Capire che i nostri guai cominciano già dal 1982, con la prima svalutazione monetaria (i cui contenuti inflattivi furono calmierati dal taglio del 3% di punti della scala mobile), e con la successiva e più massiccia svalutazione del 1992 ( i cui effetti inflattivi furono contenuti dal definitivo abbandono della scala mobile e con l'applicazione della concertazione contrattuale), può essere utile per spiegare:
1. il diminuito potere d'acquisto degli stipendi e dei salari rispetto a quelli del 1991 (vedi post Ricchezza e Povertà in Europa) in Italia;
2. il processo di thailandizzazione dell'economia produttiva italiana e la sua costante perdita di produttività, sempre più vincolata a variabili di "prezzo" e non ad investimenti tecnologici e a cambiamenti organizzativi;
3. l'emersione di un ceto dirigente ed industriale senza nessuna cultura economica e politica che ha determinato lo scivolamento becero nel politicismo attuale che ha incancrenito il Paese;
4. il processo di pauperizzazione di strati sempre più ampi di società, in particolare nel lavoro dipendente e nelle giovani generazioni;
5. il processo di concentrazione della ricchezza: come scritto nel post sopra citato, se il coefficiente di Gini per i redditi è lusinghiero (32%), stante a dimostrare che vi sono forme quasi egualitarie di distribuzione del reddito, un coefficiente di Gini relativo alla distribuzione della ricchezza che è invece del 62% sta tutto a significare la profonda ineguaglianza della distribuzione della ricchezza nel Paese. Questo sta chiaramente a significare che per i redditi esiste un'evasione fiscale che in apparenza rende il nostro sistema di redistribuzione dei redditi ottimale, poichè se il dato fosse reale anche la redistribuzione della ricchezza sarebbe vicina al 32% di quella dei redditi, e non invece del 62% ad indicare la profonda diseguaglianza che in 30 e più anni si è venuta a determinare in Italia.
Forse, è il caso di dirlo, la battaglia fu persa quando la sinistra, ed un sindacato affiliato come la CGIL, nel referendum del 1983 che chiedeva l'abrogazione del taglio di 3 punti percentuali alla scala mobile operati da Craxi nel cosiddetto Decreto di San Valentino non compì il salto di qualità, ancorando quella campagna politica e referendaria alla rivendicazione salariale e non a ciò che voleva invece significare: l'avvio della perdita di competitività dell'industria italiana.
E' da quel guaio, non aver capito allora quello che era in atto, nel non aver compreso che il processo di globalizzazione andava guidato negli effetti interni all'Italia attraverso politiche che riscrivessero il patto sociale e politico fra i ceti sociali italiani, che ha poi determinato il grande guaio attuale: un ceto politico ed una èlite incapace ignorante e biecamente sciatta ed inconsistente, il cui unico esercizio che meglio di riesce e quella di autoconservarsi mandando al macero intere generazioni di italiani.
Guardate il video qui proposto, del 1994, dell'economista Augusto Graziani, tirato fuori da Ecodellarete.
Ogni tanto fare pace con la propria memoria (storica) è salutare: l'espropriazione del passato, come scrisse Orwell, è ciò che consente di togliere dalle mani di un popolo la determinazione del futuro.
« L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. » (Articolo 1 della Costituzione Italiana) Il 2 Giugno 1946 l'Italia decise di diventare una Repubblica, con un Patto di Cittadinanza sancito dall'art. 1 della Costituzione Italiana. NOI crediamo che adesso questo patto sociale, politico, economico, e di cittadinanza così tante volte violato, debba essere da NOI rivitalizzato.
martedì 26 marzo 2013
Un po' di ragioni storiche che spiegano l'attuale disastro
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