Volentieri riceviamo e pubblichiamo questo scritto di Leonardo Tinelli
L'IDEALE PER IL FILOSOFO, OGGI, ammesso che ancora
abiti da queste parti,
è riuscire a lasciare
intatto il mondo; sì avete inteso bene, si tratta per chi comprende di lasciare
scorrere le cose per come sembrano figlie di una razionalissima procedura di
trasformazione rimodernizzante, impossibile da fermare. Tanto compromissiva da
non potersene ritenere se non oggetti in permanente modificazione positiva.
Anche la peggiore delle
trasformazioni inquinanti, alla fine, sarà considerata una risorsa e bisognerà che
i filosofi diffusi, il numero infinito di pensatori razionalisti, portando la
lieta novella ne esaltino, per ogni angolo del mondo, la nuova incontrastata
positività!
Concretizzando, oltre ogni
speranza, il fatto che non solo il mondo vada soggetto a trasformazioni che,
per sorte avversa o conforme, bisogna dire, hanno compromesso anche chi avesse
avuto una qualche remora teorica a riguardo e forse anche pratica, ma anche che
mentre questa prospettiva della ipermodificazione di ogni cosa, soltanto trenta
anni fa sembrava ciò che di meglio l'Occidente avesse concepito, concretizzando
desideri che mai prima avevano avuto modo di rapportasi, nessuna considerazione
a proposito potesse essere addotta!!!
Anzi, si veniva
considerando, quale migliore sorte aspettasse l'uomo se tanto cambiamento
diventava una rincorsa decisiva, sempre più spinta, pronta a concretizzarsi
nelle mani degli umili come in quelle dei signori, che addirittura si
presentava più veloce e più affidabile di quanto fosse mai stato prima concepito,
e se pure nascendo dalla ambasce delle modificazioni obbligatorie, un destino
senza limitazioni prospettava a chi se ne fosse reso partecipe, ma non per chi se ne fosse ritratto.
La strada era la storia e
la storia il conflitto confermato permanentemente. E niente poteva essere
pensato di ulteriore, visto che la storia che si afferma è infinite
contraddizioni e il conflitto che si fa legge e diritto, ne diventa lo scrigno
di cristallo che tutti possono vedere ma che nessuno, ad onta della stessa storia,
osa spostare! A confermare che diventati tutti filosofi diffusi, oggetti e
soggetti della più veloce delle trasformazioni possibili, le cose avessero
ceduto definitivamente il loro segreto modificativo in favore di chi credeva di
ritenerlo nella propria mente, fino alla dissoluzione inevitabile della
capacità di ritenzione, come delle stesse cose! Incapaci i filosofi di
distinguere questo da quello e tenuti in vita permanentemente, senza alcun
rischio di morire, addirittura affrancati dalla necessità elementare della
filosofia, quella di dire una parola rischiando ogni cosa!!! Quella per la
quale il filosofo muore ogni istante e ogni istante risorge al mondo nuovo dove
tutto è ancora da fare! E tutto è già stato fatto!!! Che quando si chiede al
filosofo di essere chiaro... è per farlo tacere, destino che lui accetta visto
che tutto è insieme... solo per il pensiero! Solo per il suo demerito!
Ma c'è anche la permanenza
tra le cose degli uomini.
A Santarmàne, u Mutelèse,
U Putignanèse, I Salvisi, fino a Pietro... Gioia, i
nomi della gente convenuta per secoli, nel paese di Noci, come per ogni altra
comunità, sono stati la sospensione del mondo che l'incontro determina quale
rispetto, quale Stato. Ovvero quella essenza della relazione tra uomini che
immediatamente si fa reciprocità dall'essere comunemente salvi.
Salvi dalle distruzioni,
salvi dal generare, salvi dal morire, salvi dalla dispersione che è forse il
male maggiore che atterrisce ogni uomo e che rappresenta la sua più consistente
storicità che ancora deve farsi, che ancora deve finire di concretizzarsi, se i
nomi ancora raccontano di come Noci sia un paese, una comunità posta dal potere
regio, dove le stesse relazioni sociali e le leggi dovevano essere intese e
condivise fino alle ultime derivazioni pratiche da tutti.
E tanto impegnato il mondo
nocese dalla salvezza, dalla dispersione che lo stesso futuro veniva
confermando le leggi e i comportamenti condivisi e per nulla la ricchezza per
la ricchezza e il trasferimento alle nuove generazioni di cespiti e titoli, ma
la costituzione, dalle proprie energie e dallo spirito di comunità, del sacro e
del reciproco, del giusto e del condiviso.
Il campanile della maggior
chiesa, atterrato dal fulmine, qualche mese fa a Noci, conferma, adesso, questa
trama e proprio quando qualcuno può menare vanto, oggi, del fatto che ben un
milione e centomila euro sono stati assegnati dalla Regione Puglia per la sua
sistemazione nuova. Denaro che per come non è nostro passerà sulla testa di
tutti e volerà via chissà dove. Alla stessa maniera di tutti i finanziamenti
che la Regione riceve dallo Stato, soldi che per nulla frutto del nostro
operare, inevitabilmente vanno dove vogliono e nessuno potrà modificare questo
loro destino.
La domanda è questa. Siamo
stati capaci di fare il sacro, il campanile, senza che la storia anticipasse il
futuro; oggi che il futuro si impone nella accelerazione che è il risultato
dello scrigno di cristallo impossibile da spostare, riusciremo a
riattualizzarlo?
La risposta è nelle
cose... stesse. Sarà impossibile!
Se il sacro non lo
costituisci e lo nutri nessuno te lo potrà dare. Così per le altre cessioni di
denaro da parte dello Stato. O la scienza ce l'hai o nessuno ti potrà favorire
a concepirla. Così per lo spirito di comunità, così per ogni altra cosa.
E nello specifico la
costituzione del sacro e la sua difesa è la condizione che vuole tutti
richiamati in una dimensione unitaria che è in grado di allontanare la violenza
presente in tutti quegli atteggiamenti e comportamenti che credono di poter
risolvere con una affermazione individuale perentoria quanto si crede sia il
positivo che le cose trattengono fino a sollecitarne la modificazione, la
consumazione e la stessa distruzione. Fino a far credere che la violenza sia
efficace, a carpire il positivo presente nelle cose, oltre che in grado di
affermarsi in ogni campo e e di rendersi disponibile ad essere utilizzata da
chiunque.
Si potrebbe dire che
mentre l'incontro lascia che i soggetti restino distanti, ognuno nella sua
dimensione etico-operativa e lì vengano normati, secondo una modalità di
esercizio corrispondente della violenza alla pena, dopo aver riconosciuta la
reciprocità del restare salvi, la dimensione unitaria che vede uniti gli uomini
nella riconoscibilità del sacro è già la pratica di allontanamento della
violenza da ogni comportamento umano nel sopravanzare del sacro oltre ogni
esperienza e ogni cognizione di sé finita.
Ma appare ovvio come la
condizione dell'agire prevalga quale necessità immediata dell'uomo, sia quando
è collocata nel sistema del sacro, sia quando è normata dallo Stato e il
trasferimento del tema della violenza agli esiti ultimi della forma Stato e
della affermazione/dissoluzione del sacro impedisce che la violenza resti quale
forma breve della compromissione dell'uomo al mondo, nella sua stessa materia
etica e che da lì debba essere compresa. Mettendoci nella condizione di
evidenziare, così, come la sua istanza decisiva sia il tentativo di negare che
le cose possano dipendere dal non essere, da come possono essere modificate,
che la distruzione annuncia, piuttosto che dalla permanenza dell'essere, ovvero
dalla natura ancora da incontrare.
Diventa decisivo, in
questo modo, come il rimedio all'infinito proporsi delle modificazioni non
potrà essere lo... sviluppo economico... anche decrescitario, dopo i tentativi
di contenimento della violenza dentro gli stessi processi produttivi. Infatti,
sia Valletta, ad es. capo della maggiore industria italiana, che dice (rif. dal
Domenicale del Sole 24 ore della scorsa settimana) come l'elettronica debba
essere eliminata come un neo cattivo, sia Adriano Olivetti, innovatore della
rappresentazione elettrica dei processi produttivi che immagina la fabbrica a
misura d'uomo, si pongono loro malgrado all'interno dei processi modificativi
esercitati con violenza. Dove la consapevolezza della violenza potrà essere una
conferma del duro lavoro precedente l'elettronica o l'introduzione dell'asilo
nido nella fabbrica.
Così si viene ad intendere
come tutto l'Occidente si ritrova nella logica dell'infinito proporsi delle
modificazioni, ma che in tutto il mondo è ben più grave la caduta del sacro che
ha reso pari, nell'ostentare una semplice richiesta immediata di cibo, tutti
gli uomini della terra così come nel rompere per la propria affermazione il
vincolo di reciprocità che la visione unitaria del sacro imponeva.
Questa la causa diretta
delle migrazioni, e delle compromissioni culturali impossibili da sostenere.
Non è la scarsità di cibo la causa, ma la possibilità di chiederlo perentoriamente,
di esercitare quella violenza che ormai non ha nessuna limitazione per come le
modificazioni si propongono per ogni istante, per come ogni visione unitaria
del sacro è scomparsa. Ed è appena il caso di richiamare le fedi maggiori del
mondo a riprendere almeno il discorso sulla violenza inscritta nella
modificazione delle cose che la caduta del sacro rende sempre più minacciosa.
Che invece si dica
ancora... a santarmàne, u mutelàse... invece è quella corrispondenza
alla parola della langue (ci sono appunti del 1991 che parlano così
della poesia di Vittorio Tinelli) che lascia alla parola il discorso, la
continuità dell'argomentazione senza che niente resti orfano, separato, dove la
contrazione della parola è l'eccesso di significato che non potrebbe meglio
rappresentarla. Ovvero ogni parola è un discorso senza fine, dove manca ogni
trasferimento in una altra parte retorica dell'espressione, (in piazza non
finge nessuno!!! neanche nell'imbrogliare!!!) che non sia il tra-dire, il
continuare a dire facendo discorso... trascurse facenne!!! Dove la
stessa rappresentazione scritta della parola detta è nel potere di chi parla e
non di chi scrive. Il richiamo al dire, infatti, è permanente per chi voglia
rappresentare la parola detta in forma scritta!!! Comprendendo il processo
della rappresentazione scritta, tutte e ogni modificazione il detto comporti!!!
Ragioni dirette queste, aggiungerei, a giustificare come la maturità della
politica sia lo stesso discorrere, quale autentica pausa... azzise minze a
ville, a foraporte, dove non si è portatori di storie eroiche più o meno
eccezionali, ma si resta come coloro che dimostrano la politicità che nessuno
può consentire o favorire meglio di chi, fuori dalla casa, si incontra per fare
discorso lungo, come lunga, lunghissima è la politica per questo scambiata
spesso con la storia!
Anche qui, a Noci, però,
scambiare la storia con la politica ha comportato che il discorso lungo non
avesse più senso. Il contraddirsi del fatto ha impedito il discorso, anche se
di un discorso diverso la contraddizione storica si faceva paladina, portando
inevitabilmente con sé le atmosfere della alterità che spezzavano i riferimenti
comuni al fare, dove quella parola sintetica era nata, per questo diventata
discorso e discorso senza fine.
A questa forza
incredibile, nella quale le comunità costituite nostre di Puglia e del
Mezzogiorno sono nate e si sono confermate per secoli, l'esaltazione del
cosiddetto primato della politica che dalla storia dei fatti contraddicentisi
prendeva motivo, è valso per oltre l'ultimo secolo a confermare quella
determinazione a confliggere contando sulla forza logica che la contraddizione
storica evidenziava come vera, quale più efficace criterio di modernizzazione,
addirittura mettendo il passato contro se stesso!
Il risultato è stato
folklore e popolarismo in evoluzione, ma, oggi, ormai, senza popolo e senza
reciprocità di stati. Con i ruoli sociali esaltati pubblicamente e sempre più
distanti dalla propria specifica funzione. Le donne messe fuori dalle case
nella disperata ricerca di prestazioni
ad altissima capacità adattiva e ruoli sociali, (dottoressa, impiegata,
operaia, professoressa) che valgono di più del signora, della moglie o della
madre.
È evidente che non si
tratta, nonostante ogni giustificazione impropria, di diffusione del lavoro
femminile, quanto di utilizzazione della dimensione etica del fare femminile
che impossibile da sostituire, resta sempre più raro. E che non sa più da dove
rigenerarsi.
Dunque, mentre nessuno è
più in grado di indicare, se non con il primato della politica che alimenta
solo la propria suprematica autonomia, quali sono le forze dalle quali quella
straordinaria capacità adattiva del femminile si riproduce, non si smette di parlare di diritti delle
donne e le si importa, per ogni uso, da ogni dove, tanto si tratterà sempre di
una disponibilità pronta ad essere utilizzata dove meglio la si considererà
efficace, confermando l'abbandono della casa per tutte le donne del mondo.
Anche su questo scenario
vigila e domina la politica e il suo presunto primato. Primato che da essere il
vessillo del cambiamento, quando altre sembravano le forze della conservazione
(la chiesa, il patrimonio, la famiglia) è diventato il sistema di maggiore
efficacia con il quale la partecipazione ai flussi di uomini, di merci e
capitali disponibili si perpetua incessantemente.
Ma il sacro, il
patrimonio, la famiglia nei residui che li hanno trasformati in storia e poi
nel primato della politica, dove ogni rottura è e potrà essere contemplata,
dalle unioni congeneri, alla rottura della relazione tra patrimonio e famiglia,
dalla sospensione di ogni incontrarsi fino allo stesso smembramento della
famiglia in quanto legame che persiste oltre il tempo storico separato, restano
attivi, anche solo quale residuo storico, sia nella istanza più radicale al
cambiamento sia nella più strenua delle difese del passato. E, insieme, in
quanto residuo storico confermato solo sul piano della contraddicibilità della
storia, impediscono ancora che della propria natura etica ci sia una qualche
presenza attiva.
Il paradosso è così
raggiunto: non solo il primato della politica è senza più altro sul quale possa
signoreggiare, non solo la istanza al cambiamento è ormai la stessa forza del
primato in questione che arride alla conservazione, ma lo stesso cambiamento
non sarà, presto o tardi e anche immediatamente, che una profonda
conservazione!!!
Il primato della politica
ha allora bisogno del contrario. I modernizzatori hanno bisogno della
tradizione, la tradizione non sarà senza rinnovamenti.
E il primato sarà un
dipendere da altro... bene accetto!
E altro per antonomasia
non sarà che ciò che è già vicino, o distante, o familiare o perfettamente
alieno, per niente ciò che sta, ciò che consente, ciò che resta attivo
nonostante. Queste, infatti, sono le prerogative che rovesciano la dipendenza
in una nuova capacità di sopravvivenza, la nuova autonomia in un profondo
bisogno antico di relazione, il diritto consolidato indiscutibile in forme di
partecipazione più ampie.
Ma il punto è che proprio
ciò che si intende perpetrare quale primato, la politica, non ha più un
riferimento essenziale permanente se non in forma astratta, e proprio in ciò dove era già stato
primato e superiorità.
Se la filosofia
razionalistica diffusa prevale, il primato della politica con questa si
confonde, e il luogo inaccessibile e immodificabile della filosofia non può
essere più la ragione che consentì la sintesi di efficacia del primato della
politica. Nessuno è meno capace di altri nel condurre e fare da sé un discorso
politico che rispecchi le caratteristiche del primato, ovvero la permanente
conflittualità!
Lo stesso vale per le cose
della tradizione come per il nuovo. E la famiglia, paradossalmente, diventa il
luogo logico di esercizio del primato della politica anche per gli
atteggiamenti culturali, che dovranno essere necessariamente politici, che la
vogliono superare. E tanto si conferma nei pressi di coloro che del primato
della politica hanno fatto l'assoluto oscuramento delle basi etiche del vivere
al Sud.
È, infatti, la famiglia,
ciò che quale artificio immane contrastante ogni natura, nientemeno, nella
ricostruzione delle vicissitudini della cosiddetta “Ecòle barisienne” fatta da
Salvatore Lattarulo sul Corriere del Mezz. del 5 maggio, il veicolo sia della
casa editrice Dedalo, sia della militanza comunista delle nuove generazioni.
Sia delle relazioni familiari dell'editore con gli intellettuali, sia dello
stesso primato della politica che così si introneggia nei confronti delle nuove
generazioni a militanza comunista.
E se è la famiglia la
continuità, come si sarà trasformato il primato? Su quale substrato quel
primato si sarà esercitato? Su quel terreno etico che svillaneggiato dal
primato ora il primato desidera come la cosa decisiva sulla quale applicarsi
dal momento che irriconoscibile il terreno etico per chi ha esercitato le
ragione contraddittorie della storia, lo si utilizzerà, per diversa ragione
disponibile, sulle sue rappresentazioni artistiche e culturali, al costo
permanente di non riconoscerle come atto d'arte e costante culturale ancora
attiva!!! Arretrando fino a far scomparire l'arte dalla Puglia!
Si raggiunge così il
paradosso di volere il proprio nemico e di andarci a passeggio
indifferentemente!!! Pur di esercitare quella dimensione del sospetto
interessato nel quale il pur glorioso motivo del cambiamento quale il primato
della politica, si è completamente trasformato.
La Puglia così non ha
neanche nemici politicamente sensibili! Dunque la Puglia culturalmente non
esiste!!!
I riferimenti culturali di
Vendola ne sono la sintesi!!! La carità gratuita e la uguaglianza...
obbligatoria!!!
Figlio di chi Vendola?
Figlio di un rinnovamento culturale della politica o ultimo separatore della
dimensione etica dall'arte, in conto dell'oramai irriconoscibile primato della
politica? Che sopravvive proprio sfruttando la utilizzazione della materia
etica nei campi residuali dell'arte senza che della materia etica come tale ci
sia richiamo efficace, come si fa inevitabilmente con le peggiori intenzioni modernizzanti,
con Apulia Film o con le arti diffuse. “Beautiful” a Polignano compreso! Carità
o uguaglianza?
E qui il punto è decisivo.
Il rinnovamento si è
riconosciuto paradossalmente nella continuità familiare degli editori e delle
nuove generazioni di comunisti e con questo il primato della politica è
diventato appannaggio della conservazione, usbergo e scudo potentissimo della
conservazione, con i rinnovatori che non parlano se non ai loro familiari!!!
Diventato “familismo intellettuale” il primato della politica. Come pure dalla
parte delle famiglie non intellettuali e non politiche, l'impossibilità di
coniugare, come la base etica del lavoro consentiva prima che diventasse
storia, famiglia e futuro, ne ha consigliato lo sfruttamento immediato; quale ricerca
nella accettazione del conflitto che si deve combattere con armi nuove, con le
armi del rinnovamento, di un qualche vantaggio che porti sollievo alle sorti
delle attività pratiche del lavoro.
Non proviene, per le
famiglie non intellettuali, infatti, dalla storia il primato della politica, ma
dal fatto che la trasmissione del patrimonio, sia in quanto cespite da
trasferire e da preservare dal consumo, sia per via femminile sia per via
maschile è oggi, impossibile. Ovvero è soggetto a deprezzamenti vertiginosi
impossibili da controllare.
E questo, non solo nelle
città, ma anche dove la dimensione etica si nutriva potentemente, nei luoghi
ormai svuotati delle campagne, dove non c'è giovane donna che voglia restare in
campagna quale moglie e contadina, dove non c'è, seppure lo si praticasse
intenzionalmente, nessuna possibilità di fare sintesi tra il possesso del bene
e la sua valorizzazione produttiva. Dal momento che l'industrializzazione del
lavoro agricolo, impossibile da compiersi completamente, chiede sempre quale
decisiva la presenza della mano umana. Mano che è tanto decisiva nel processo
produttivo al punto da richiedere una capacità di chiamata, convocazione e
utilizzo che nessuna abilità di conduzione
delle macchine potrà favorire. A meno che non si faccia un... rodeo di
trattori per ogni aratura!!! Cosa che vale per tutti i mestieri.
Ovvero è impossibile un
chiamare al lavoro agricolo, o al mestiere, dal web a meno che non si possa
mangiare... web tiepidi a colazione!!!
Il glebae affixi
romano, al contrario metteva nelle condizioni di aderire sia ai luoghi, sia ai
tempi della produzione agricola. Allo stesso modo lo ius protomiseus
bizantino.
Credere oggi che si possa
produrre e trasformare grano canadese in Puglia significa togliere la sensibilità
etica che la modificazione delle stagioni procurava!!! Stè chiove è,
bisogna affermarlo nonostante ogni familismo intellettuale poetizzante, materia
etica viva che suggerisce l'abbondanza o il rifugio, il rigoglio o la...
seccatura, addirittura la parola poetante medesima!!! Altro che Pasolini...
nonostante Pasolini!!! A proposito... dove sono i contadini difesi da...
Pasolini se non coloro che contadini non lo erano più? E i padri (vedi F.
Cassano, “Il pensiero meridiano”, Laterza, pag. 122 e segg.) saranno
definitivamente scomparsi dall'avere una qualche specificità identitaria
confermabile nel presente, come dall'aver generato prima... scomparendo? O come
si chiameranno... domani... coloro che... continuano a generare?
Credere che in Puglia si
possa commerciare l'olio d'oliva dell'intero Mediterraneo significa affondare
l'intera regione, farla completamente scomparire nel mare!!! E una terra che si
è difesa dal mare, dall'Oriente e dall'Occidente, come dal Nord, molto
difficilmente sarà produttrice di un “pensiero Meridiano”!!!
Ma quale “pensiero
meridiano”, caro Cassano, se allo sviluppo della produzione vinicola
corrisponde l'aumento disperato degli astemi nella nostra regione?
Nessun luogo, caro
Cassano, produce... filosofia se non nella parola!!!
Ecco l'incredibile
attualità del dialetto!!!
Heidegger (rif. da “Il
pensiero meridiano” pag. 40 e segg.) si combatte nella astrattezza della
filosofia non in conto di una politica primaziale auspicabile anche per le
terre che, negando la propria dimensione etica, hanno creduto di aver fatto
storia, allo stesso modo di quelle che, non la hanno fatta... la storia, e si
crede che ancora debbano fare... filosofia, come se fosse storia, per potersene
avvalere!!! La Germania... non sarà stata senza storia per aver fatto LA
FILOSOFIA, come la Puglia non farà... filosofia per non aver avuto una storia.
Ma questo è il caso del
Mezzogiorno!!! Tanto pieno di storia ancora da intendere che nientemeno
Giuseppe Galasso, il più europeo e universale dei nostri storici, non riesce a
fare un discorso politico, a proposito del Sud, adeguatamente compromettente,
almeno allo stesso livello della ricognizione storica!
Tanto poco pieno di storia
fatta e saputa, invece, il Mezzogiorno per Cassano, che ci si immagina
antagonisti della filosofia quale pensiero permanente di ciò che resiste allo
stesso pensare. Di quella pienezza del pensiero che i dialetti conservano,
invece, implacabilmente.
Motivo questo ultimo per
il quale si deve chiudere con il folklore e le moralistiche sentenzianti.
Certo, niente fuori da
popolo e verbo. Ma popolo e verbo, i portatori della salvezza e i parlanti, non
perdono un solo tratto della loro potenza nonostante ogni modernizzazione. La
salvezza è dall'incontro permanente di tutti; i parlanti possiedono tutte le
trasformazioni della parola che nel fare si deposita perfettamente. Da qui la
nuova dimensione, quale atto del pensiero, che la parola del dialetto possiede,
dove niente della vita umana è escluso!
Da qui abbiamo inteso, da
qui continuiamo ad intendere, da qui occorre ricomprendere e fare tutto.
Escludendo che qualcuno controllando il passato, creda che si possa a lungo
controllare il presente!!! Ma che la grandezza del passato non smette di essere
eloquente e ci dica direttamente come integrare nuovamente la mano e la mente,
deve ormai diventare quanto di decisivo sia oggi per noi la nostra nuova
salvezza!
Ma, se pure al Sud, il
passato appare ancora eloquente e culturalmente percepibile, e il lavoro e i
dialetti ancora ne fanno sentire la voce, la trasformazione micidiale che le
intellettualità del Mezzogiorno hanno subito, tutte rivolte al tempo storico e
alle sue catastrofi, alle sue controversioni applicabili, fanno venire meno non
solo la capacità di intendere di fatto il nostro luogo, ma spostano altrove le
attenzioni della intellettualità nostra. Di fatto lasciando senza intelligenza
il nostro mondo produttivo.
Diversamente al Nord, come
racconta Mario Intini, Castelfranco insegna, almeno sulla logica operativa,
piuttosto che sulla pratica del fare, fior di comitati scientifici applicano
intelligenze e competenze eccezionali! Come pure il tema dell'innovazione
sociale quale arma contro la crisi ripreso da Crossroad, con Aldo Bonomi, sul
Nòva Sole 24 ore del 6 maggio. Come pure il progetto di Venezia capitale della
cultura europea, richiamato da I. Cipolletta sul Sole 24 ore del 6 giugno.
Una cosa resta certa.
Spezzato il fare e interrotto il pensare, al Nord come al Sud, della storia non
esiste uso, così come dell'arte e e dei primati della politica.
Ma che per governo la
politica possa farsi oggetto di azione culturale e operare dove le crepe aprono
sprofondi inabitabili è difficile pensare il contrario! Che del contrario e del
conflitto senza la generosità degli opposti nessuna terra sarà ospite in
eterno!
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