venerdì 12 ottobre 2012

IL DESTINO (DI)SEGNATO DELL'ILVA


Dell'ILVA ho scritto in N.O.I. qui
La vicenda continua ancora ad occupare spazi e ragioni argomentative. Grazie a Filosofi Precari (cliccando qui il post) leggiamo su due diversi blog lo stesso autore - Girolamo De Michele - riprendere in maniera molto articolata la questione. In particolare su Taranto: una città che non vuol morire a norma di legge De Michele consente, a coloro che non conoscono Taranto, di conoscere quale è stata la sua evoluzione culturale sociale ed economica, le stratificazioni sociali e culturali intervenute, la decadenza civile e politica della quale è stata oggetto (o soggetto protagonista!) e l'evoluzione presente della questione dell'ILVA che sta dividendo Taranto. Piuttosto interessanti sono anche le disamine delle opinioni e delle soluzioni che diverse personalità hanno espresso sulla questione. Consiglio di leggerlo, perchè efficace e puntuale in molti aspetti.
Qui adesso voglio solo sottolineare alcuni particolari passaggi di quanto scrive De Michele, per sottoporli anche alla Vostra valutazione, dato che se così stanno le cose, la magistratura ha solo ratificato (o giustificato) il futuro prossimo dell'ILVA: l'inevitabile chiusura.




De Michele scrive nel suo scritto:


La mia posizione, già espressa Descrizione: http://www.carmillaonline.com/archives/frecciabr.gif altrove, è che l'Ilva dev'essere chiusa. Provo a sintetizzare alcuni argomenti preliminari.
In primo luogo (a), l'Ilva non inquina e devasta solo l'area tarantina. L'azienda che fornisce all'Ilva il materiale ferroso è la famigerata Vale S.A., alla quale è stato assegnato il Public Eye Award 2012 come Descrizione: http://www.carmillaonline.com/archives/frecciabr.gif peggiore multinazionale del mondo [16]. Mettere in discussione l'Ilva significa quindi mettere in discussione anche le attività criminali di questa multinazionale.
Attività che (b) sono peraltro il frutto di una tecnologia arretrata: negli USA e nei paesi scandinavi, infatti, 2/3 dell'acciaio vengono prodotti non a partire da minerali ferrosi, ma dalla rottamazione dei metalli usati.
Inoltre (c), non è affatto vero che l'Ilva produce acciaio di ottima qualità: quello di qualità l'Italia lo importa, mentre parte dell'acciaio Ilva viene esportato. Il destino dell'Ilva, quindi, è appeso al (provvisorio) bisogno di acciaio da parte di paesi emergenti, che presto o tardi si doteranno di impianti nuovi e moderni.
Ancora (d): gli impianti dell'Ilva sono in buona parte in scadenza. Il motivo per cui la gestione Riva ha "spremuto" gli impianti senza manutenerli è perché questi impianti - a partire dalle cokerie - sono destinati a cessare in tempi brevi. Non si tratta quindi di "ripulire", ma di ricostruire la quasi totalità dell'impianto.
Anche perché (e) nel corso di questi anni, come è emerso dalle dichiarazioni degli operai, molti pezzi usurati, smontati per essere sostituiti, sono stati in realtà riverniciati e riposizionati. La quantità di impianto da sostituire ex novo è quindi ben maggiore di quanto "ufficialmente" non risulta. O di quanto "ufficialmente" si vorrà far risultare.



Se così stanno le cose, la magistratura ha solo "registrato" (forse accelerandolo) il destino prossimo ed inevitabile dell'ILVA, giustificandone sotto altri aspetti la chiusura certa cui va incontro, per motivi di carattere meramente economico-industriali, uguali a quelli che coinvolgono le altre grandi aziende italiane che in questa estate ed inizio autunno hanno occupato le cronache ed il dibattito. 
Se così stanno le cose, siamo difronte ad una "manipolazione" degna dei migliori libri di fantascienza. 
Non intendo dire che una "mente" sovrastrutturale abbia orchestrato tutto. L'esistenza di ragionatori e progettisti assoluti degli eventi, che insieme ad "attuatori" strutturali ed operativi che ne determinano nella pratica la realizzazione, mi affascina solo come esercizio di lettura e di analisi. Ma certamente potremmo scrivere che siamo alla "diversione" della questione.
Più calibrato mi appare intendere che anche l'intervento della magistratura agisce, appunto, quando le sorti dell'ILVA sono ormai mature a che si concluda il suo destino. Se la morte dell'ILVA è segnata dalle condizioni obsolete degli impianti, oltre che dallo scenario prossimo del settore siderurgico internazionale, risulta evidente che le azioni della magistratura (che non era nuova, nel suo organigramma, a Taranto) sono intervenute solo ad accelerare la morte di quella realtà industriale.
Quindi, per operai pro-ILVA come per i cittadini contro-ILVA, il dibattito è nei suoi contenuti tutto da ricalibrare. Ovvero, chiudere la querelle del trade-off, dello scambio anche impari, fra lavoro e salute, ma cominciare a centrare il futuro prossimo a medio-lungo termine. 
De Michele illustra alcune prospettive di futuro occupazionale e reddituale nel suo scritto, sottolineandone anche le fallacie (vedi per esempio la grossolanità di fare Taranto polo logistico del Mediterraneo, dimenticandosi che il Pireo è stato acquistato dai cinesi... che posseggono già un polo logistico nel Mediterraneo, e che quelli già esistenti, seppur piccoli, a Venezia o Ancona o La Spezia sono già più che sufficienti per i ridotti scambi che immaginiamo ci saranno, poichè bisogna anche avere reddito per acquistare merci dalla Cina o dall'India, e questo reddito non sarà fornito dal debito pubblico così come finora è parzialmente ma prevalentemente stato).

Penso che sul tema del futuro del lavoro e dell'impresa in Italia (ma di tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo) sia l'argomento centrale dalla quale ripartire, proprio per recuperare il senso dell'abitare la cittadinanza, come chiude lo stesso De Michele il suo scritto

recuperando, attraverso la pratica della costituzione del comune, la memoria perduta di antiche libertà, in primis di quell'autonomia che significa esercizio del potere della civitas come manifestazione della potenza dei cittadini, ossia del comune. E quindi, prolungare nel futuro l'esperienza costituente di ribellione alle ideologie del "destino manifesto", ossia alle "vocazioni" (industriali e militaresche) che hanno finora spadroneggiato su Taranto.

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