giovedì 26 luglio 2012

ACHTUNG spread



 Ormai le nostre giornate anche private risultano dominate dallo SPREAD.
E non solo quelle di chi si è auto proposto, forse con insufficiente prudente modestia <<salva Italia>> e adesso se lo vede, purtroppo anche per noi, ritornare in faccia come una molla saltata…

Prima, lo spread veniva proposto come un indice di pre-fallimento, adesso, più prudentemente, lo accompagna il gemito, più o meno corale, avevamo fatto tutto bene ma la speculazione non ci ama…

Ma in fondo, cos’è poi lo spread?


Leggevo, pochi giorni fa, che lo spread fotografa, alla fine, il rapporto debito/pil di una nazione; e se sei in recessione, con pil reso da questa negativo, mentre il debito pubblico, come è anche nel nostro caso, continua imperterrito a crescere comunque, il tuo rapporto debito/pil s’impenna, ed i <mercati> ti danno pollice verso. Ritenendo troppo pericoloso finanziarti, entro una tua traiettoria che lascia seriamente temere insolvenza.
E questo non appare un ragionamento ispirato tanto da cattiveria eventuale, ma forse di più da comune buon senso.

Quanto ai suoi effetti sulla nazione  che lo subisca troppo elevato, non credo che lo spread, però, sia così innocente da indicare soltanto una opinione esterna.
Apparendo esso stesso, col costo troppo alto d’interessi al debito che svela - ed anche impone - una potenziale <larva> di una possibile futura insolvenza accelerata che ci contagerebbe tutti, temo.

Perché il nostro spread che appare ormai in libero decollo, non ci saccheggia solo il bilancio, ma, ritengo, esprima soprattutto un assottigliamento, questo si drammatico, di acquirenti del debito.


Alcune sere fa, mi sono imbattuto su Fubini del Corriere della Sera, da Mineo in Tv.
Argomentava infatti che, oggi verso l’Italia, non ci troviamo in presenza di speculazione che punti a demolire un valore bersaglio, come accaduto invece anche in passato; quanto, in una costante, e ormai incessante, ritirata di investitori esteri, soprattutto istituzionali, dall’Italia e dal suo debito.

Livello di acquirenti esteri del nostro debito che non a caso risulta già passato da oltre il 50% all’attuale circa 37%.
E evidenziava ancora che, gli investitori esteri anche molto qualificati, risultano aspettare la scadenza, incassare ed andarsene, o, vendere, alla prima occasione buona. E andarsene comunque.

UNA CRISI DI FIDUCIA, la chiamava quella del nostro debito attuale.

E, qui, temo non contino né i fondamentali, né altro: o c’è, o non c’é. E se non c’è, puoi fare molto poco con oltre 150 mila miliardi a scadere entro novembre venturo.

Poi, certo, la vita continua, in molti casi anche <esuberante>; ma la guerra <chimica> dicono che sia così: città piene di vita, e, un istante dopo, ferme senza aver neanche avvertito il pericolo incombente.
Tocchiamo ferro, ma i media non dovrebbero fare centraline efficaci di <analisi> e di <ragionato> allarme e sulle ragioni vere? E lo fanno?

Al momento, peraltro, pare che siamo ancora al culto prevalente dei <cerusici> di turno, i quali, come ancora qualche secolo fa, ad ogni malanno, anche al paziente più debilitato, e di ogni età e genere, usualmente, prescrivevano l’immancabile unica panacea di un bel salasso.
Ma si dice, anche, che molti pochi di quei loro pazienti ridiscendessero da soli dal letto. Tocchiamo ferro di nuovo, e speriamo che si viri in tempo.

Prima tuttavia di un periodo di silenzio agostano sulle mie piccole annotazioni, vorrei proporre un altro lato di osservazione, dello stesso fenomeno, ma che non sia spread soltanto.

Infatti, a questo, allo stato dell’arte vigente, credo che gli possiamo fare veramente poco noi comuni cittadini. Allo spread in corso, in presenza di strategia economiche attuali che restino immutate. Salvo osservarlo come un sinistro <aquilone>. Che sale, e che scende a suo piacimento. Come pare sappia anche qualcun altro apparso caduto per questo in depressione.

Spostiamo l’angolo allora ad una geopolitica se pur terra terra?

Questo stato dell’arte nell’Europa sud, esprime indubbiamente l’andamento di uno sforzo pluriennale tedesco di assumersi l’egemonia sopra l’Europa intera e con mezzi almeno diversi.
In fondo, l’intera Germania unita, appare provare a fare, e ormai da tempo, la Prussia dell’Europa intera.

Osserviamo del resto l’Inghilterra. Da secoli risultata con una sua politica costante: impedire la unificazione del continente sotto una unica nazione che la escludesse. E, l’Inghilterra, oggi, la osserviamo tutta esterna, e volontariamente, alla Ue para tedesca.

Ma, la Germania, ha veramente <vinto>, o quantomeno si prepara veramente a vincere?

Personalmente, ritengo, invece, che la Germania attuale abbia già iniziato la sua <ritirata>.

Il dibattito pubblico tutto interno tedesco attuale, sulla convenienza tedesca di uscire essa dall’euro, penso riveli la convinzione anche soprattutto loro che i vantaggi stiano finendo nel rischio di impantanarsi in una costosissima tattica di posizione.

Perché in fondo, penso che abbiano ragione i tedeschi che si interrogano?

Perché la nostra <volpe>, detto affettuosamente agli amici tedeschi pur nel dissenso, pare essersi da sola imbottigliata, e, temo, senta un grande odore di <pellicceria> come si sarebbe forse detto un tempo,

Perché, proprio quando appare più trionfante?
Perché, come si gira, le costerà una <fortuna>, che siano euro o marchi.
Lascia sprofondare l’Europa sud, noi italiani compresi, e l’euro se ne va anche senza sue decisioni. Prende possesso anche sostanziale della ora scardinata Europa sud, e si troverà ad adottare un debito, col nostro che, si rivelerebbe peggio di sanzioni di guerra.

Ma poteva andare diversamente?

Chi ha fatto ben due luttuose guerre planetarie per fermarne l’egemonia, poteva dire: Ok e mentre la depressione volontaria europea attuale gli preclude la ripresa piena propria?
Il tarlo ora si è innestato anche nel gioco di debito collocato a interessi meno di zero a spese soprattutto nostre: tendenziale negativo, dicono gli <inutili> rating, ma apre anche la possibile discesa successiva giù per l’alfabeto. Dei rating.
E ci sarà discesa, qualunque cosa scelga. E si arriverà alfine allo scalino, presumo, che escluderà gli investitori istituzionali come già da noi….

Tutto bene per noi, allora?

Temo che non ci sarebbe di alcun conforto, vedere nei guai Berlino, mentre già Roma sprofonda.

Per paradosso, la <bottiglia> in cui ci appare già finita la Germania per troppo suo successo, potrebbe romperla proprio un’Italia tornata intanto alla sua crescita coesa ed equa e che si facesse anche promotrice di una Europa confederata senza più Stati pretesi più Stati di altri al proprio interno.
O, temo, che, anche se noi non rideremo, a breve si arenerà anche <l’allegria> tedesca.

Il futuro, appare veramente in mano, oggi, proprio alle singole scelte, di persone e anche di singolo Stati.

p.s.

non so se abbiamo notato che, mentre l’Italia economica sociale ormai risulta bruciare largamente, e soprattutto per mano di <piromani> nostrani, l’assetto politico nostro si sta occupando pressoché in prevalenza di sfornare una Legge elettorale. Ma, Legge elettorale, non che si proponga di restituire pieno potere agli elettori come peraltro quasi ovunque altrove accade, ma, piuttosto, che garantisca alle stremate maggioranze attuali, apparse ormai senza consenso, di conservare il controllo del Paese così che non cambi niente al suo interno neanche dopo il voto.
Questo peraltro accade quando le Costituzioni risultano aver cessato di rappresentare vincoli e disposizioni tassative per tutti, ma risultano diventate, per così dire, <elastiche> anche alle opinabili esigenze di sopravvivenza di altri.

Allora, quando ci sembra che non c’è rimedio, regaliamoci un passo di Francesco Alberoni – comparso nella prima pagina del Corriere della Sera del 21 aprile 2008 nella sua rubrica Pubblico&Privato – e che appare come se tagliato proprio invece sul nostro tormentato oggi italiano. E che appare un buon termometro anche individuale già per comprendere dove vogliamo andare e dove ci vorrebbero portare:

<< E ogni nazione sopravvive solo se sa trovare in sé la solidarietà ed il coraggio di difendere le sue attività, il suo popolo e i suoi valori. Se si ricorda che non sono in vendita. >>

staffa

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