venerdì 18 maggio 2012

L'IDEALE PER IL FILOSOFO, OGGI - di Leonardo Tinelli


Volentieri riceviamo e pubblichiamo questo scritto di Leonardo Tinelli

L'IDEALE PER IL FILOSOFO, OGGI, ammesso che ancora abiti da queste parti,
è riuscire a lasciare intatto il mondo; sì avete inteso bene, si tratta per chi comprende di lasciare scorrere le cose per come sembrano figlie di una razionalissima procedura di trasformazione rimodernizzante, impossibile da fermare. Tanto compromissiva da non potersene ritenere se non oggetti in permanente modificazione positiva.
Anche la peggiore delle trasformazioni inquinanti, alla fine, sarà considerata una risorsa e bisognerà che i filosofi diffusi, il numero infinito di pensatori razionalisti, portando la lieta novella ne esaltino, per ogni angolo del mondo, la nuova incontrastata positività!

Concretizzando, oltre ogni speranza, il fatto che non solo il mondo vada soggetto a trasformazioni che, per sorte avversa o conforme, bisogna dire, hanno compromesso anche chi avesse avuto una qualche remora teorica a riguardo e forse anche pratica, ma anche che mentre questa prospettiva della ipermodificazione di ogni cosa, soltanto trenta anni fa sembrava ciò che di meglio l'Occidente avesse concepito, concretizzando desideri che mai prima avevano avuto modo di rapportasi, nessuna considerazione a proposito potesse essere addotta!!!
Anzi, si veniva considerando, quale migliore sorte aspettasse l'uomo se tanto cambiamento diventava una rincorsa decisiva, sempre più spinta, pronta a concretizzarsi nelle mani degli umili come in quelle dei signori, che addirittura si presentava più veloce e più affidabile di quanto fosse mai stato prima concepito, e se pure nascendo dalla ambasce delle modificazioni obbligatorie, un destino senza limitazioni prospettava a chi se ne fosse reso partecipe, ma non   per chi se ne fosse ritratto.
La strada era la storia e la storia il conflitto confermato permanentemente. E niente poteva essere pensato di ulteriore, visto che la storia che si afferma è infinite contraddizioni e il conflitto che si fa legge e diritto, ne diventa lo scrigno di cristallo che tutti possono vedere ma che nessuno, ad onta della stessa storia, osa spostare! A confermare che diventati tutti filosofi diffusi, oggetti e soggetti della più veloce delle trasformazioni possibili, le cose avessero ceduto definitivamente il loro segreto modificativo in favore di chi credeva di ritenerlo nella propria mente, fino alla dissoluzione inevitabile della capacità di ritenzione, come delle stesse cose! Incapaci i filosofi di distinguere questo da quello e tenuti in vita permanentemente, senza alcun rischio di morire, addirittura affrancati dalla necessità elementare della filosofia, quella di dire una parola rischiando ogni cosa!!! Quella per la quale il filosofo muore ogni istante e ogni istante risorge al mondo nuovo dove tutto è ancora da fare! E tutto è già stato fatto!!! Che quando si chiede al filosofo di essere chiaro... è per farlo tacere, destino che lui accetta visto che tutto è insieme... solo per il pensiero! Solo per il suo demerito!
Ma c'è anche la permanenza tra le cose degli uomini.
A Santarmàne, u Mutelèse, U Putignanèse, I Salvisi, fino a Pietro... Gioia, i nomi della gente convenuta per secoli, nel paese di Noci, come per ogni altra comunità, sono stati la sospensione del mondo che l'incontro determina quale rispetto, quale Stato. Ovvero quella essenza della relazione tra uomini che immediatamente si fa reciprocità dall'essere comunemente salvi.
Salvi dalle distruzioni, salvi dal generare, salvi dal morire, salvi dalla dispersione che è forse il male maggiore che atterrisce ogni uomo e che rappresenta la sua più consistente storicità che ancora deve farsi, che ancora deve finire di concretizzarsi, se i nomi ancora raccontano di come Noci sia un paese, una comunità posta dal potere regio, dove le stesse relazioni sociali e le leggi dovevano essere intese e condivise fino alle ultime derivazioni pratiche da tutti.
E tanto impegnato il mondo nocese dalla salvezza, dalla dispersione che lo stesso futuro veniva confermando le leggi e i comportamenti condivisi e per nulla la ricchezza per la ricchezza e il trasferimento alle nuove generazioni di cespiti e titoli, ma la costituzione, dalle proprie energie e dallo spirito di comunità, del sacro e del reciproco, del giusto e del condiviso.
Il campanile della maggior chiesa, atterrato dal fulmine, qualche mese fa a Noci, conferma, adesso, questa trama e proprio quando qualcuno può menare vanto, oggi, del fatto che ben un milione e centomila euro sono stati assegnati dalla Regione Puglia per la sua sistemazione nuova. Denaro che per come non è nostro passerà sulla testa di tutti e volerà via chissà dove. Alla stessa maniera di tutti i finanziamenti che la Regione riceve dallo Stato, soldi che per nulla frutto del nostro operare, inevitabilmente vanno dove vogliono e nessuno potrà modificare questo loro destino.
La domanda è questa. Siamo stati capaci di fare il sacro, il campanile, senza che la storia anticipasse il futuro; oggi che il futuro si impone nella accelerazione che è il risultato dello scrigno di cristallo impossibile da spostare, riusciremo a riattualizzarlo?
La risposta è nelle cose... stesse. Sarà impossibile!
Se il sacro non lo costituisci e lo nutri nessuno te lo potrà dare. Così per le altre cessioni di denaro da parte dello Stato. O la scienza ce l'hai o nessuno ti potrà favorire a concepirla. Così per lo spirito di comunità, così per ogni altra cosa.
E nello specifico la costituzione del sacro e la sua difesa è la condizione che vuole tutti richiamati in una dimensione unitaria che è in grado di allontanare la violenza presente in tutti quegli atteggiamenti e comportamenti che credono di poter risolvere con una affermazione individuale perentoria quanto si crede sia il positivo che le cose trattengono fino a sollecitarne la modificazione, la consumazione e la stessa distruzione. Fino a far credere che la violenza sia efficace, a carpire il positivo presente nelle cose, oltre che in grado di affermarsi in ogni campo e e di rendersi disponibile ad essere utilizzata da chiunque.
Si potrebbe dire che mentre l'incontro lascia che i soggetti restino distanti, ognuno nella sua dimensione etico-operativa e lì vengano normati, secondo una modalità di esercizio corrispondente della violenza alla pena, dopo aver riconosciuta la reciprocità del restare salvi, la dimensione unitaria che vede uniti gli uomini nella riconoscibilità del sacro è già la pratica di allontanamento della violenza da ogni comportamento umano nel sopravanzare del sacro oltre ogni esperienza e ogni cognizione di sé finita.
Ma appare ovvio come la condizione dell'agire prevalga quale necessità immediata dell'uomo, sia quando è collocata nel sistema del sacro, sia quando è normata dallo Stato e il trasferimento del tema della violenza agli esiti ultimi della forma Stato e della affermazione/dissoluzione del sacro impedisce che la violenza resti quale forma breve della compromissione dell'uomo al mondo, nella sua stessa materia etica e che da lì debba essere compresa. Mettendoci nella condizione di evidenziare, così, come la sua istanza decisiva sia il tentativo di negare che le cose possano dipendere dal non essere, da come possono essere modificate, che la distruzione annuncia, piuttosto che dalla permanenza dell'essere, ovvero dalla natura ancora da incontrare.
Diventa decisivo, in questo modo, come il rimedio all'infinito proporsi delle modificazioni non potrà essere lo... sviluppo economico... anche decrescitario, dopo i tentativi di contenimento della violenza dentro gli stessi processi produttivi. Infatti, sia Valletta, ad es. capo della maggiore industria italiana, che dice (rif. dal Domenicale del Sole 24 ore della scorsa settimana) come l'elettronica debba essere eliminata come un neo cattivo, sia Adriano Olivetti, innovatore della rappresentazione elettrica dei processi produttivi che immagina la fabbrica a misura d'uomo, si pongono loro malgrado all'interno dei processi modificativi esercitati con violenza. Dove la consapevolezza della violenza potrà essere una conferma del duro lavoro precedente l'elettronica o l'introduzione dell'asilo nido nella fabbrica.
Così si viene ad intendere come tutto l'Occidente si ritrova nella logica dell'infinito proporsi delle modificazioni, ma che in tutto il mondo è ben più grave la caduta del sacro che ha reso pari, nell'ostentare una semplice richiesta immediata di cibo, tutti gli uomini della terra così come nel rompere per la propria affermazione il vincolo di reciprocità che la visione unitaria del sacro imponeva.
Questa la causa diretta delle migrazioni, e delle compromissioni culturali impossibili da sostenere. Non è la scarsità di cibo la causa, ma la possibilità di chiederlo perentoriamente, di esercitare quella violenza che ormai non ha nessuna limitazione per come le modificazioni si propongono per ogni istante, per come ogni visione unitaria del sacro è scomparsa. Ed è appena il caso di richiamare le fedi maggiori del mondo a riprendere almeno il discorso sulla violenza inscritta nella modificazione delle cose che la caduta del sacro rende sempre più minacciosa.
Che invece si dica ancora... a santarmàne, u mutelàse... invece è quella corrispondenza alla parola della langue (ci sono appunti del 1991 che parlano così della poesia di Vittorio Tinelli) che lascia alla parola il discorso, la continuità dell'argomentazione senza che niente resti orfano, separato, dove la contrazione della parola è l'eccesso di significato che non potrebbe meglio rappresentarla. Ovvero ogni parola è un discorso senza fine, dove manca ogni trasferimento in una altra parte retorica dell'espressione, (in piazza non finge nessuno!!! neanche nell'imbrogliare!!!) che non sia il tra-dire, il continuare a dire facendo discorso... trascurse facenne!!! Dove la stessa rappresentazione scritta della parola detta è nel potere di chi parla e non di chi scrive. Il richiamo al dire, infatti, è permanente per chi voglia rappresentare la parola detta in forma scritta!!! Comprendendo il processo della rappresentazione scritta, tutte e ogni modificazione il detto comporti!!! Ragioni dirette queste, aggiungerei, a giustificare come la maturità della politica sia lo stesso discorrere, quale autentica pausa... azzise minze a ville, a foraporte, dove non si è portatori di storie eroiche più o meno eccezionali, ma si resta come coloro che dimostrano la politicità che nessuno può consentire o favorire meglio di chi, fuori dalla casa, si incontra per fare discorso lungo, come lunga, lunghissima è la politica per questo scambiata spesso con la storia!
Anche qui, a Noci, però, scambiare la storia con la politica ha comportato che il discorso lungo non avesse più senso. Il contraddirsi del fatto ha impedito il discorso, anche se di un discorso diverso la contraddizione storica si faceva paladina, portando inevitabilmente con sé le atmosfere della alterità che spezzavano i riferimenti comuni al fare, dove quella parola sintetica era nata, per questo diventata discorso e discorso senza fine.
A questa forza incredibile, nella quale le comunità costituite nostre di Puglia e del Mezzogiorno sono nate e si sono confermate per secoli, l'esaltazione del cosiddetto primato della politica che dalla storia dei fatti contraddicentisi prendeva motivo, è valso per oltre l'ultimo secolo a confermare quella determinazione a confliggere contando sulla forza logica che la contraddizione storica evidenziava come vera, quale più efficace criterio di modernizzazione, addirittura mettendo il passato contro se stesso!
Il risultato è stato folklore e popolarismo in evoluzione, ma, oggi, ormai, senza popolo e senza reciprocità di stati. Con i ruoli sociali esaltati pubblicamente e sempre più distanti dalla propria specifica funzione. Le donne messe fuori dalle case nella disperata  ricerca di prestazioni ad altissima capacità adattiva e ruoli sociali, (dottoressa, impiegata, operaia, professoressa) che valgono di più del signora, della moglie o della madre.
È evidente che non si tratta, nonostante ogni giustificazione impropria, di diffusione del lavoro femminile, quanto di utilizzazione della dimensione etica del fare femminile che impossibile da sostituire, resta sempre più raro. E che non sa più da dove rigenerarsi.
Dunque, mentre nessuno è più in grado di indicare, se non con il primato della politica che alimenta solo la propria suprematica autonomia, quali sono le forze dalle quali quella straordinaria capacità adattiva del femminile si riproduce,   non si smette di parlare di diritti delle donne e le si importa, per ogni uso, da ogni dove, tanto si tratterà sempre di una disponibilità pronta ad essere utilizzata dove meglio la si considererà efficace, confermando l'abbandono della casa per tutte le donne del mondo.
Anche su questo scenario vigila e domina la politica e il suo presunto primato. Primato che da essere il vessillo del cambiamento, quando altre sembravano le forze della conservazione (la chiesa, il patrimonio, la famiglia) è diventato il sistema di maggiore efficacia con il quale la partecipazione ai flussi di uomini, di merci e capitali disponibili si perpetua incessantemente.
Ma il sacro, il patrimonio, la famiglia nei residui che li hanno trasformati in storia e poi nel primato della politica, dove ogni rottura è e potrà essere contemplata, dalle unioni congeneri, alla rottura della relazione tra patrimonio e famiglia, dalla sospensione di ogni incontrarsi fino allo stesso smembramento della famiglia in quanto legame che persiste oltre il tempo storico separato, restano attivi, anche solo quale residuo storico, sia nella istanza più radicale al cambiamento sia nella più strenua delle difese del passato. E, insieme, in quanto residuo storico confermato solo sul piano della contraddicibilità della storia, impediscono ancora che della propria natura etica ci sia una qualche presenza attiva.
Il paradosso è così raggiunto: non solo il primato della politica è senza più altro sul quale possa signoreggiare, non solo la istanza al cambiamento è ormai la stessa forza del primato in questione che arride alla conservazione, ma lo stesso cambiamento non sarà, presto o tardi e anche immediatamente, che una profonda conservazione!!!
Il primato della politica ha allora bisogno del contrario. I modernizzatori hanno bisogno della tradizione, la tradizione non sarà senza rinnovamenti.
E il primato sarà un dipendere da altro... bene accetto!
E altro per antonomasia non sarà che ciò che è già vicino, o distante, o familiare o perfettamente alieno, per niente ciò che sta, ciò che consente, ciò che resta attivo nonostante. Queste, infatti, sono le prerogative che rovesciano la dipendenza in una nuova capacità di sopravvivenza, la nuova autonomia in un profondo bisogno antico di relazione, il diritto consolidato indiscutibile in forme di partecipazione più ampie.
Ma il punto è che proprio ciò che si intende perpetrare quale primato, la politica, non ha più un riferimento essenziale permanente se non in forma  astratta, e proprio in ciò dove era già stato primato e superiorità.
Se la filosofia razionalistica diffusa prevale, il primato della politica con questa si confonde, e il luogo inaccessibile e immodificabile della filosofia non può essere più la ragione che consentì la sintesi di efficacia del primato della politica. Nessuno è meno capace di altri nel condurre e fare da sé un discorso politico che rispecchi le caratteristiche del primato, ovvero la permanente conflittualità!
Lo stesso vale per le cose della tradizione come per il nuovo. E la famiglia, paradossalmente, diventa il luogo logico di esercizio del primato della politica anche per gli atteggiamenti culturali, che dovranno essere necessariamente politici, che la vogliono superare. E tanto si conferma nei pressi di coloro che del primato della politica hanno fatto l'assoluto oscuramento delle basi etiche del vivere al Sud.
È, infatti, la famiglia, ciò che quale artificio immane contrastante ogni natura, nientemeno, nella ricostruzione delle vicissitudini della cosiddetta “Ecòle barisienne” fatta da Salvatore Lattarulo sul Corriere del Mezz. del 5 maggio, il veicolo sia della casa editrice Dedalo, sia della militanza comunista delle nuove generazioni. Sia delle relazioni familiari dell'editore con gli intellettuali, sia dello stesso primato della politica che così si introneggia nei confronti delle nuove generazioni a militanza comunista.
E se è la famiglia la continuità, come si sarà trasformato il primato? Su quale substrato quel primato si sarà esercitato? Su quel terreno etico che svillaneggiato dal primato ora il primato desidera come la cosa decisiva sulla quale applicarsi dal momento che irriconoscibile il terreno etico per chi ha esercitato le ragione contraddittorie della storia, lo si utilizzerà, per diversa ragione disponibile, sulle sue rappresentazioni artistiche e culturali, al costo permanente di non riconoscerle come atto d'arte e costante culturale ancora attiva!!! Arretrando fino a far scomparire l'arte dalla Puglia!
Si raggiunge così il paradosso di volere il proprio nemico e di andarci a passeggio indifferentemente!!! Pur di esercitare quella dimensione del sospetto interessato nel quale il pur glorioso motivo del cambiamento quale il primato della politica, si è completamente trasformato.
La Puglia così non ha neanche nemici politicamente sensibili! Dunque la Puglia culturalmente non esiste!!!
I riferimenti culturali di Vendola ne sono la sintesi!!! La carità gratuita e la uguaglianza... obbligatoria!!!
Figlio di chi Vendola? Figlio di un rinnovamento culturale della politica o ultimo separatore della dimensione etica dall'arte, in conto dell'oramai irriconoscibile primato della politica? Che sopravvive proprio sfruttando la utilizzazione della materia etica nei campi residuali dell'arte senza che della materia etica come tale ci sia richiamo efficace, come si fa inevitabilmente con le peggiori intenzioni modernizzanti, con Apulia Film o con le arti diffuse. “Beautiful” a Polignano compreso! Carità o uguaglianza?
E qui il punto è decisivo.
Il rinnovamento si è riconosciuto paradossalmente nella continuità familiare degli editori e delle nuove generazioni di comunisti e con questo il primato della politica è diventato appannaggio della conservazione, usbergo e scudo potentissimo della conservazione, con i rinnovatori che non parlano se non ai loro familiari!!! Diventato “familismo intellettuale” il primato della politica. Come pure dalla parte delle famiglie non intellettuali e non politiche, l'impossibilità di coniugare, come la base etica del lavoro consentiva prima che diventasse storia, famiglia e futuro, ne ha consigliato lo sfruttamento immediato; quale ricerca nella accettazione del conflitto che si deve combattere con armi nuove, con le armi del rinnovamento, di un qualche vantaggio che porti sollievo alle sorti delle attività pratiche del lavoro.
Non proviene, per le famiglie non intellettuali, infatti, dalla storia il primato della politica, ma dal fatto che la trasmissione del patrimonio, sia in quanto cespite da trasferire e da preservare dal consumo, sia per via femminile sia per via maschile è oggi, impossibile. Ovvero è soggetto a deprezzamenti vertiginosi impossibili da controllare.
E questo, non solo nelle città, ma anche dove la dimensione etica si nutriva potentemente, nei luoghi ormai svuotati delle campagne, dove non c'è giovane donna che voglia restare in campagna quale moglie e contadina, dove non c'è, seppure lo si praticasse intenzionalmente, nessuna possibilità di fare sintesi tra il possesso del bene e la sua valorizzazione produttiva. Dal momento che l'industrializzazione del lavoro agricolo, impossibile da compiersi completamente, chiede sempre quale decisiva la presenza della mano umana. Mano che è tanto decisiva nel processo produttivo al punto da richiedere una capacità di chiamata, convocazione e utilizzo che nessuna abilità di conduzione  delle macchine potrà favorire. A meno che non si faccia un... rodeo di trattori per ogni aratura!!! Cosa che vale per tutti i mestieri.
Ovvero è impossibile un chiamare al lavoro agricolo, o al mestiere, dal web a meno che non si possa mangiare... web tiepidi a colazione!!!
Il glebae affixi romano, al contrario metteva nelle condizioni di aderire sia ai luoghi, sia ai tempi della produzione agricola. Allo stesso modo lo ius protomiseus bizantino.
Credere oggi che si possa produrre e trasformare grano canadese in Puglia significa togliere la sensibilità etica che la modificazione delle stagioni procurava!!! Stè chiove è, bisogna affermarlo nonostante ogni familismo intellettuale poetizzante, materia etica viva che suggerisce l'abbondanza o il rifugio, il rigoglio o la... seccatura, addirittura la parola poetante medesima!!! Altro che Pasolini... nonostante Pasolini!!! A proposito... dove sono i contadini difesi da... Pasolini se non coloro che contadini non lo erano più? E i padri (vedi F. Cassano, “Il pensiero meridiano”, Laterza, pag. 122 e segg.) saranno definitivamente scomparsi dall'avere una qualche specificità identitaria confermabile nel presente, come dall'aver generato prima... scomparendo? O come si chiameranno... domani... coloro che... continuano a generare?
Credere che in Puglia si possa commerciare l'olio d'oliva dell'intero Mediterraneo significa affondare l'intera regione, farla completamente scomparire nel mare!!! E una terra che si è difesa dal mare, dall'Oriente e dall'Occidente, come dal Nord, molto difficilmente sarà produttrice di un “pensiero Meridiano”!!!
Ma quale “pensiero meridiano”, caro Cassano, se allo sviluppo della produzione vinicola corrisponde l'aumento disperato degli astemi nella nostra regione?
Nessun luogo, caro Cassano, produce... filosofia se non nella parola!!!
Ecco l'incredibile attualità del dialetto!!!
Heidegger (rif. da “Il pensiero meridiano” pag. 40 e segg.) si combatte nella astrattezza della filosofia non in conto di una politica primaziale auspicabile anche per le terre che, negando la propria dimensione etica, hanno creduto di aver fatto storia, allo stesso modo di quelle che, non la hanno fatta... la storia, e si crede che ancora debbano fare... filosofia, come se fosse storia, per potersene avvalere!!! La Germania... non sarà stata senza storia per aver fatto LA FILOSOFIA, come la Puglia non farà... filosofia per non aver avuto una storia.
Ma questo è il caso del Mezzogiorno!!! Tanto pieno di storia ancora da intendere che nientemeno Giuseppe Galasso, il più europeo e universale dei nostri storici, non riesce a fare un discorso politico, a proposito del Sud, adeguatamente compromettente, almeno allo stesso livello della ricognizione storica!
Tanto poco pieno di storia fatta e saputa, invece, il Mezzogiorno per Cassano, che ci si immagina antagonisti della filosofia quale pensiero permanente di ciò che resiste allo stesso pensare. Di quella pienezza del pensiero che i dialetti conservano, invece, implacabilmente.
Motivo questo ultimo per il quale si deve chiudere con il folklore e le moralistiche sentenzianti.
Certo, niente fuori da popolo e verbo. Ma popolo e verbo, i portatori della salvezza e i parlanti, non perdono un solo tratto della loro potenza nonostante ogni modernizzazione. La salvezza è dall'incontro permanente di tutti; i parlanti possiedono tutte le trasformazioni della parola che nel fare si deposita perfettamente. Da qui la nuova dimensione, quale atto del pensiero, che la parola del dialetto possiede, dove niente della vita umana è escluso!
Da qui abbiamo inteso, da qui continuiamo ad intendere, da qui occorre ricomprendere e fare tutto. Escludendo che qualcuno controllando il passato, creda che si possa a lungo controllare il presente!!! Ma che la grandezza del passato non smette di essere eloquente e ci dica direttamente come integrare nuovamente la mano e la mente, deve ormai diventare quanto di decisivo sia oggi per noi la nostra nuova salvezza!
Ma, se pure al Sud, il passato appare ancora eloquente e culturalmente percepibile, e il lavoro e i dialetti ancora ne fanno sentire la voce, la trasformazione micidiale che le intellettualità del Mezzogiorno hanno subito, tutte rivolte al tempo storico e alle sue catastrofi, alle sue controversioni applicabili, fanno venire meno non solo la capacità di intendere di fatto il nostro luogo, ma spostano altrove le attenzioni della intellettualità nostra. Di fatto lasciando senza intelligenza il nostro mondo produttivo.
Diversamente al Nord, come racconta Mario Intini, Castelfranco insegna, almeno sulla logica operativa, piuttosto che sulla pratica del fare, fior di comitati scientifici applicano intelligenze e competenze eccezionali! Come pure il tema dell'innovazione sociale quale arma contro la crisi ripreso da Crossroad, con Aldo Bonomi, sul Nòva Sole 24 ore del 6 maggio. Come pure il progetto di Venezia capitale della cultura europea, richiamato da I. Cipolletta sul Sole 24 ore del 6 giugno.
Una cosa resta certa. Spezzato il fare e interrotto il pensare, al Nord come al Sud, della storia non esiste uso, così come dell'arte e e dei primati della politica.
Ma che per governo la politica possa farsi oggetto di azione culturale e operare dove le crepe aprono sprofondi inabitabili è difficile pensare il contrario! Che del contrario e del conflitto senza la generosità degli opposti nessuna terra sarà ospite in eterno!

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