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I recenti fatti di Istanbul erano forse pronosticabili, al di là della scintilla che ha dato fuoco alle polveri: il Parco di Gezi. La Turchia sta infatti continuando la sua strada per diventare un importante attore geopolitico, non senza ondeggiamenti nel cercare la giusta via; e questo ha di certo creato dei malumori in quelle parti della società che non condividono le scelte di Erdogan.
La politica di Ankara guarda sempre più ad est, come dimostrato dalla sua ammissione, come “partner di dialogo” nella Shanghai Cooperation Organization (SCO). Dopo un’attesa ormai decennale per l’ingresso nell’Unione Europea,
in un paio d’anni Ankara è stata accolta (sebbene non a pieno titolo)
nell’organizzazione che ha come membri sia Russia che Cina. La SCO è
tuttavia lontana dall’essere una realtà funzionale a tutti gli effetti, frenata da questioni come le sanzioni all’Iran o le perenni tensioni tra India e Pakistan; tuttavia l’interesse turco è altamente significativo. Erdogan sta infatti voltando le spalle all’occidente, stanco di cercare di capire le intenzioni di Bruxelles riguardo all’ammissione della Turchia. La debolezza europea potrebbe diventare paradossalmente la chiave per l’ingresso in Europa, partendo da Cipro e dilagando nei balcani, lungo percorsi che la storia ha già mostrato.
L’uso che Erdogan ha fatto dei movimenti islamici in Turchia è strettamente connesso all’interesse geopolitico verso est. Un’identità musulmana permette infatti al paese anatolico di rivolgersi ai paesi caucasici e dell’Asia Centrale, rispolverando forse gli antichi sogni di panturchismo. Allo stesso tempo il cambio di rotta in Siria che ha portato la Turchia a schierarsi con Israele potrebber risultare un enorme contraccolpo identitario per il paese retto da Erdogan. Su questa questione in Turchia è sceso il silenzio, come sul massacro di civili turchi in prossimità del confine siriano, genericamente imputati a gruppi estremisti di sinistra inattivi da tempo. La ritrovata amicizia con Gerusalemme oltre a creare malumori in patria, è prevedibile peggiorerà i rapporti con l’Iran, già tesi per questioni di rivalità regionale. E non sembra un caso che Teheran abbia recentemente dichiarato che rifornirà di gas l’Armenia, che di Ankara è storica nemica, nonostante l’Iran abbia bisogno della Turchia per poter far giungere il proprio gas in Europa.
Con Israele i turchi sembrano avere forti interessi comuni, a partire dai giacimenti scoperti nelle acque tra Cipro e lo stato ebraico. Non sembra escluso che in cambio della non belligeranza in Siria, con il fortissimo rischio di un escalation del conflitto, il governo turco abbia avuto il via libera per lo sfruttamento del petrolio del Kurdistan, nonostante il veto posto in precedenza dagli USA. Gli interessi turchi in Iraq rischiano di destabilizzare ulteriormente questo paese. Di fatto Erdogan ha imposto a sorpresa le sue condizioni ad Obama, in occasione degli incontri tenutisi a Washington alla metà del mese scorso. L’avallo al progetto energetico in collaborazione con le autorità kurde di Erbil, e realizzato in collaborazione con Exxon Mobil, risulta essere una vittoria turca per la quale Israele non sembra spiacersi.
Un paese quindi, quello turco, dove Erdogan utilizza gli islamisti per smarcarsi dalla “protezione” dell’esercito (in Turchia custode della democrazia) ma senza volere un paese islamico, né tantomeno teocratico; un paese che ha sempre guardato ad ovest per riscoprire poi (anche come reazione al rifiuto altrui) i suoi legami con l’est.
La Turchia sta giocando su diversi tavoli, e non sempre a carte
scoperte, i disordini scoppiati nel parco di Gezi potrebbero essere solo
il segnale che in Turchia è in corso un’esplosiva crisi identitaria.
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