Di etichette, ce ne hanno applicate ormai tante. E abbiamo
numeri, così tanti numeri che non ci sappiamo raccapezzare, e che se solo
sapessimo quali giocare al Lotto, vinceremmo sicuramente.
Abbiamo numeri per la prevenzione, per il codice fiscale,
per la posizione fiscale e quella all’Inps, per la disoccupazione, i sussidi,
i sostegni, per le iscrizioni alle liste, di mobilità, o a quelle della
speranza. Abbiamo numeri di telefono che non rispondo, o numeri che ogni volta
che rispondono ti dicono una cosa diversa. Abbiamo scadenze, che non riusciamo
a rispettare mai, e abbiamo scadenze che gli altri non rispettano con noi, in
una spirale senza fine di scadenze che si rincorrono e acchiappano e mancano e
accumulano.
Alcuni di noi avevano una data di scadenza, che
nessuno ci ha cominciato, ma che ora comincia a pesare sugli scaffali della
disoccupazione: i consumatori non ci comprano più, perché a 50 anni siamo
scaduti come yogurt in cui il bifidus non funziona più.
Ma siccome siamo anche noi gente che sa leggere (abbiamo
dovuto impararlo quando ci hanno comunicato che l’inps neanche più si prendeva
la briga di gestire le nostre pratiche tramite una persona fisica, ma eravamo
richiesti cortesemente di imparare il legalese, munirci di PIN –un altro
numero- e sbrigare tutte le nostre pratiche “online”), allora eccoci:
togliamoci questa curiosità di capire cosa siamo, e come ci definiscono.
Disoccupati. Inoccupati, mobilitati, cassaintegrati.
Siamo stati di tutto un po’, a volte due o tre cose insieme,
ma sempre ben inscatolati sotto le nostre etichette. E ci conviene
sempre sapere a menadito sotto quale categoria figuriamo, pena perderci qualche
preziosissima informazione. O opportunità.
Le insidie per chi perde colpi e “non gli sta dietro” sono
tante. Ci vediamo togliere il pane di bocca per dei vizi di forma, un modulo
non compilato, una procedura (che non conoscevamo o che è stata introdotta
mentre noi dormivamo) che non abbiamo rispettato. Basta un solo passo falso e
puff.. a volte sono soldi che spariscono. A volte un’opportunità di lavoro, o
di riqualificazione (un esempio? c’è chi è stato cassaintegrato a fine marzo,
per scoprire che i corsi gratuiti cui aveva diritto, ormai erano iniziati ai
primi di marzo e quindi lo escludevano per i successivi sei mesi… in cui aveva
l’OBBLIGO, però, di dimostrare di essersi iscritto ai corsi di
riqualificazione… e giù, per la spirale del nonsenso che – non bastasse la
mortificazione della situazione – ti risucchia senza pietà in un vortice di
rabbia e sconforto).
L’amaro in bocca resta sempre più amaro, ma di fronte
all’istituzione, nessuno di noi ha potere di parola.
Ma la parola ha un potere. La parola ha un peso.
Obbligo. Dovere. Ad esempio, sono due parole che hanno molto
più peso di diritto e opportunità.
La parola ci definisce.
E forse la parola ci può aiutare a stare a galla, e a farci
(seppur minimamente) rispettare. E allora, analizziamo questa parola.
“I decreti 181/2000 e 297/2002
definiscono gli “inoccupati di lunga durata” come coloro che, senza aver
precedentemente svolto un’attività lavorativa, siano alla ricerca di
un’occupazione da più di 12 mesi (6 mesi se giovani).”
“I “disoccupati”, nella definizione dell’Istat,
sono invece le persone non occupate tra i 15 e i 74 anni che hanno effettuato
almeno un’azione attiva di ricerca di lavoro nelle quattro settimane che
precedono la settimana di riferimento e sono disponibili a lavorare entro le
due settimane successive; oppure, inizieranno un lavoro entro tre mesi dalla e
sarebbero disponibili a lavorare entro le due settimane successive, qualora
fosse possibile anticipare l’inizio del lavoro. “
E chi di noi disoccupati non inizierà entro 3 mesi un nuovo
lavoro? A leggerla così, caro Istat, ci si riempie il cuore di speranza.
Ma attenzione, qua già casca l’asino: “perchè lo
status di inoccupato o disoccupato venga sancito, è necessario recarsi
fisicamente presso un Centro per l’impiego o uno degli Sportelli comunali per
il Lavoro e richiedere l’iscrizione alle relative liste. Importante ricordare:
- Ci
si può iscrivere a un solo Centro per l’Impiego, e bisogna effettuare
l’iscrizione presso quello nel cui ambito di competenza si trova il
domicilio (art. 3 del Dlgs.297/2002).
- Se
si cambia residenza o domicilio, bisogna recarsi presso il nuovo Centro
competente, che provvederà a chiedere i dati al precedente.
- L’iscrizione
comporta degli obblighi sia per i disoccupati sia per gli inoccupati ”
(insomma bisogna presentarsi e partecipare agli incontri che organizzano –
se te li notificano, sennò bisogna mettere le tende davanti alla bacheca
per essere sicuri di leggere tutti gli annunci ..ma tanto, siamo
disoccupati, non abbiamo molto altro da fare no?- altrimenti si viene
cancellati dalle liste).
Ma andiamo avanti con altre definizioni: stage.
«Chi ha effettuato solo stage e non ha altre tipologie di
contratti alle spalle si considera inoccupato»
beh, chiaramente, no? uno stagista mica lavora. mica lo
mettono in azienda a fare, gratis, il lavoro di un altro, no? Sarebbe una
pratica barbara, manchevole di rispetto dei minimi principi dellasocietà
civile..vero?
…non so voi, ma io non posso fare a meno di pensare a tutti
quei contratti di stage con “fini di inserimento al termine del periodo”, che
ci sono stati proposti non solo appena siamo usciti dall’Università, ma anche
dopo 10 anni di onorata carriera, al nostro riaffacciarci sul mercato. Salvo poi
comunicarci due giorni prima della “scadenza” (ancora quella parola!)
che, stante la nostra “inidoneità” (ah questa si che è una parola!)
purtroppo l’azienda non ha alcun contratto da offirci, e che quindi possiamo
considerarci liberi da ogni obbligo e incentivati ad andare acercarci un altro
lavoro.
Lavoro. lo devo veramente definire? Credo che lo farò
in uno dei prossimi post… ma di sicuro, il lavoro definisce noi, non si dice
così?
“Chi resta disoccupato per almeno 24 mesi viene
considerato disoccupato di lunga durata; la legge 407/90 riconosce incentivi
fiscali e contributivi alle aziende che assumono a tempo indeterminato questa
categoria di lavoratori”.
Il lavoro, la mancanza di lavoro, ci definiscono così.
Definiscono il nostro valore, e ciò che ci spetta. Le parole ci definiscono, ma
certe etichette non ci restano attaccate. Mentre altre invece non si
toglieranno mai.
Tipo quella che, attaccata alla nostra schiena (o un pò più
giu…), recita “soggetto non tutelato, atto allo sfruttamento indiscriminato,
prego farsi avanti numerosi” oppure l’altra, quella che dice: “qui si regalano
fettine di culo, venghino numerosi!”)
E allora voi ricordate che le parole non vanno mai usate a
sproposito e che hanno sempre un loro fio.
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