Pallante: “scordiamoci questi partiti, non
lavorano per noi”
“Solo la 'decrescita selettiva'
combatte davvero la recessione, perché tagliando gli sprechi aumenta lavoro e
benessere, abbattendo i costi. E se oggi la decrescita non è ancora nell’agenda
dei governi, è perché l’ideologia suicida della crescita conviene al blocco di
potere che l’ha finora interpretata”. Ecco perché Maurizio Pallante, teorico
italiano della decrescita, lancia un appello per unire le forze e riscrivere
l'agenda dell'Italia.
di Giorgio Cattaneo - 5 Dicembre 2012
Maurizio Pallante lancia un appello per unire le forze riscrivere
l'agenda dell'Italia
Per favore, lasciamo perdere i partiti:
con loro è tempo perso. Sanno solo ripetere la fiaba della crescita, che si sta
frantumando giorno per giorno sotto i nostri occhi. Di loro non c’è da fidarsi:
sono alleati, da sempre, con la grande industria, la finanza e le
multinazionali, comprese quelle degli armamenti, necessari per dominare il
pianeta allo scopo di garantirsi il monopolio delle risorse planetarie.
Il mondo si è rotto, e non saranno certo loro a
ripararlo: serve una nuova alleanza sociale, che metta insieme movimenti
liberi, cittadini attivi, sindacati indipendenti, piccole imprese, artigiani e
agricoltori. Un patto, per invertire la rotta verso l’unica soluzione
possibile: la “decrescita selettiva” della produzione di merci, creando
occupazione “utile” fondata sui territori, tagliando gli sprechi. “Solo per
l’energia, l’Occidente butta via il 70% di quello che produce”. Maurizio Pallante,
teorico italiano della decrescita, lancia un appello: uniamo le forze, da
subito, per riscrivere l’agenda dell’Italia.
Una visione chiara, che nasce dall’analisi
compiuta dal Movimento per la Decrescita Felice. “Siamo in crisi,
prima ancora che per il crollo finanziario dei mutui subprime, per lo
scoppio della bolla immobiliare: negli Usa, in Spagna, in Irlanda e anche
in Italia”. Troppe case invendute, debiti, disoccupazione. Risollevare il
settore? La parola è: riconversione energetica. “Ristrutturare gli edifici,
tagliando i due terzi del costo per riscaldarli,
produce economia virtuosa: lavoro qualificato, occupazione e
fatturati, risparmi, vantaggi ecologici. Costi: interamente finanziati dal
risparmio stesso”.
Riconversione anche per l’auto: “Perché illudersi
di vendere ancora automobili, quando in Italia circolano 35 milioni di veicoli?
Meglio sfruttare quella tecnologia industriale per produrre co-generatori”. O
ancora, i generi alimentari: in dieci anni sono rincarati del 170% per i costi crescenti
delle fonti fossili. Piano-B: “Abbandonare la grande distribuzione, che è
costosissima, e puntare sull’agricoltura biologica comprando direttamente dal
contadino e rafforzando così l’economia pulita dei territori, l’unica che
potrà produrre redditi e benessere senza devastare l’ambiente in cui viviamo”.
Perché si sceglie – ancora e sempre – di gettare via i soldi pubblici
per grandi opere inutili?
Siamo nel paese della follia: ogni singolo
lavoratore impegnato nei cantieri Tav della Torino-Lione 'costerebbe', da solo,
più di un milione di euro, secondo le fonti ufficiali del ministero dello
sviluppo economico. Con quella cifra, rivela il Sole 24 Ore, si creano
almeno 3-4 posti di lavoro nel settore dell’energia da fonti rinnovabili. Posti
di lavoro che diventano addirittura 13, nel caso si decidesse di investire in
progetti di efficienza energetica.
Perché invece si sceglie – ancora e sempre – di
gettare via i soldi pubblici per grandi opere inutili? Perché sono
quelle che avvantaggiano la super-lobby della crescita, risponde Pallante: le
grandi opere sono perfette, perché restano esclusivo appannaggio delle grandi
aziende, le multinazionali collegate al potere politico. Ecco perché i grandi
cantieri restano il principale investimento realizzato con denaro pubblico,
mentre per tutto il resto – servizi essenziali compresi – si preferisce
tagliare, magari anche privatizzando e svendendo i beni comuni. Pagano i
cittadini, incassano partiti e grandi lobby economiche. E tutto,
naturalmente, con la vecchia scusa della crescita. Che però si è fermata, e per
sempre.
In un sistema economico fondato sulla crescita
della produzione di merci, spiegano i promotori della decrescita, la
concorrenza costringe le aziende ad aumentare la produttività adottando
tecnologie sempre più performanti. Sistemi che consentono di produrre in poco
tempo quantità sempre maggiori di merci, e con un numero sempre minore di
addetti: più produttività e più offerta, ma meno occupazione. Di conseguenza:
meno redditi, meno domanda, consumi in crisi. Squilibrio accentuato dalla
globalizzazione, che delocalizza la produzione dove il lavoro costa meno: le
retribuzioni sono così basse da rendere irrisorio il potere d’acquisto, e siamo
daccapo. Senza ancora arrivare al problema del debito, che è “l’altra faccia
della medaglia della crescita”.
Se esplode l’offerta di merci che restano
invendute, nella “società della crescita” finora si è ricorso al debito,
pubblico e privato: Stato, enti locali, famiglie e aziende. Fino ai record del
debito aggregato, che sfiora il 200% del Pil.
Senza più sovranità finanziaria, l’incremento del
debito diventa un suicidio, a causa degli interessi che lo fanno
letteralmente esplodere. Se la domanda di merci continua ad essere sostenuta
essenzialmente dal debito, le ricette tradizionali non funzionano più: le
manovre per ridurre il debito deprimono i consumi e aggravano la crisi,
mentre – al tempo stesso – ogni tentativo di far crescere i consumi non fa che
gonfiare il debito.
"Tutto quello che ha fatto il governo Monti è stato 'inasprire la
lotta di classe dei ricchi contro i poveri''
Finora, dice Pallante, sono state varate misure
ingiuste e tutte fallimentari. Ridurre il debito tagliando i servizi e
scaricando i 'risparmi' sui meno abbienti e sul ceto medio? È il cosiddetto
“massacro sociale”: meno garanzie sindacali ai lavoratori, licenziamenti
facili, blocchi delle assunzioni, precariato per i giovani, nuove tasse,
privatizzazione dei beni pubblici. Oppure: si tenta di rilanciare la crescita
finanziando con denaro pubblico le grandi opere, vero forziere della casta
delle multinazionali, finanziata a spese del contribuente e senza vere ricadute
occupazionali.
Tutto quello che ha fatto il governo Monti è
stato “inasprire la lotta di classe dei ricchi contro i poveri”: strategia
dolorosa e fallimentare, per superare la crisi, ma “sostenuta da un blocco
di potere costituito da tutti i partiti politici, di destra e di sinistra, che
hanno la loro matrice culturale nell’ideologia della crescita di derivazione
ottocentesca e novecentesca”. Partiti che dimostrano “un progressivo disprezzo
delle regole democratiche a cui pure dicono di ispirarsi”.
La verità è che sono al servizio dei poteri
forti: fingono di dividersi su come redistribuire la ricchezza, ma in
realtà “è ormai sostanziale la convergenza, da destra a sinistra, sulla scelta
di scaricare sulle classi popolari e sul ceto medio i costi del rientro
dal debito pubblico e di rilanciare la crescita attraverso la
mercificazione dei beni comuni e un programma di grandi opere”.
Pallante e i suoi bocciano anche i
neo-keynesiani, che sperano di limitare almeno i danni sociali chiedendo
maggiore equità: meno austerity, perché la recessione impoverisce il fisco e
quindi il welfare. Investimenti pubblici per sostenere i redditi e rilanciare
i consumi? Socialmente giusto, ma economicamente sbagliato: non si possono
ignorare le vere ragioni della crisi, che nasce proprio dalla teologia
della crescita.
“Un’incredibile rimozione collettiva –
sostiene Pallante – induce i sostenitori della crescita, a qualsiasi corrente
di pensiero appartengano, a ignorare i legami delle attività produttive con i
contesti ambientali da cui prelevano le risorse da trasformare in merci, e in
cui scaricano le emissioni dei processi produttivi”, fino agli stessi rifiuti.
Secondo Pallante la crescita non è causa soltanto della crisi
economica ma anche di quella ambientale
Nella fase storica attuale, aggiunge Pallante, la
crescita non è solo la causa della crisi economica –
una crisi da cui non ci si può illudere di uscire ripristinando le
condizioni di partenza, cioè un’offerta in eccesso rispetto alla domanda – ma è
anche l’origine una gravissima crisi ambientale, col prelievo
scriteriato di risorse non più rinnovabili, fino alla drastica riduzione delle
riserve vitali, come quelle delle fonti fossili. “La scelta strategica per
uscire dalla crisi aprendo una fase più avanzata nella storia
dell’umanità – ribadisce il Movimento per la Decrescita Felice – è lo sviluppo
delle tecnologie che riducono gli sprechi delle risorse naturali aumentando
l’efficienza con cui si usano”.
Se la politica industriale venisse finalizzata a
ridurre gli sprechi (che oggi gonfiano un indicatore fuorviante come il Pil),
si aprirebbero ampi spazi per un’occupazione utile, i cui costi sarebbero
pagati di per sé dai risparmi economici generati. L’economia anti-spreco
si chiama “decrescita selettiva”, ed è “alternativa sia all’austerità, sia al
consumismo irresponsabile”. Di quale 'ripresa' parlano i politici? Dell’unica
che conoscono: quella basata sul rilancio del consumismo finanziato col
debito.
Effetti: crisi ambientale sempre più
grave, insieme al disastro della crisi finanziaria. O, a scelta: il
rigore, che fa esplodere la disoccupazione, lascia i giovani senza futuro e
mette in croce i più deboli. L’austerità, sostiene Pallante, non è l’unica
alternativa all’aumento del debito pubblico: solo la “decrescita
selettiva” combatte davvero la recessione, perché tagliando gli sprechi aumenta
lavoro e benessere, abbattendo i costi. E se oggi la decrescita non è ancora
nell’agenda dei governi, è perché l’ideologia suicida della crescita conviene
al blocco di potere che l’ha finora interpretata.
Sono i grandi partiti di destra e di
sinistra cresciuti nella cultura ottocentesca del produttivismo, le grandi multinazionali
globalizzate e anche il complesso politico-militare con cui si pensa di
continuare a 'rapinare' il pianeta: “Non a caso, le politiche restrittive
adottate per ridurre i debiti pubblici non hanno scalfito i privilegi della
casta politica, non hanno tagliato i finanziamenti per le grandi opere
pubbliche, né le commesse all’industria militare”.
“Una politica economica e industriale finalizzata
alla 'decrescita selettiva' della produzione di merci – sostiene il Movimento
per la Decrescita Felice – si può realizzare soltanto se si aggrega un’alleanza
di forze politiche, sociali, imprenditoriali e professionali consapevoli del
contributo che possono apportarvi con la loro cultura, le loro scelte
comportamentali, il loro impegno sociale o ambientale, le loro competenze
tecniche, la legittima esigenza di utilizzare appieno i loro impianti
tecnologici per produrre e dare lavoro”.
L’Italia vive un fermento sociale, fatto di movimenti:
come i No-Tav della valle di Susa, le tante amministrazioni locali 'virtuose' e
le forze politiche “non catalogabili negli schieramenti di destra e sinistra in
cui si suddividono i partiti accomunati dall’ideologia della crescita, già
presenti nelle istituzioni”. E poi le piccole e medie imprese, gli imprenditori
spesso costretti a lavorare nell’indotto delle grandi multinazionali, in
condizioni di svantaggio.
Piccole aziende e artigiani rappresentano il 99%
della forza produttiva italiana: liberarle dal giogo dell’economia della
crescita è possibile solo se si crea una rete territoriale di scambi
commerciali ravvicinati, a contatto diretto con gli acquirenti. Occorre allora
archiviare i partiti e “collaborare”, dal basso, “ad affrontare
una crisi che non è solo economica e ambientale, ma una vera e
propria crisi di civiltà”.
1 commento:
"Tutto quello che ha fatto il governo Monti è stato 'inasprire la lotta di classe dei ricchi contro i poveri''
Proprio così. Oltre che curatore fallimentare dell'Italia, Monti può essere considerato a pieno titolo tra i fautori di questo modello di Europa, e quindi corresponsabile dei disastri che si stanno verificando. In una recente intervista, Augusto Grandi, giornalista del Sole24Ore, e co-autore del libro Il Grigiocrate, ricorda che Monti è «Un uomo per tutte le stagioni. Commissario europeo in quota centrodestra e pure in quota centrosinistra. Membro del cda Fiat all’epoca delle tangenti di cui non si era accorto. E poi Goldman Sachs e agenzia di rating [Moody's] che declassava l’Italia mentre lui non se ne accorgeva. Un tipo distratto, ma silente e sobrio esecutore degli ordini dei poteri forti. Quei poteri forti che secondo lui non esistono, per poi sostenere che aveva perso il loro favore. L’uomo ideale per svolgere il lavoro sporco nell’interesse dei mercati internazionali e a danno dell’Italia».
A questo punto occorre ricordare che il compito di Monti è reso possibile dall'adozione dell'euro, e dalla creazione dell'EZ che, “alla luce delle note dinamiche della aree valutarie teorizzate da Mundell” nel 1961, ha favorito sinora la nazione strutturalmente in grado di mantenere bassa l'inflazione: la Germania. Ciò è ampiamente illustrato qui, e ripreso qui: «una situazione di preesistente inflazione più bassa, che corrisponde a una tradizione economico-commerciale propria della Germania, accompagnata da una costante compressione della propria domanda interna [...] le ha permesso di sfruttare […] la valuta unica.
[...]
Mediante una politica economica che viene definita "imperialismo mercantilista", in quanto tende alla universalizzazione, in una certa area - tendenzialmente l'Europa, data appunto la presenza della moneta unica -, della propria supremazia commerciale, e, quindi, ad “asservire” alla propria offerta la domanda del "vicino", che, inevitabilmente, ne risulta impoverito dopo una fase iniziale espansiva "precolonizzazione" economica.
E che le cose stiano esattamente così, in termini di definizione della politica tedesca all’interno dell’area monetaria, è affermazione degli stessi esponenti tecnici della governance di quel paese.
[In altri termini, la Germania ha sfruttato] vantaggiosamente il deliberato perseguimento di un differenziale favorevole di inflazione. Tale effetto è stato indicato chiaramente da Mundell nella sua teoria delle aree valutaria ottimali (Optimun Currency Area, c.d OCA). E la relativa politica tedesca, col termine di "mercantilismo", è registrata come tale anche dal FMI, dall’ILO, nonchè, tra i numerosi altri, da De Grauwe, forse il più prestigioso economista europeo del momento».
Per concludere, Monti sta lavorando per assoggettare l'Italia al “vincolo esterno”, esautorando di fatto il Parlamento dalle decisioni che gli competono. Più tardi lo si comprende, maggiori sono le probabilità di essere trasformati in un'“area economica speciale”, sul modello cinese.
Nel giugno scorso Panebianco scriveva sul CdS che “senza un vincolo esterno alla nostra democrazia l'Italia politica, lasciata sola, si disgregherebbe arrivando a mettere in crisi la stessa esistenza dello Stato-nazione”.
Chi la pensa così parla a nome della Germania, non dell'Italia.
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