L'editoriale di oggi su Phastidio di Mario Seminerio è così eccellente nello descrivere lo scenario d'improvvisazione della politica nazionale ed europea (e della compagine degli opinionisti mainstream), che è bene stenderlo su N.O.I. proprio dopo quanto ieri si è qui scritto da parte di Mario Staffaroni nel post che precede questo (il post di Staffa cliccando qui).
Poco potranno le scampagnate a Mosca a parlare di "ritorno" all'economia reale, quando finora si sono perseguite politiche differenti, meramente ragioneristiche e completamente assenti di almeno una fiammella di progetto. Serve a poco seguire adesso i consigli di D'Alema e Berlusconi, che pensiamo essere i mandanti di Monti a Mosca. Cosa avrà detto Monti in 3 ore e mezza a Putin? Di acquistare qualche altra industria decotta italiana? O un po' di debito pubblico? E cosa avrà promesso in questo tempo di discussione Monti a Putin? E Monti ha l'autorevolezza politica e personale per promettere qualcosa? Oppure la sua biografia ed i suoi legami internazionali ne inficiano la credibilità?
Ad ogni modo, se un progetto europeo in appena 10 anni salta in aria, qualcosa vorrà pure dire.
Buona lettura dell'editoriale oltre queste parole ripubblicato su N.O.I.
Oggi, in
1135 parole e 7231 battute (nota a pié di pagina esclusa), Luca
Ricolfi è
riuscito a scrivere che “quel che è successo negli ultimi due mesi sui mercati
finanziari” è “successo non solo nonostante Monti (sicuramente più capace e
credibile di Berlusconi), ma anche a causa di Monti”. Troppa grazia. E
decisamente troppo potere a Monti.
Il succo
del ragionamento di Ricolfi è che i mercati penalizzino i paesi con elevato
debito pubblico, detenuto in misura significativa da non residenti, e che non
crescono. Ottime inferenze, che peraltro da questi pixel vi martelliamo da anni su
base pressoché giornaliera. Più sottile è l’argomentazione in base alla quale
Ricolfi attribuisce le responsabilità di questa situazione. La colpa è di
Monti, signori, ora possiamo svelarvelo.
E per quale motivo? Essenzialmente perché
«(…) comprimendo il reddito
disponibile e aumentando gli oneri che gravano sui produttori – ha
sensibilmente aggravato la recessione, e per questa via ha reso più vulnerabili
le nostre finanze pubbliche»
In altri termini, la colpa di
M0nti è quella di aver privilegiato l’aumento di entrate sul taglio di spese. Monti
sarebbe quindi un agente patogeno altamente contagioso, secondo Ricolfi.
Si è già detto, più e più volte, ma ribadiamolo: nel
breve periodo, nello scenario attuale, i tagli di spesa hanno effetto
pressoché identico sulla domanda aggregata rispetto ad aumenti di entrate.
Questo accade, come più volte detto, perché la stretta è sincronizzata a
livello europeo; perché i risparmi di spesa, lungi dal ridurre le imposte,
finiscono per colmare buchi di bilancio scavati dal consolidamento fiscale;
perché la spesa di qualcuno è comunque il reddito di qualcun altro.
Ricolfi si ostina a credere che i
tagli di spesa non “comprimano il reddito disponibile” (che non è solo quello
al netto delle imposte, ma proprio quello conseguito dai produttori: passateci
la lieve forzatura definitoria), e dovrebbe spiegarci cosa glielo fa pensare,
date le condizioni di contesto sopra enumerate. Un taglio di spesa non
compensato da riduzioni d’imposta (ed oggi non possiamo averne, visto che la
congiuntura è in caduta libera, anche per il credit crunch bancario) taglia domanda aggregata, e
si risolve nella diminuzione del reddito dei produttori. E’ poi del tutto
singolare, ma anche sintomatico della confusione che regna nella testa di
alcuni nostri editorialisti, che Ricolfi finisca con l’assimilare Monti e Mariano
Rajoy, quando afferma
«(…) la cancelliera tedesca
vorrebbe che i paesi che hanno bisogno di esser aiutati, sostenuti o salvati
fossero obbligati a chiederlo esplicitamente, nonché ad accettare un
commissariamento più o meno blando, mentre il nostro premier – come il premier
spagnolo – comprensibilmente preferisce la filosofia di Denim, o dell’uomo “che
non deve chiedere mai”»
E questo
esattamente che significherebbe, professor Ricolfi? Secondo lei, Italia e Spagna non hanno finora
ricevuto prescrizioni (anzi, ordini) che sono del tutto equivalenti, per
durezza, a quelli di un formale Memorandum of Understanding?
Effettuare una manovra da 65 miliardi di euro in due anni e mezzo, in palese ed
evidente contropartita dei soldi ottenuti per ricapitalizzare il sistema
creditizio spagnolo non è l’equivalente di un MoU, non esplicitato solo per non
ferire l’orgoglio nazionale spagnolo? Se fossero 65 miliardi di purissimi tagli
di spesa, con la sola finalità di chiudere il buco di bilancio pubblico e non
di tagliare le imposte, secondo lei i mercati vedrebbero nella manovra il
prodromo di una rabbiosa impennata del Pil spagnolo?
Ah, a
proposito, ma dove sta sbagliando, ora, Rajoy? Non era l’idolo di Ricolfi, otto mesi addietro, il modello
da seguire? Non era l’eroe che tagliava la spesa e, per quella via,
evitava ai produttori “riduzioni di reddito disponibile” e “nuovi oneri”?
Quelle manovre ci sono mai state? Se sì, si conferma che i tagli di spesa, in
questo contesto, restano depressivi. Se non ci sono state, ed ora
la Spagna si volge all’Iva, possiamo dire che Rajoy e Monti (e tutti gli altri
governanti europei dei PIIGS) sono il problema dei mercati, e quindi che il
problema non è il solo Monti ma la natura e la tempistica del consolidamento
fiscale in Europa, proprio perché i tedeschi si sono fatti cogliere
dall’ansia e dal “rivoglio indietro i soldi”. Ma quei soldi sono davvero solo
tedeschi, poi? Non è che qualche “ingegnere sociale” miope al limite della
cecità ideologica, ha deciso che (marinettianamente) la devastazione sociale e
finanziaria è la forma suprema di “igiene (fiscale) del mondo”?
Ultima
domanda per il sociologo che sovrainterpreta i mercati finendo impigliato nella
logica, visto che
condanna “una visione moralistico-idealistica del funzionamento dei mercati” se
quella visione viene da Bruxelles (viene da Berlino, in realtà, ma non è
rilevante), ma finisce poi col proporne uno suo, di moralismo, quello dei
mercati che non vogliono aumenti di imposta: se quello che leggiamo sui mercati
indica una sanzione a condotte “devianti” (l’eccesso di pressione fiscale a
difesa dell’eccesso di spesa pubblica), come interpretare l’indiscutibile
successo del debito
sovrano francese dopo l’elezione di François Hollande, l’uomo
dell’Irpef al 75 per cento e della difesa intransigente della spesa pubblica al
56 per cento di Pil? Meno Monti più Hollande, quindi?
Immaginiamo che questo sarà oggetto di un prossimo editoriale di
Ricolfi, l’aruspice dei mercati, cantore delle nequizie montiane.
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