizioni oggettive di vita, e l'impossibilità di ogni uomo contemporaneo di dispiegare il tempo e lo spazio della sua operatività se non nei desideri cui è condizionato a dedicarsi negli spazi di consumo e di identificazione con gli idolatra confezionano, che Luciano Ciotola emerge e dice a tutti del controllo e della soggettivazione a questo controllo che operiamo quotidianamente, riproduttori e complici del discorso del potere contemporaneo. Che è lo sguardo.
Luciano partecipa alle selezioni del programma televisivo del Grande Fratello, tirato dentro da una famiglia (mamma zie moglie e figli) che vivono la cosa come una semplice comune occasione di vittoria (quella che non potranno mai sperare di avere nella vita) che come la fortuna potrebbe baciarti in una comune e normale giocata di terno secco al lotto. E questo sogno di vestimento dell'identità diventa collettivo, delle zie che lo sostengono nell'attesa e nella speranza, della mamma che vorrebbe vederlo felice, del gruppo di amici del bar che godranno insieme con lui della notorietà che questo sguardo presto e certamente investirà Luciano.
Luciano è convinto che lui è al centro di questo sguardo indagatorio che lo seleziona per la sfida finale allo sguardo totale nella casa del grande fratello. Così comincia ossessivamente a pensare che persone comuni che non conosce e che incrocia nelle strade di Napoli siano nient'altro che lo sguardo permanente della sua convinzione delirante all'idoneità di soggetto recitante, autenticamente recitante, al grande fratello. Ne è così convinto che comincia a inscenare significativi disturbi di personalità che lo conducono a vendere la pescheria perchè ormai è fatta, lui è stato già selezionato ed è adesso sottoposto ad una verifica della sua condizione quotidiana di vita per investigare meglio la sua personalità. Ne è così convinto che si presta a compiere gesti inconsueti (regala ai poveri suppellettili e mobili della propria casa, costosi e appena acquistati dal ricavato della vendita dell'attività) che lo sguardo lui pensa attenda che egli compia.
Luciano, a differenza di tutti gli altri che comunque lo hanno sostenuto nella sua fantasia, perde il limite del confine fra il reale e l'immaginario, anche sua madre che era fra le più solerti sostenitrici della sfida del figlio verso lo sguardo, difronte agli agiti sconsiderati (ritenuti tali dalle comuni persone) deve convenire che Luciano non sta bene. Tutti adesso, nel sacrificio di Luciano a rappresentare la nostra soggettivazione assoggettante allo sguardo, s'impongono di aiutare Luciano. Il suo collega di lavoro lo avvicina alla comunità parrocchiale, affinchè recuperi il senso dell'essere e dismetta il senso dell'apparire nella quale è affondato.
Ma nessuno si rende conto che Luciano è solo la punta di avanguardia della nostra permanente elusione della realtà. E che è fin dentro il nostro calvario esistenziale di vite gettate.
Sarà proprio in occasione della Via Crucis a Roma che Luciano, eludendo questa volta lo sguardo del suo amico e collega che lo accompagna e lo controlla, si dirigerà verso Cinecittà dove ha sede la casa del grande fratello e vengono effettuate le riprese, ed entrerà nella casa non per prendervi parte, non per porsi e sottoporsi a quello sguardo che ha così tanto agognato nel desiderio di tutti di poter essere finalmente identificati, ma per diventare lo sguardo che vede. Luciano attraverserà il dietro le quinte dello scenario come colui che adesso vede, invisibile a coloro che sono guardati e persino alle telecamere stesse che ovunque sono piazzate, irridendo e sghignazzando di tutti, sè compreso.
La pellicola si conclude con le riprese che adesso si allontano verso il cielo notturno così come vi erano discese di giorno nel suo inizio, e dove l'unico punto di luce in questo buio totale e totalizzante proviene dalla casa dello sguardo dove lui finalmente è arrivato come scrutatore pacificato nel Nulla.
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