Ormai le nostre giornate anche
private risultano dominate dallo SPREAD.
E non solo quelle di chi si è
auto proposto, forse con insufficiente prudente modestia <<salva
Italia>> e adesso se lo vede, purtroppo anche per noi, ritornare in faccia
come una molla saltata…
Prima, lo spread veniva proposto
come un indice di pre-fallimento, adesso, più prudentemente, lo accompagna il
gemito, più o meno corale, avevamo fatto tutto bene ma la speculazione non ci
ama…
Ma
in fondo, cos’è poi lo spread?
Leggevo, pochi giorni fa, che lo
spread fotografa, alla fine, il rapporto debito/pil di una nazione; e se sei in
recessione, con pil reso da questa negativo, mentre il debito pubblico, come è
anche nel nostro caso, continua imperterrito a crescere comunque, il tuo
rapporto debito/pil s’impenna, ed i <mercati> ti danno pollice verso.
Ritenendo troppo pericoloso finanziarti, entro una tua traiettoria che lascia
seriamente temere insolvenza.
E questo non appare un
ragionamento ispirato tanto da cattiveria eventuale, ma forse di più da comune
buon senso.
Quanto
ai suoi effetti sulla nazione che
lo subisca troppo elevato, non credo che lo spread, però, sia così innocente da
indicare soltanto una opinione esterna.
Apparendo esso stesso, col costo
troppo alto d’interessi al debito che svela - ed anche impone - una potenziale
<larva> di una possibile futura insolvenza accelerata che ci contagerebbe
tutti, temo.
Perché
il nostro spread che appare ormai in libero decollo, non ci saccheggia solo il
bilancio, ma, ritengo, esprima soprattutto un assottigliamento, questo si
drammatico, di acquirenti del debito.
Alcune sere fa, mi sono imbattuto
su Fubini del Corriere della Sera, da Mineo in Tv.
Argomentava infatti che, oggi
verso l’Italia, non ci troviamo in presenza di speculazione che punti a
demolire un valore bersaglio, come accaduto invece anche in passato; quanto, in una
costante, e ormai incessante, ritirata di investitori esteri, soprattutto
istituzionali, dall’Italia e dal suo debito.
Livello di acquirenti esteri del
nostro debito che non a caso risulta già passato da oltre il 50% all’attuale
circa 37%.
E evidenziava ancora che, gli
investitori esteri anche molto qualificati, risultano aspettare la scadenza,
incassare ed andarsene, o, vendere, alla prima occasione buona. E andarsene
comunque.
UNA
CRISI DI FIDUCIA, la chiamava quella del nostro debito attuale.
E, qui, temo non contino né i
fondamentali, né altro: o c’è, o non c’é. E se non c’è, puoi fare molto poco
con oltre 150 mila miliardi a scadere entro novembre venturo.
Poi, certo, la vita continua, in
molti casi anche <esuberante>; ma la guerra <chimica> dicono che
sia così: città piene di vita, e, un istante dopo, ferme senza aver neanche
avvertito il pericolo incombente.
Tocchiamo ferro, ma i media non
dovrebbero fare centraline efficaci di <analisi> e di <ragionato>
allarme e sulle ragioni vere? E lo fanno?
Al momento, peraltro, pare che
siamo ancora al culto prevalente dei <cerusici> di turno, i quali, come
ancora qualche secolo fa, ad ogni malanno, anche al paziente più debilitato, e
di ogni età e genere, usualmente, prescrivevano l’immancabile unica panacea di
un bel salasso.
Ma si dice, anche, che molti
pochi di quei loro pazienti ridiscendessero da soli dal letto. Tocchiamo ferro
di nuovo, e speriamo che si viri in tempo.
Prima tuttavia di un periodo di
silenzio agostano sulle mie piccole annotazioni, vorrei
proporre un altro lato di osservazione, dello stesso fenomeno, ma che non sia
spread soltanto.
Infatti, a questo, allo stato
dell’arte vigente, credo che gli possiamo fare veramente poco noi comuni
cittadini. Allo spread in corso, in presenza di strategia economiche attuali
che restino immutate. Salvo osservarlo come un sinistro <aquilone>. Che
sale, e che scende a suo piacimento. Come pare sappia anche qualcun altro
apparso caduto per questo in depressione.
Spostiamo
l’angolo allora ad una geopolitica se pur terra terra?
Questo stato dell’arte
nell’Europa sud, esprime indubbiamente l’andamento di uno sforzo pluriennale
tedesco di assumersi l’egemonia sopra l’Europa intera e con mezzi almeno
diversi.
In fondo, l’intera Germania
unita, appare provare a fare, e ormai da tempo, la Prussia dell’Europa intera.
Osserviamo del resto
l’Inghilterra. Da secoli risultata con una sua politica costante: impedire la
unificazione del continente sotto una unica nazione che la escludesse. E,
l’Inghilterra, oggi, la osserviamo tutta esterna, e volontariamente, alla Ue
para tedesca.
Ma,
la Germania, ha veramente <vinto>, o quantomeno si prepara veramente a
vincere?
Personalmente, ritengo,
invece, che la Germania attuale abbia già iniziato la sua <ritirata>.
Il dibattito pubblico tutto
interno tedesco attuale, sulla convenienza tedesca di uscire essa dall’euro,
penso riveli la convinzione anche soprattutto loro che i vantaggi stiano
finendo nel rischio di impantanarsi in una costosissima tattica di posizione.
Perché
in fondo, penso che abbiano ragione i tedeschi che si interrogano?
Perché la nostra <volpe>,
detto affettuosamente agli amici tedeschi pur nel dissenso, pare essersi da
sola imbottigliata, e, temo, senta un grande odore di <pellicceria> come
si sarebbe forse detto un tempo,
Perché, proprio quando appare
più trionfante?
Perché, come si gira, le costerà
una <fortuna>, che siano euro o marchi.
Lascia sprofondare l’Europa sud,
noi italiani compresi, e l’euro se ne va anche senza sue decisioni. Prende
possesso anche sostanziale della ora scardinata Europa sud, e si troverà ad
adottare un debito, col nostro che, si rivelerebbe peggio di sanzioni di
guerra.
Ma
poteva andare diversamente?
Chi ha fatto ben due luttuose
guerre planetarie per fermarne l’egemonia, poteva dire: Ok e mentre la
depressione volontaria europea attuale gli preclude la ripresa piena propria?
Il tarlo ora si è innestato anche
nel gioco di debito collocato a interessi meno di zero a spese soprattutto
nostre: tendenziale negativo, dicono gli <inutili> rating, ma apre anche
la possibile discesa successiva giù per l’alfabeto. Dei rating.
E ci sarà discesa, qualunque cosa
scelga. E si arriverà alfine allo scalino, presumo, che escluderà gli
investitori istituzionali come già da noi….
Tutto
bene per noi, allora?
Temo che non ci sarebbe di alcun
conforto, vedere nei guai Berlino, mentre già Roma sprofonda.
Per paradosso, la
<bottiglia> in cui ci appare già finita la Germania per troppo suo
successo, potrebbe romperla proprio un’Italia tornata intanto alla sua crescita
coesa ed equa e che si facesse anche promotrice di una Europa confederata senza
più Stati pretesi più Stati di altri al proprio interno.
O, temo, che, anche se noi non
rideremo, a breve si arenerà anche <l’allegria> tedesca.
Il futuro, appare veramente in
mano, oggi, proprio alle singole scelte, di persone e anche di singolo Stati.
p.s.
non so se abbiamo notato che,
mentre l’Italia economica sociale ormai risulta bruciare largamente, e
soprattutto per mano di <piromani> nostrani, l’assetto politico nostro si sta occupando pressoché in
prevalenza di sfornare una Legge elettorale. Ma, Legge elettorale, non che si
proponga di restituire pieno potere agli elettori come peraltro quasi ovunque altrove
accade, ma, piuttosto, che garantisca alle stremate maggioranze attuali,
apparse ormai senza consenso, di conservare il controllo del Paese così che non
cambi niente al suo interno neanche dopo il voto.
Questo peraltro accade quando le
Costituzioni risultano aver cessato di rappresentare vincoli e disposizioni
tassative per tutti, ma risultano diventate, per così dire, <elastiche>
anche alle opinabili esigenze di sopravvivenza di altri.
Allora,
quando ci sembra che non c’è rimedio, regaliamoci un passo di
Francesco Alberoni – comparso nella prima pagina del Corriere della Sera del 21
aprile 2008 nella sua rubrica Pubblico&Privato – e che appare come se
tagliato proprio invece sul nostro tormentato oggi italiano. E che appare un
buon termometro anche individuale già per comprendere dove vogliamo andare e
dove ci vorrebbero portare:
<<
E ogni nazione sopravvive solo se sa trovare in sé la solidarietà ed il
coraggio di difendere le sue attività, il suo popolo e i suoi valori. Se si
ricorda che non sono in vendita. >>
staffa
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