La crisi economica e finanziaria europea comincia a produrre i suoi effetti nelle relazioni commerciali internazionali, oltre che in quelle intra-europee, ma di quest'ultime scriverò in un altro post provando a riprendere il filo della storia europea dopo il crollo del muro di Berlino.
Gli USA poco tempo fa hanno disposto la possibilità di applicare un dazio sulle importazioni cinesi del 5%. Non si applicheranno automaticamente, ma solo rispetto alle merci ritenute oggetto di dumping da parte dei produttori cinesi, e su espressa richiesta di applicazione avanzata all'agenzia del commercio statunitense, che deciderà caso per caso se applicare il dazio o meno. Sulla stessa scia sembra avviarsi anche l'Unione Europea, che lamenta da parte della Cina atteggiamenti protezionistici verso l'esportazione di alcune materie prime e pesanti azioni di vendita sottocosto da parte delle imprese di Stato (quasi tutte) cinesi nei mercati europei. Ma forse la partita che si gioca è un'altra?
La crescita del PIL cinesi, e della sovra-capacità industriale, è determinata sostanzialmente non dai consumi interni che sono stagnati, ma dagli ingenti investimenti operati direttamente sia dagli investitori internazionali e sia dallo stesso Stato cinese. I consumi sono praticamente fermi, come oltretutto i salari. Inoltre, il governo cinese sovvenziona le esportazioni delle produzioni industriali verso gli USA e l'UE - i due principali mercati di sbocco delle produzioni cinesi - sopportandone finanziariamente la vendita sotto costo in questi mercati. A questo si aggiunge la volontà da parte della Cina di non acquistare più debito pubblico europeo, ma semmai direttamente le stesse aziende produttrici europee, cosa che in alcuni casi sta già avvenendo. Questo atteggiamento di indisponibilità a finanziare i debiti sovrani UE sta seriamente preoccupando gli USA, il cui 30% del debito è detenuto dalla Cina, e si aspettano che anche per loro venga riservato lo stesso trattamento. Se ci aggiungiamo che fra le più grosse compagnie petrolifere mondiale due sono cinesi, che il colosso economico asiatico ha stretto con l'Argentina (e Brasile) solidi rapporti commerciali per l'importazione del cibo necessario alle masse lavoratrici delle industrie manifatturiere scambiando con l'Argentina e con gli altri paesi dell'America Latina una terziarizzazione produttiva (vanificando l'isolamento finanziario sudamericano dopo l'indisponibilità a pagare il debito sovrano argentino), che in Africa la Cina sta stringendo diversi accordi per l'estrazione mineraria e fossile (con l'errore di averli voluti stringere anche con la Libia di Gheddafi) , c'è proprio da decidere per l'Europa che cosa fare: assumere le politiche deflattive cinesi (come ha già fatto la Germania) e diventare un'area che esporta (verso chi, poi?!), oppure ripensare gli accordi al tavolo del WTO? Forse domani acquistaremo merci dal mondo che prevedano la "monetizzazione", in forma di reciprocità giuridica, dei diritti di cittadinanza e del lavoro in esse contenuti e che segnano le forti disparità adesso esistenti? Oppure dovremo rassegnarci ad "importare" le disparità giuridiche che adesso stanno governando le relazioni commerciali internazionali?
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