Anzitutto. È stata una giornata un po’ di merda.
Sono tornata a casa dopo aver fatto una gita premio
all’agenzia interinale per recuperare le ultime buste paga (sennò col cavolo
che posso chiedere il sussidio Ebitemp, che mi potrebbe essere utile per
pagarmi il corso per il patentino di guida turistica invece di organizzare un
bel crowd founding), e non so perché, complice anche il vecchio in pizzeria che
si è preso le ultime due crocchette di patate rimaste -ricordatevi la regola
numero 1, che non è nessuno mette Baby in un angolo bensì nessuno
mangia le ultime due crocchette di patate in mia presenza, altrimenti
succedono cose spiacevoli e volano maledizioni- ho cominciato a sentirmi
abbastanza di merda, a pensare che insomma, probabilmente mi converrebbe
saltare giù dal primo ponte sul Tevere che incontro e pensa che ti ripensa ho
cominciato a piangere.
Roba che se qualcuno mi fermava lo prendevo a pugni.
Oh, non è che sia successo granché, perché la giornata fosse
così di merda. Stamattina ho cominciato col chiamare il corso di inglese per
dire che essendo ancora disoccupata mio malgrado avevo i requisiti per
cominciarlo. Comincio dal 27, dal lunedì al venerdì, la mattina. Il pomeriggio
sono sempre di cazzeggio.
Poi ho controllato il conto corrente, e c’erano sia i soldi
della liquidazione che quelli della disoccupazione. E queste sono buone
notizie, in genere.
Poi ho mandato i soliti inutili curricula rispondendo ai
soliti inutili annunci. E ho pure scoperto che la Provincia di Roma ha deciso
finalmente di tirar fuori qualche bando per corsi sovvenzionati. Così li ho
letti tutti e ne ho trovati un paio che mi possono interessare. Ho pure mandato
il link alla collega che è in maternità, perché li voleva.
I casini sono cominciati qui. Perché mi sono impelagata in
una discussione sullo spreco di tasse che implicano quei corsi, soldi che
potrebbero essere usati meglio. E io a questo punto mi sono chiesta per quale
motivo bisognerebbe usare i fondi destinati alla formazione professionale per
ricostruire scuole. Perché la formazione per adulti serve. Si può discutere
sulla modalità con cui viene organizzata in Italia, si può pure arrivare a
denigrare la deprecabile abitudine di lucrare su quei fondi. Ma in qualunque
luogo che abbia un welfare e protezioni a sostegno del reddito la formazione
per adulti deve esistere, perché il lavoratore ne ha bisogno, pure se non se ne
rende conto. Se non stai lavorando e sei improduttivo, devi poter fare qualcosa
che ti faccia sentire un essere umano. E imparare qualcosa di nuovo che possa
servirti pe il tuo lavoro o consolidare qualche conoscenza è un modo per sentirti
un essere umano.
Poi ci sono sempre quelli che le cose le farebbero meglio, e
che vedono qualunque passo volto verso una sorta di miglioramento dell’essere
umano come uno spreco. A guardare bene ci sono pure milanesi che in questi
giorni si sono lamentati perché il comune di Milano ha organizzato una raccolta
di indumenti usati, lamentando che dovrebbero essere i politici a dare quello
che hanno, perché i cittadini sono poveri. La verità è che troppa gente ha
bisogno di aprire bocca e dare fiato.
E allora già questo mi ha messa di cattivo umore, anche
perché queste cose arrivano da gente che conosco, e io lo so, che potrebbe dire
roba del genere, ma quando capita a me arriva tipo un cartone in faccia, perché
a essere sincera non me l’aspetto. Mi aspetto anzi che le persone a cui queste
cose non servono non stiano lì a questionare sul perché e per come vengono
organizzate. Invece no.
Ma c’è pure stato di peggio. Tipo la discussione sugli
imprenditori che poveretti vanno capiti quando assumono solo personale che gode
di sgravi fiscali, pure se poi la qualità ne risente, e non danno continuità, e
comunque l’imprenditore va capito a prescindere perché poveretto rischia in
solido, e se fallisce gli levano pure la casa, e qualcuno poi si suicida pure.
E io pensavo che i dipendenti magari non ce l’hanno proprio,
la casa, e che anche se avessero voluto fare gli imprenditori, nella vita, non
hanno mai avuto abbastanza garanzie per chiedere un prestito a una banca e
mettersi in proprio, e che quando l’imprenditore fallisce comunque loro perdono
il posto di lavoro e non è che ballano la tarantella, e anzi, pure qualche
dipendente ogni tanto viene preso dallo sconforto e si suicida.
E francamente poi mi ha dato fastidio la difesa a oltranza
dell’imprenditore perché chi non fa l’imprenditore non capisce che fatica è,
perché se uno è imprenditore ed è un figlio di puttana e agisce in maniera
illecita non è che deve essere capito in nome dello spirito di corpo. Col
cazzo. E poi un figlio di puttana ti rovina la categoria, dovresti
prenderlo a calci anche tu imprenditore onesto, il figlio di puttana, non
difenderlo perché sì, sbaglia, ma vuoi dargli torto?
E insomma, voi che non avete tanto tempo da passare davanti
a questa roba avete un culo della madonna, perché non lo sapete, quante
stronzate riesce a scrivere la gente quando sta su internet e discute con altre
persone. Pare la gara a chi dice la roba più sgradevole. Non so se si
vinca un premio, alla fine della gara, spero di sì e spero per loro che ne
valga la pena, perché a me fan venir voglia di tirar fuori le molotov.
Alla fine sono uscita pure per mancanza d’aria. Poi mi sono
ulteriormente rovinata la giornata, eh, perché in agenzia ho trovato due tizie
che avevo già visto la prima volta che sono stata a prendere le mie buste paga,
a gennaio di quest’anno. E sono due tizie cafone di quella cafoneria che trovi
solo nelle peggio borgate di Roma. E ho capito che loro, con tutto che sono
cafone, non si sa perché continuano a lavorare imperterrite. E allora mi sono chiesta
a che serve essere educati (moderatamente), non sguaiati, avere una buona dose
di cultura personale o cercare di imparare roba nuova, se poi lavori lo stesso
anche quando sei una cafona sguaiata.
Ve l’ho detto che non è una buona giornata, perché sto
scadendo pure io nella guerra tra poveri. Sto cominciando a guardare nel culo
del prossimo per vedere cosa ha più di me. E non è una cosa che mi piace.
Perché non me ne frega niente, di sapere cosa hanno di più gli altri. Non mi
interessa sapere che qualcuno ha avuto un lavoro perché ha lo zio che è cugino
di stocazzo. Forse io non lo voglio proprio, il posto di chi ha lo zio che è
cugino di stocazzo. Magari non è una roba per me, quel lavoro. Pure se paga
bene. E non mi interessa sapere nemmeno perché una che urla e parla nei posti
chiusi come se fosse in mezzo a una piazza continua a lavorare. Mi interessa
trovare il mio, di lavoro. Mentre gli altri si fanno il loro.
È complicato, non cominciare a farsi una serie di seghe
mentali in cui pensi che il mondo ce l’ha con te.
Comunque basta, la giornata vivaddio è finita. Posso
dedicarmi a pensare al romanzo, che oggi si ricomincia. Tra due settimane
comincio un corso di inglese, domani preparo i documenti per i corsi inutili
della Provincia di Roma sperando che mi prendano in uno, e soprattutto me ne
vado al Forte Prenestino a vedere una roba che mi piace, spero. C’è una mostra
di editoria indipendente. Dice che ci sta pure la libreria Calusca, quella
dell’Archivio Moroni.
Posso scrivere un sonoro fanculo a tutti quelli che oggi mi
hanno avvelenato la giornata?
Non è necessaria la risposta, tanto l’ho già scritto,
State bene.
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