di Wes Nama |
Spesso a commento di alcuni scritti di altri blog che leggiamo è possibile rintracciare acute osservazioni su quella che è la contemporanea costruzione del senso comune da parte dei media e delle agenzie culturali in generale.
Questo commento, che trovate a margine di questo post del blog di Miguel Martinez, è particolarmente interessante perchè prova a sollecitare la nostra interrogazione su un piano meno superficiale e da tifo rispetto a quello cui siamo abituati ed educati a sostenere dalla permanente attività "pedagogica" che l'informazione e l'opinione ci induce a rivestire.
Un commento che vorrebbe richiamare ognuno a riassumersi e a riprendersi la libertà di articolare la propria personale identità, questione questa che è il piano vero e concreto sulla quale si sconta la nostra attuale crisi. Crisi da cui, comunque, non ci appare lo stesso autore immune. Ma resta interessante la domanda che riesce insinuarci sulle relazioni fra potere e teatralità attoriale dello stesso negli scenari della costruzione dei luoghi comuni e del senso condiviso.
Tornando ai frogi:
“Avete fatto caso che, da qualche anno, la semplice opinione contraria al matrimonio gay, o alla legalizzazione dell’aborto è passata a essere condannata sotto l’etichetta di “estremismo”, come se matrimoni omosessuali o aborti su richiesta non fossero novità scioccanti, rivoluzionarie, bensì pratiche consensuali millenarie, fermamente ancorate nella Storia, nella natura umana e nel senso comune, alle quali davvero solo un pazzo estremista potrebbe opporsi?
Avete fatto caso che l’esibizionismo sessuale in luogo pubblico, le brutali offese alla fede religiosa, l’invasione provocatoria di chiese, sono ormai accettati come normali mezzi di protesta democratica da parte di quella stessa stampa e tv e da quelle stesse autorità costituita che, davanti alla più pacifica e serena citazione della Bibbia, subito lanciano l’allarme contro l’abuso “fondamentalista” della libertà di opinione?
Avete fatto caso che il semplice atto di pregare in pubblico è considerato come manifestazione di “intolleranza” ( se fatto da cristiani, sia chiaro ), e che, al contrario, la proibizione di pregare è celebrata come espressione purissima della “Libertà religiosa”?
Avete fatto caso che, dopo aver dato al termine “fondamentalista” una accezione sinistra per la sua associazione con il terrorismo islamico, i mezzi di comunicazione più rispettabili e eleganti hanno cominciato a usarlo contro pastori e fedeli, cattolici ed evangelici, come se i cristiani fossero gli autori e non le vittime inermi della violenza terroristica nel mondo?
Quello a cui certamente non avrete fatto caso è che la transizione finale degli epiteti “estremista” e “fondamentalista” verso quello di “terrorista” ha già superato ormai perfino la fase della transizione semantica per diventare uno strumento reale, pratico, di intimidazione statale. Non lo avete notato perché la notizia non è stata data mai in Brasile [e non mi pare neppure da noi, NdT], che, negli USA, qualsiasi cristiano che si opponga all’aborto o contribuisca per campagne di difesa di suoi correligionari perseguitati, è considerato dal Homeland Security, almeno in teoria, come obiettivo preferenziale per controlli di “terrorismo” , sebbene il numero di atti terroristici commessi da questo tipo di persone sia, rigorosamente, zero. In cambio, qualsiasi siggerimento che le indagini dovrebbero avere come attenzione principale i musulmani o i sinistristi – autori della maggioranza assoluta di attentati sul territorio americano – è condannata dal governo e dai mass-media come hate speech.
Nessun componente del Family Research Council aveva mai sparato a qualcuno, né tirato un pugno, neppure insultato una sola persona, quando la ONG sinistrista South Poverty Law Center ha collocato quella organizzazione conservatrice nella sua Hate List. Quando un fanatico gayzista è entrato là dentro gridando slogans anticristiani e sparando a tutti, nemmeno uno degli organi di informazione ha chiamato questo di “crimine di odio”.
In tutti questi casi, e in una infinità di altri, la strategia è sempre la solita: rompere le normali catene di associazione di idee, invertire il senso delle proporzioni, forzare la popolazione a negare quello che i propri occhi vedono e a vedere, al suo posto, quello che la elite illuminata comanda di vedere.
No, non si tratta di persuasione. Le convinzioni propagate così restano superficiali, perché escono dalla bocca mentre le impressioni che le negano continuano a entrare dagli occhi e dalle orecchie. Quello che si cerca è il contrario della genuina persuasione: è instillare nel pubblico uno stato di insicurezza isterica, nel quale la contraddizione tra quello che si percepisce e quello che si dice possa venire appianata solo mediante l’espediente di parlare sempre più alto, di gridare quello che, in fondo, non si crede né si può credere. È un effetto calcolato, una opera di tecnologia psicologica. Può sinceramente credere, un qualsiasi militante gayzista che, in un paese dove avvengono cinquantamila omicidi all’anno, una centinaio scarso di omicidi di omosessuali provino l’esistenza di un’epidemia di odio anti-gay? È chiaro che no. E proprio perché non può crederlo, deve gridarlo. Gridarlo per non rendersi conto della farsa esistenziale sulla quale ha scommesso la sua vita e dalla quale dipende per conservare i suoi amici, il suo posto ben protetto nella militanza, la sua falsa identità di perseguito e discriminato in una società che non osa dire una sola parola contro di lui. Il militante ideale di questi movimenti non è il fedele sincero, bensì il fingitore isterico. Il primo acconsente di mentire in favore delle sue convinzioni, ma conserva una qualche capacità di giudizio oggettivo e può, in situazioni di crisi, trasformarsi in un pericoloso dissidente interno. L’isterico, invece, non ha limiti nella sua compulsività a falsificare. Il militante sincero usa la menzogna come uno strumento tattico; per l’isterico, essa è una necessità indispensabile, una zattera di salvezza psicologica. L’inversione, meccanismo basilare del modus pensandi rivoluzionario, è prima di tutto un sintomo isterico. È per questo che ormai da decenni i movimenti rivoluzionari hanno desistito dalla persuasione razionale, hanno perso ogni scrupolo di onorabilità intellettuale e non si vergognano di agitare ai quattro venti bandiere ostensivamente, volontariamente assurde e auto-contradditorie. Non hanno bisogno di “veri credenti”, la cui integrità causa problemi. Hanno bisogno di masse di isterici, pieni di quella passionate intensity della quale parlava W. B. Yeats, pronti a mettere in scena sofferenze che non hanno, a lottare fanaticamente per quello in cui non credono, proprio perché non ci credono e perché solo la teatralizzazione isterica mantiene vivi i loro legami di solidarietà militante con migliaia di altri isterici.”
Olavo de Carvalho
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