Volentieri riceviamo e pubblichiamo questo scritto di Leonardo Tinelli
SIGNORI,
dalla parte nostra resta
il fatto che la prima artificializzazione del mondo, l'agricoltura, ancora non
si ferma e niente sembra in grado di sostituirla, anzi tutte le modificazioni
successive ci hanno preso ad esempio, sia quando si trattava di esaltare lo
spirito nuovo che si andava affermando con strumenti tecnici più adeguati, sia
quando l'essenzialità umana di riferimento esprimeva la sua necessità, la sua
evidenza e come tale, tolto ogni orpello, bisognava intenderla e continuare a
venirne a capo.
Venire a capo della
materia umana è il compito, infatti, che il procedere universale del mondo
artificiale, ci impone a partire da quella disegualità dello scambio che
diversamente da come poteva essere praticato il baratto e il dono, ovvero
l'attribuzione permanente di valore alle cose anche quando subiscono le
trasformazioni radicali del consumo, oggi sembra la regola impazzita sulla
quale nuove disuguaglianze e nuove povertà si minacciano per tutto il mondo.
La malattia dello scambio
diseguale si è infatti innestata sulla logica pari che i valori simbolici e
anche concretissimi relativi al baratto garantivano. Che fosse dono divino il
cibo o merce che da lontanissimo si proponesse come una apertura temporale di
ogni finita cognizione dello spazio ricognizionabile, era sufficiente a far
accettare e condividere carestia ed abbondanza che così riempivano di valore
economico, prima di ogni autonomizzarsi dell'economia quella dimensione
strumentale indispensabile che è alla base del fatto agricolo.
Infatti, senza aratro,
senza zappa e ciuco, non c'è stata mai nessuna agricoltura, né potrà mai
esserci. Certo la natura è padrona e sempre favorisce che il suo segreto, la
quantità infinita, venga aperto e svelato, ma non ce ne sarà una favorevole
alla trasformazione; anzi il velleitarismo di intenderne una aderente alla
dimensione biologica che l'uomo ascrive a se stesso, presunta e sempre
imprudente, si trasformerà presto o tardi, come di fatto tutte le nostre
conoscenze a riguardo dimostrano, in un ostacolo ad acquisire ulteriormente
quella quantità infinita benevole che la natura ancora consente che si
utilizzi.
Ma qui il punto di
contatto tra la logica dello scambio e il carattere astratto di ogni cognizione
della natura hanno trovato punti di accordo tanto stretti da far ritenere che
quella dimensione pratica dell'attività umana che era imprescindibilmente
legata alla zappa e all'asino potesse essere intesa come separata e
trasferibile, addirittura motivo di apprendimento, di orientamento morale
generale, e addirittura generatrice di diritti e di nuove affermazioni della
storia.
Ma mentre noi quest'oggi,
celebriamo le nostre antichissime conferme e siamo testimoni del sole,
dell'acqua e del vento e della terra e ancora non sappiamo quale elemento
prenderà il sopravvento e per quanto tempo, qualcuno già ci ha detto che quella
relazione con la terra del glebario o del garante del confine che ancora
conservava il rapporto con il sole o la pioggia, non vale più. Che se un
uliveto produce dipende dal lavoro e dal prezzo, ed è bene che pure quelle
forme di lavoro legate all'altezza della terra che consentivano il riposo o lo
spostamento, da Altamura a Cisternino, da Gravina a Barletta, non ricevano in
cambio l'olio di Cisternino o le cipolle di Barletta ma che se ne comprino di
Francia e olio dal Maghreb!!!
Ma se noi non produciamo
il nostro cibo la stessa reciprocità sociale che lo garantiva intendibile e
scambiabile muore!!! Anche quando quel cibo contenesse una parte di veleno!!!
È il veleno infatti ciò
che si intende nascondere in ogni produzione. Sia che si tratti della punta
spuntata della nostra zappa, sia che si tratti della inadeguatezza del
prodotto! E in questa dimensione non c'è solo lo sviluppo o la decrescita, ma
la stessa azione di ogni uomo nella sua incertezza e così nella sua diretta
compromissione.
Che si dica in giro, in
altri termini, che da queste parti non si sappia coltivare ciliegie non ci
metterà in ambascie maggiori del piacere ricavato da quella pianta che, a
sorpresa, ci ha lasciato ciliege eccezionali!!!
Se la nostra attenzione
resterà legata al dono, all'eccezione potremo ancora di più avvicinare la
natura, altrimenti non sarà che uno standard produttivo per la vendita che
caratterizzerà la nostra relazione con la terra. Criterio questo che
compromette la stessa natura patrimoniale del nostro rapporto con il suo
possesso.
Certo, appena ci si
avvicina al campo questo già indica il suo tempo lunghissimo, il fatto di
superare generazioni e generazioni in un battere di ciglia, per come la terra
resiste tutte le modificazioni immaginabili. Non si potrà mai dire, infatti,
che questa terra appartiene a me, o mi riviene dal padre senza che il padre, a sua
volta, sia stato oggetto dell'implacabile forza permanente della terra che ogni
tempo consuma, ma non sarà per accettare un standard produttivo ancora più
effimero che la patrimonialità del possesso, ovvero le famiglie e le donne di
campagna oggi, e le stesse regole del fare e del rispettare tutti, possano
essere accusate di restare ai margini e addirittura di impedire le forme nuove
di possesso, nelle quali alla maggiore presenza delle macchine e della chimica
non corrisponderà nessun richiamo per
l'incitarsi al lavoro e nessuna gioia dalle cose fatte.
E noi che in tutto questo
non siamo che la zappa spuntata, se è vero che saremo superati e buttati via,
non per questo potrà apparire più lungo e vantaggioso il destino di chi si
adegua alle produttività standard che prevedono grandissime estensioni
coltivate a monocoltura prevalente con ausilio intensissimo dello strumentario
meccanico motorizzato.
I figli, dunque, come le
donne dei campi, l'altro pezzo decisivo della antica patrimonializzazione con
la quale si avvicinava la natura, per quanto applicatori di competenze
costruite chi sa dove, saranno in grado di sentire il battito della terra, il
rumore della crescita e della dissoluzione? Rotta che sia la vecchia formula
della patrimonializzazione con la quale le generazioni si legavano alla terra e
la ascoltavano insieme, ci sarà ancora chi sarà in grado di indicarne il
brusio?
E se i padri non sono più
padri, i figli che cosa sono? Se i padri non sono se non un patrimonio in
svendita, i figli potranno mai acquisirlo? E se è così a nessuno sarà data in
dote la terra!
Ecco il motivo per il
quale, il valore della terra, lo stesso patrimonio si è a tal punto
dematerializzato che si scambia con le terre argentine, con la disponibilità al
lavoro delle masse cinesi, con le centrazioni al vendere dei mercati
dell'Occidente. E ora da uno ora dall'altro di questi domini, presa in
ostaggio, la terra, che consente le trasformazioni produttive, non sa del
proprio futuro.
Scienza agraria, invece,
nacque dalla terra direttamente. Direttamente divenne università e scienza. Per
come ogni biologia è acqua e aria, cielo e terra e lì confonde e integra i
dinamismi fondamentali della vita.
Questa la posta in gioco!
La vita e la scienza o
l'esclusione della terra dalla dote che gli uomini si tramandano.
Esclusa dall'ereditarietà
la terra, allo stesso modo si crede di poter rendere possibile la dematerializzazione del futuro in una
coerentizzazione astratta che vede solo artifici e assenze. E così si potrà
giustificare anche il congelamento degli embrioni, un modo, come altri, per
evitare i figli e assicurarsi una continuità, ma come ricorderemo il padre?
Come il nonno e l'antenato? E quanto dovrà essere lungo questo rapporto per
finire di dire chi sia stato il padre senza... figli?
Non c'è alcuno dubbio,
invece, sul fatto che tutto non appartiene ad alcuno se non alla catastrofe del
tempo, alla dissoluzione-costituzione delle cose, ma la questione decisiva è se
ne cogliamo la dimensione che ci riguarda direttamente nella quale è iscritta
la nostra fine e l'inizio per altri!!! Dimensione che impone una nostra
incondizionata accettazione che è insieme quella di dover soccombere e allo
stesso tempo l'esercitare strenuamente ogni energia possibile!!! E dove
finalmente si vede il pari e il corrispondente dello sforzo alla cedevolezza,
della resistenza alla potenza, dell'equilibrio delle circostanze che permettono
di vedere, senza alcuna paura, dentro le cose del mondo, e di consentirci
ancora l'incanto.
Signori, la terra, dunque,
appartiene a chi la riceve in dono, terra che in quanto dono obbliga alla
reciprocità, al ridonare, ma tenendola, che è molto poco rispetto alla
responsabilità del dono, si viene ad essere costretti a lasciarla, addirittura
all'obbligo del lasciare, dove disperati resteranno, senza nessuno che sia in
grado di chiedere per cognizione, coloro che la prenderanno, dalla
impossibilità di lasciarla ancora, non sapendo assolutamente a chi!!!
Ma è inevitabile pensare
che niente sarebbe possibile senza fare le cose assieme! Addirittura la stessa
malattia è una adesione strettissima alla salute. Guai se non fosse così e se
non si continuasse a ritenere che scartato ogni principio di continuità,
l'opponibilità sarebbe senza corrispondenze (!!!) Mentre è vero che lo è da sempre!!!
Invece! Dunque, la malattia che è la presunta necessità della separazione di
ogni e tutti i riferimenti pratici e
teorici possibili, è la stessa salute che impone la relazione. Dunque
l'incontro piuttosto che l'autonomizzazione, la separazione.
Da dove, non si sa... ma
per certo, carissimi signori, per ritornare a fare cibo, che è l'essenza della
produzione agricola, ci vedremo costretti a stare assieme, e se non sarà
patrimonio, sarà patria... patrìa della storia, con il primo che capita sarà
pure matrimonio, ma pure di stare lontani dalla micidiale solitudine che
condanna le formiche e le api, qualche cosa delle api e delle formiche dovremo
essere disposti a dare in cambio! Sarà il.. tempo? Sarà lo... spazio? Tempo
vuole l'ape, spazio la formica! Chi vincerà?
Lo Stato nelle sue forme
sospensive del tempo e della contrazione dello spazio... è la risposta
universale.
Per conto nostro, anche
solo aver posto così la questione, in questa assemblea è sufficiente... ma ciò
che è veramente insufficiente è l'incontro che mi negate se senza... cibo, e
senza... vino, mi lasciate andare......
Nessun commento:
Posta un commento