giovedì 6 dicembre 2012

QUANDO CI COSTANO I CARTELLI SULLE MERCI?

foto di Abbas - Mali
L'Antitrust europeo lo dobbiamo alla Germania, che già nel 1957 fu uno dei primi Stati europei ad introdurre per legge il controllo e il sanzionamento dei cartelli oligopolistici nei settori produttivi. Ma siamo molto lontani dalla certezza del diritto, anche perchè le società tedesche che stringono accordi di cartello sono sempre più numerose, e sempre più pizzicate.


Mercoledì 5 dicembre “la Commissione europea ha inflitto una multa record da 1,47 miliardi di euro a sette compagnie che per dieci anni, [dalla fine degli anni novanta], si sono messe d’accordo sui prezzi dei tubi catodici per televisori e schermi di computer”, riferisce Le Figaro. Il quotidiano parigino ricorda che la Commissione ha effettuato perquisizioni nei locali delle compagnie fin dal 2007, e sottolinea che si tratta “della multa cumulativa più salata inflitta dalla Commissione a un cartello”. 
Le compagnie multate sono Lg Electronics, Philips, Samsung, Panasonic, Mtpd (oggi filiale di Panasonic) Toshiba e Technicolor. Il produttore thailandese Chunghwa Picture Tubes, che ha rivelato l’esistenza dell’accordo fraudolento, non è stato multato.
Nel dettaglio, il gruppo olandese Philips Electronics € 313.400.000. La sudcoreana LG Electronics € 295.600.000 e € 157.500.000 la giapponese Panasonic. La francese Technicolor (che hanno acquisito nel 2010 il marchio Thomson) pagherà 38,6 milioni di euro, la giapponese Toshiba 28 milioni e la sudcoreana Samsung SDI (150,8 milioni), oltre a due joint venture della Panasonic. Per un totale di € 1,5 miliardi di euro. Taiwan Chunghwa Picture Tubes, società thailandese del settore, che ha rivelato l'esistenza del cartello, sfuggito alla punizione.

Bruscolini, se consideriamo che questa è stata la multa più salata fra quelle fatte pagare alle società di cartello, e la cui entità della multa non può superare il 10% del giro di affari accertato. 

Una vera inezia, come testimonia il caso del cartello dei cementifici tedeschi emerso nel 2002. Dai calcoli dell’anti-trust risulta che tale accordo informale avrebbe sottratto ai clienti quasi due miliardi di euro. Ma le aziende incriminate non hanno versato che 400 milioni di euro di sanzioni. Pur provocando danni considerevoli, i cartelli vengono multati come chi viola il codice della strada. Le loro azioni sono considerate semplici infrazioni e di conseguenza chi le commette non è chiamato a risponderne davanti alla giustizia. Nella maggior parte dei casi l’opinione pubblica non viene neppure a conoscere i nomi.

Negli Stati Uniti le cose funzionano molto diversamente: lì costituire un cartello o farne parte significa rischiare il carcere. Nel 2004 la pena massima è stata portata a dieci anni di reclusione. Irlanda e Regno Unito hanno seguito il modello americano. Ma la Germania non vuole proprio sentirne parlare. Il segretario del ministro dell’economia Philipp Rösler ha dichiarato che quest’ultimo “nutriva delle riserve per ciò che concerne la criminalizzazione del diritto europeo sugli accordi informali”.

Se l’ostinazione della Germania nel trattare gli accordi informali come piccoli reati costituisce un problema è anche perché, secondo l’opinione di molti giuristi, questa generosità non è applicata a tutti. Infatti gli accordi stretti in occasione delle offerte pubbliche di acquisto, denominate “offerte d’appalto concertate”, sono passibili di sanzioni ben più pesanti.

Direttori generali e responsabili delle vendite si ritrovavano in “piccole rappresentanze” – così hanno ricostruito gli inquirenti – per “scambi mirati su progetti precisi”, con risultati a dir poco redditizi. Stringevano accordi che garantivano agli pseudo-concorrenti benefici nell’ordine delle decine di milioni di euro. Tutti i presenti concordavano nei dettagli come spartirsi i contratti e, cosa ancora più importante, i prezzi da praticare.

I funzionari dell’Ufficio federale dei contratti di Bonn hanno scoperto che per almeno cinque anni il gruppo Siemens, la società Starkstrom-Gerätebau di Ratisbona, il gruppo francese Alstom e il colosso svizzero dell’energia elettrica Abb si sono spartiti il mercato tedesco dei trasformatori, eliminando ogni forma di concorrenza a discapito dei consumatori, costretti a sborsare cifre nettamente più alte di quelle che avrebbero pagato se i fornitori fossero stati in concorrenza tra loro.

L’inchiesta dell’anti-trust è durata quattro anni ed è culminata nel settembre scorso con una una sfilza di sanzioni pecuniarie. Complessivamente le quattro società e i dirigenti coinvolti hanno dovuto versare 24,3 milioni di euro di multe al tesoro pubblico. Ma al di là di questo non è successo niente: nessuno è stato obbligato a rispondere del proprio operato in un tribunale. Nessuna delle parti coinvolte è stata citata. E tranne poche righe, neanche i media si sono dilungati sulla faccenda.


Ogni anno le authority anti-trust svolgono inchieste su centinaia di società che aggirano il divieto di accordi dietro le quinte. Caffè, detersivo per lavastoviglie, cemento e prodotti chimici, schermi, lettori di dvd, vetri e cavi elettrici per automobili, perfino gli automezzi dei vigili del fuoco e i gamberetti grigi: l’elenco dei settori coinvolati è senza fine, o quasi.

In realtà il costo della piaga dei cartelli è molto più alto di quanto non si creda. Sulla base della loro esperienza, le autorità anti-trust hanno potuto stabilire che i cartelli gonfiavano in media i prezzi dei loro prodotti del 25 per cento, così che nell’arco di quattro anni riuscivano a mettere da parte un bonus equivalente al loro intero giro d’affari annuo. Naturalmente, conoscerne l’importo preciso è impossibile. 

Dall’inizio del 2010 la Commissione europea ha lavorato a 15 importanti procedimenti, nei quali 112 aziende sono state condannate al pagamento di multe per una cifra complessiva pari a quasi quattro miliardi di euro. Ovvero quasi il quadruplo, nell’arco di tre anni, di tutti gli anni novanta considerati nel loro insieme.

Le cause di questa impennata di multe non vanno ricercate nel tentativo di miglioramento da parte delle autorità competenti, quanto nell’introduzione di una regolamentazione generosa nei confronti dei principali testimoni. Dal 2004 le aziende e i loro dirigenti che denunciano un accordo informale e presentano alla Commissione europea le prove necessarie non incorrono più in nessuna ammenda, quand’anche fossero stati loro i diretti beneficiari di tale intesa illecita.




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