Radersi con cura è il primo passo importante sulla via del colloquio di lavoro. |
Questa è una di quelle cose che dovrebbero rendermi di molto arrabbiato. E infatti sono di molto arrabbiato. Eppure fino a cinque minuti fa tutto filava liscio.
Scendevo dal treno alla stazione centrale in perfetto orario. Mi godevo la giornata di sole, rara in questa primavera di pioggia. Passeggiavo con calma per il viale fino all'indirizzo. Niente sorprese: sul citofono c'era il nome dell'azienda. La receptionist era una vera bellezza, paralizzata in un eterno sorriso da porca. Nella sala d'aspetto c'erano altre due persone: un ragazzo forforoso con la maglietta degli Iron Maiden e una ragazza con le calze a rete, truccata come una zoccola.
Nonostante fossi arrivato per ultimo mi facevano passare per primo: si avvicinava la receptionist, mi chiamava dottore – come nemmeno nei sogni più sfrenati – e mi diceva che potevo accomodarmi nell'ufficio. Dovevo aspettare un attimino, però: la collega stava arrivando. E poi se ne andava via, chiudendosi la porta alle spalle.
E fin qui, in effetti, il sogno fatto realtà. Ora la realtà. Mi lascia in un ufficio in cui sembra essere passato l'uragano Katrina. Rimarchevole e degno di nota sopra ogni cosa è un biglietto attaccato con le puntine alla bacheca di sughero: sospenzione delle pulizie per le vacanze.
Si apre la porta ed entra una ragazzina di bassa statura, vestita con quella sciatteria da grandi magazzini che la accomuna a me e al mio completo. Porta gli occhiali, la frangetta, begli occhi castani, forse un po' piccoli. Non sarebbe manco disprezzabile se l'acne non le deturpasse il viso rendendola repellente. Si rivolge a me chiamandomi per nome, dandomi del lei, e mi stringe la mano con stretta fiacca da tentacolo di seppia.
Poi si siede dall'altra parte della scrivania e comincia a parlarmi del più e del meno. Che ieri pioveva a dirotto, mentre oggi c'è il sole. Che il clima non è più quello di una volta, vero? E io le rispondo che non ci sono più le mezze stagioni, e che quindi per la primavera è un po' una rogna. Intanto la signorina ha preso una pila di fogli e scartabella furiosamente, continuando a dirmi che sì, è vero, ma che ci si può fare, Alessandro? D'altra parte è così, le rispondo.
“Ah, finalmente - trilla. - Ecco il suo curriculum.” Sorride, raggiante dietro il suo esantema. Sorrido anche io, e mi chiedo se sia stata una buona idea stringerle la mano: a volte queste robe sono contagiose.
Si immerge nella lettura e la sento mormorare: laurea, laurea breve, liceo, rilevazione, correttore. Alza gli occhi da foglio, l'esantematico campanellino, e mi dice: “Sa, mi deve scusare, ma proprio non ho avuto il tempo di leggere il suo curriculum! - (Lo trova divertente). - Sa, ce ne arrivano così tanti.”
E chi se ne frega non ce lo metti? “La telefonista mi disse che volevate vedermi perché il curriculum vi interessava.”
Forse non dovevo dirlo, perché lei spara una mitragliata di interiezioni imbarazzate (e imbarazzanti per me): “Ah. Oh. Ecco. Eh. Ah. Sì. A volte, le telefoniste...” Se l'acne non le nascondesse la faccia di sicuro la vedrei arrossire.
Per non guardarmi riprende a leggere, mormorando di nuovo qualcosa a proposito degli studi che ho fatto, finché non trilla di nuovo: “Ah!”
“Sì?”
“Ma lei è laureato da quattro anni.”
“Sì, settembre 2008. C'è scritto.”
“Cerchiamo un candidato che si sia laureato da 12 mesi al massimo - (non so come faccia, ma riesce a dirlo in cifre). - Magari lei ha tutti gli altri requisiti richiesti per questo lavoro, perché vedo qui una laurea in scienze sociali, un sacco di impegni, si vede che lei ci ha il problem solving...”
Dice proprio così, che ci ho il problem solving. Infatti lo porto sempre con me nella ventiquattrore.
Quindi sono qui per niente, solo perché non hanno letto il mio curriculum. Questa è una di quelle cose che mi rendono davvero arrabbiato. Tanto che vorrei farle notare che sospenzione andrebbe scritto con la S. Perché il mio tempo posso anche spenderlo per un colloquio al quale non mi si doveva convocare: in fondo sono in disoccupato, non faccio niente, il mio tempo non ha valore. E a questo punto facciamo anche i conti della serva, i costi dell'allegra trasferta nella metropoli. In primo luogo l'acquisto di un buon dopobarba, perché mi sembrava poco garbato presentarmi qui con addosso l'odore di Vicks Vaporub (termine tecnico che sta per l'effetto Proraso): 17,39 euro in profumeria, maledetti produttori di colonie. Biglietto di andata e ritorno con il regionale di Trenitalia: 7,70. Totale 25,09: spesa sostenuta per sentirmi dire che è vietato essersi laureati quattro anni fa. Senza contare una mattina intera spesa a rimettere a posto i capelli col trimmer, radermi accuratamente la barba di tre giorni e ripassare formule di cortesia e modalità di convivenza con gli esseri umani alle quali sono disabituato da mesi.
L'unica cosa che mi consola è l'idea di quello che farò non appena sarò uscito da questo ufficio, dopo aver pavoneggiato il mio abito da quattro soldi nella sala d'aspetto. Scenderò nella via, poggerò a terra la ventiquattrore e inforcherò gli occhiali da sole. Mi guarderò intorno con aria serafica, poi prenderò il telefonino. Pronto, parlo con la ASL di Milano?, chiederò. Diranno di sì. Senta, signorina, può darmi assicurazione che il vaiolo è stato ufficialmente eradicato dalla faccia della Terra? Lei mi risponda, poi le dico. Bene, trent'anni fa, dice. Ma la mutua passa ancora il vaccino? Solo per i soldati per partono per il Medio Oriente. Capisco. No, niente, tutto questo era per segnalarvi un caso di sospetto vaiolo. Mi può credere, una roba da manuale, ho occhio clinico. È un esantema inconfondibile.
Do l'indirizzo, descrivo l'orrida ragazzetta, e consiglio loro di portare un ettolitro di formaldeide per disinfettare lei e gli uffici. Già pregusto il momento in cui la polizia – o perché no?, magari l'esercito – con vasto spiegamento di forze bloccherà la strada; la gente che guarderà spaventata da dietro i vetri delle finestre, l'elicottero che sorvolerà il quartiere come nei peggiori film. Infine arriveranno i medici ed entreranno nell'ufficio con indosso le tute come gli astronauti.
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