foto di Abbas - Mali |
L'Antitrust europeo lo dobbiamo alla Germania, che già nel 1957 fu uno dei primi Stati europei ad introdurre per legge il controllo e il sanzionamento dei cartelli oligopolistici nei settori produttivi. Ma siamo molto lontani dalla certezza del diritto, anche perchè le società tedesche che stringono accordi di cartello sono sempre più numerose, e sempre più pizzicate.
Mercoledì 5 dicembre “la Commissione europea ha inflitto una
multa record da 1,47 miliardi di euro a sette compagnie che per dieci anni,
[dalla fine degli anni novanta], si sono messe d’accordo sui prezzi dei tubi
catodici per televisori e schermi di computer”, riferisce
Le Figaro. Il quotidiano parigino ricorda che la Commissione ha effettuato
perquisizioni nei locali delle compagnie fin dal 2007, e sottolinea che si
tratta “della multa cumulativa più salata inflitta dalla Commissione a un
cartello”.
Le compagnie multate sono Lg Electronics, Philips, Samsung,
Panasonic, Mtpd (oggi filiale di Panasonic) Toshiba e Technicolor. Il
produttore thailandese Chunghwa Picture Tubes, che ha rivelato l’esistenza
dell’accordo fraudolento, non è stato multato.
Nel dettaglio, il gruppo olandese Philips Electronics €
313.400.000. La sudcoreana LG Electronics € 295.600.000 e € 157.500.000 la giapponese
Panasonic. La francese Technicolor (che hanno acquisito nel 2010 il
marchio Thomson) pagherà 38,6 milioni di euro, la giapponese Toshiba 28 milioni
e la sudcoreana Samsung SDI (150,8 milioni), oltre a due joint venture della Panasonic. Per
un totale di € 1,5 miliardi di euro. Taiwan Chunghwa Picture Tubes, società
thailandese del settore, che ha rivelato l'esistenza del cartello, sfuggito alla
punizione.
Bruscolini, se consideriamo che questa è stata la multa più salata fra quelle fatte pagare alle società di cartello, e la cui entità della multa non può superare il 10% del giro di affari accertato.
Una vera inezia, come testimonia il caso del cartello dei
cementifici tedeschi emerso nel 2002. Dai calcoli dell’anti-trust risulta che
tale accordo informale avrebbe sottratto ai clienti quasi due miliardi di euro.
Ma le aziende incriminate non hanno versato che 400 milioni di euro di
sanzioni. Pur provocando danni considerevoli, i cartelli vengono multati come
chi viola il codice della strada. Le loro azioni sono considerate semplici
infrazioni e di conseguenza chi le commette non è chiamato a risponderne
davanti alla giustizia. Nella maggior parte dei casi l’opinione pubblica non
viene neppure a conoscere i nomi.
Negli Stati Uniti le cose funzionano molto diversamente: lì
costituire un cartello o farne parte significa rischiare il carcere. Nel 2004
la pena massima è stata portata a dieci anni di reclusione. Irlanda e Regno
Unito hanno seguito il modello americano. Ma la Germania non vuole proprio
sentirne parlare. Il segretario del ministro dell’economia Philipp Rösler ha
dichiarato che quest’ultimo “nutriva delle riserve per ciò che concerne la
criminalizzazione del diritto europeo sugli accordi informali”.
Se l’ostinazione della Germania nel trattare gli accordi
informali come piccoli reati costituisce un problema è anche perché, secondo
l’opinione di molti giuristi, questa generosità non è applicata a tutti.
Infatti gli accordi stretti in occasione delle offerte pubbliche di acquisto,
denominate “offerte d’appalto concertate”, sono passibili di sanzioni ben più
pesanti.
Direttori
generali e responsabili delle vendite si ritrovavano in “piccole
rappresentanze” – così hanno ricostruito gli inquirenti – per “scambi mirati su
progetti precisi”, con risultati a dir poco redditizi. Stringevano accordi che
garantivano agli pseudo-concorrenti benefici nell’ordine delle decine di
milioni di euro. Tutti i presenti concordavano nei
dettagli come spartirsi i contratti e, cosa ancora più importante, i prezzi da
praticare.
I funzionari dell’Ufficio federale dei contratti di Bonn
hanno scoperto che per almeno cinque anni il gruppo Siemens, la società
Starkstrom-Gerätebau di Ratisbona, il gruppo francese Alstom e il colosso
svizzero dell’energia elettrica Abb si sono spartiti il mercato tedesco dei
trasformatori, eliminando ogni forma di concorrenza a discapito dei
consumatori, costretti a sborsare cifre nettamente più alte di quelle che
avrebbero pagato se i fornitori fossero stati in concorrenza tra loro.
L’inchiesta dell’anti-trust è durata quattro anni ed è
culminata nel settembre scorso con una una sfilza di sanzioni pecuniarie. Complessivamente le quattro società e i dirigenti
coinvolti hanno dovuto versare 24,3 milioni di euro di multe al tesoro
pubblico. Ma al di là di questo non è successo niente: nessuno è stato
obbligato a rispondere del proprio operato in un tribunale. Nessuna delle parti
coinvolte è stata citata. E tranne poche righe, neanche i media si sono
dilungati sulla faccenda.
Ogni anno le authority anti-trust svolgono inchieste su
centinaia di società che aggirano il divieto di accordi dietro le quinte.
Caffè, detersivo per lavastoviglie, cemento e prodotti chimici, schermi,
lettori di dvd, vetri e cavi elettrici per automobili, perfino gli automezzi
dei vigili del fuoco e i gamberetti grigi: l’elenco dei settori coinvolati è
senza fine, o quasi.
In realtà il costo della piaga dei cartelli è molto più alto
di quanto non si creda. Sulla base della loro esperienza, le autorità
anti-trust hanno potuto stabilire che i cartelli gonfiavano in media i prezzi
dei loro prodotti del 25 per cento, così che nell’arco di quattro anni
riuscivano a mettere da parte un bonus equivalente al loro intero giro d’affari
annuo. Naturalmente, conoscerne l’importo preciso è impossibile.
Dall’inizio del 2010 la Commissione europea ha lavorato a 15
importanti procedimenti, nei quali 112 aziende sono state condannate al
pagamento di multe per una cifra complessiva pari a quasi quattro miliardi di
euro. Ovvero quasi il quadruplo, nell’arco di tre anni, di tutti gli anni
novanta considerati nel loro insieme.
Le cause di questa impennata di multe non vanno ricercate
nel tentativo di miglioramento da parte delle autorità competenti, quanto
nell’introduzione di una regolamentazione generosa nei confronti dei principali
testimoni. Dal 2004 le aziende e i loro dirigenti che denunciano un accordo
informale e presentano alla Commissione europea le prove necessarie non
incorrono più in nessuna ammenda, quand’anche fossero stati loro i diretti
beneficiari di tale intesa illecita.
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