La conoscenza è una nuova formazione in sé conchiusa,
dotata di specifiche categorie e soggetta a proprie leggi (Georg
Simmel).
Se siete appassionati di storiografia, se siete interessati
ad approfondire temi complessi e controversi, e se siete interessati a farlo
con gli occhi di chi si è chiesto, agli albori della contemporaneità, in cosa
realmente consistesse il processo conoscitivo e di lì in che cosa consistesse
la storia, allora questo è un testo che non può mancare. Il saggio in questione
è I Problemi della filosofia della storia (titolo originale:Die
Probleme der Geschichtsphilosophie) di Georg Simmel, filosofo dell’epoca
Guglielmina, meglio ricordato come sociologo, riscoperto nella sua complessità
a partire dagli anni ottanta. La sua “filosofia della storia”, intesa
come riflessione epistemologica e non come telos, è stata
parimenti disvelata in quel periodo. Vittorio d’Anna ha tradotto dal tedesco il
volume alla sua terza edizione, quella del 1907, considerandola come la
realizzazione finale di quel processo in costante evoluzione che era il suo
pensiero.
Può sembrare pedante fare una precisazione del genere
rispetto alle edizioni, ma questo è in realtà uno dei nuclei fondamentali. Il
motivo è che Simmel, nella sua esorbitante produzione, si inserisce più o meno
in tutto il dibattito filosofico degli ultimi vent’anni dell’Ottocento e delle
prime due decadi del Novecento. Agli esordi è interessato ad inserire
le “scienze dello spirito” in una cornice scientifica, è teso
all’unificazione delle discipline su un unico terreno, adottando pertanto il
positivismo, almeno a livello metodologico. Del positivismo tuttavia
non accetta nessuna filosofia, nessun sistema; l’unico terreno di
unificazione è infatti quello atomico, che a livello di scienze umane si
traduce nell’importanza della psicologia come studio degli impulsi psichici. Il
retroterra di Simmel è tuttavia, e non poteva essere altrimenti in suolo
tedesco, quello kantiano, che egli traduce in maniera originale nel
ritrovamento a posteriori di quelle categorie che sono semplicemente contenuti
con una diversa funzione, e non degli insiemi necessari ed esterni di
organizzazione dell’esperienza. Ruolo preponderante aveva in quegli anni la sociologia,
come disciplina che ricercava le regolarità dell’interazione umana. Il problema
di conciliare l’originalità dell’esperienza umana con il concetto di legge e
l’emergere del tema del senso come fattore fondamentale nel processo di
comprensione, faranno uscire Simmel dall’orizzonte del positivismo. In questi
anni egli si pone a metà tra un positivismo di matrice anglosassone e francese
che fa derivare tutto dalle grandi strutture sovrapersonali, ed uno storicismo
tedesco, inteso come tradizione volta alla valorizzazione di ogni evento e del
peculiare contesto storico, che aborriva al contrario ogni concetto di società
come “deprivazione di spirito”.
Questo suo “porsi nel mezzo” è una caratteristica che si
ripropone quasi in tutto l’arco della sua produzione. Mamélet aveva messo
l’accento proprio sul relativismo come caratteristica principale del suo
pensiero; Raymond Aron, il primo a portare al di fuori della Germania la Geschichtsphilosophie di
Simmel esaminandola nella sua evoluzione, ha tuttavia messo in luce come non
sia il relativismo l’aspetto più originale del filosofo, bensì la sua teoria
della storia. Questa lo segue in tutte le sue evoluzioni, dall’atomismo alla
filosofia della vita, in presenza di concezioni del reale diverse, di modalità
di comprensione differenti o di obiettivi diversi. Si evince piano piano perché
questo saggio sia importante all’interno della sua produzione, come
testimonianza e riproposizione dei suoi interrogativi principali. Lungo questa
transizione il ruolo che ha questa terza edizione dei Problemi della
filosofia della storia, è innanzitutto un ruolo critico, motivo per il
quale la sua opera viene annoverata tra le opere dei neokantiani della fine
dell’Ottocento e di inizio Novecento. In quel periodo la filosofia tentava di riprendere
quel ruolo di guida rispetto alle scienze che la aveva caratterizzata nei
secoli precedenti e che aveva perduto con l’avvento dell’empirismo del crollo
dei sistemi metafisici. Negli ultimi trent’anni del XIX secolo si avverte
nuovamente un’esigenza ordinatrice e di controllo, alla quale prima il
positivismo cerca di dare risposta, seguito dalla proposta neokantiana tedesca.
Nel rifiuto sia della metafisica che del relativismo, questa cercava in Kant
quella determinazione concettuale che potesse fungere da guida per le
cosiddette scienze delle spirito, discipline secondo Dilthey poco avvezze alle
leggi causali, poiché concernenti il terreno dell’anima. Simmel si inserisce in
questo dibattito già dalla prima edizione dei Problemi della filosofia
della storia riconoscendo l’originalità dell’esperienza umana (Erlebnis),
riconoscimento che si traduce nell’impossibilità di trovare alcuna legge
causale in ambito storico.
Dalla seconda e nella terza edizione dei Problemi tuttavia
egli adotta una vera e propria, sebbene originale, critica kantiana che applica
alla riflessione sulla storia, collocandosi a pieno titolo nella corrente dello
storicismo tedesco contemporaneo. Quest’opera dunque si situa tra l’atomismo e
il positivismo metodologico degli inizi della sua carriera e la fase finale
metafisica il cui testo più importante, Intuizione della vita,
rappresenta anche un importante indizio metodologico. Naturalmente un tale
passaggio non era avvenuto in maniera automatica, ma sulla base delle novità
introdotte dalla Filosofia del denaro; testo importante da numerosi
punti di vista, ma fondamentale da quello gnoseologico poiché fondante il
valore, e quindi la categoria, sulle relazioni di scambio tra gli uomini. Lo
scambio produce uno strato nuovo che non appartiene più ai singoli ma che non
si colloca nemmeno in un altro mondo; esso è invece una sorta di seconda natura
immanente alla vita dell’uomo. Questo permette a Simmel di parlare di cultura
oggettiva e quindi di categorie.
Nel primo capitolo de I problemi della
filosofia della storia viene enunciato che il materiale storico
origina dall’insieme di pensieri, sentimenti e atti di volontà che
costituiscono la coscienza individuale, ovvero che è psicologico. Tuttavia
Simmel distingue tra psicologia e disciplina storica: la prima non preserva
l’originalità individuale e non presta attenzione al contenuto ma solo
all’a-contenutistico processo. Simmel accoglie la polemica anti-psicologistica
di Rickert che argomenta la possibilità di comprendere un fenomeno culturale
non sulla base di leggi generali, ma solo in riferimento al valore, che
permette allo storico di vedere nei dati empirici dei fenomeni significativi.
L’insieme delle relazioni conferisce significatività agli elementi semplici,
perciò la conoscenza dell’Erlebnis (esperienza) non può scaturire
dagli elementi semplici ma può solo essere colta dal punto di vista della
totalità. Ciò non si traduce tuttavia per Simmel in un’ottica
trascendentale; il valore si costituisce al contrario nel corpo storico stesso.
La determinazione del fatto storico si ha in virtù di una
sintesi di localizzazione (temporalità e spazialità) e di costruzione di
relazioni (atemporalità), una sorta di sintesi dialettica. Nella prima edizione
era stato annunciato da Simmel il carattere fittizio di ogni ricostruzione di
una personalità che operiamo a partire dai frammenti percettivi, per il quale
ogni unità appariva come mera costruzione. Tuttavia l’unità era anche il modo
in cui potevamo interpretare paradossalmente gli atti altrui; questo era
sostanzialmente il relativismo nella prima fase, questa sorta di circolo
infinito tra particolare e totale. L’unità poteva derivare solo dal
ritrovamento delle leggi interne, basate sulla nostra conoscenza dei meccanismi
psicologici. A partire dalla seconda edizione, cade la necessità ed emerge il
concetto di senso, di significazione. Questo sentimento di verosimiglianza
psicologica che può presentarsi anche dopo molteplici riflessioni, quando
giunge assume la caratteristica di validità obiettiva che giustifica una
determinata formazione psichica. A questo risultato non si giunge tramite “esperienze,
riflessioni, regolarità psicologiche, queste formano piuttosto solo un gradino
preliminare che offre solo una base di appoggio a quel sentimento immediatamente
convincente della verità della vita psichica” (p. 36).
La riproduzione interiore che legittima psicologicamente i
fatti esterni ha luogo all’interno di una categoria, a cui la teoria della
conoscenza non ha ancora prestato secondo Simmel sufficiente attenzione, la cui
regola è ancora sconosciuta, ma per la quale la nozione di senso, sembra essere
il punto chiave. Il tessuto storico stesso è pertanto formato da relazioni
significative:
“L’affinità di contenuto di processi che sono
tenuti insieme da una certa cornice esterna, le loro relazioni funzionali, la
possibilità di un loro ordinamento teleologico, – tutto ciò fa nascere la
proiezione di un’unità caratterizzata in un certo modo, che ormai decide da se
stessa se accogliere o respingere la pretesa di omogeneità avanzata da altri
momenti. La coesione psichica, il margine di deviazione, l’integrazione dei
vari momenti in un’immagine complessiva, insomma: tutto ciò che chiamiamo unità
della personalità – individuale o sociale – è evidentemente un presupposto
metodico senza il quale non si perverrebbe alla comprensibilità e unità dei
dati storici. E’ un apriori che rende possibile la storia”(p. 28).
In rapporto al senso anche il concetto di unità muta. Dalla
seconda edizione l’unità smette di essere funzionale e si rapporta al senso,
cioè quella la totalità ed originalità presenti sia nel soggetto che
nell’oggetto, che costituiscono la vera realtà causale dei processi psichici.
Se la comprensione riflette l’unità di senso del soggetto che esamina l’altra
totalità di senso dell’oggetto, ne risulta la parzialità delle diverse
ricostruzioni storiche, nelle quali un concetto ricavato dal senso viene scelto
come strumento di selezione. La storia si configura come ricostruzione di
un’unità intellegibile diversa rispetto all’essenza della realtà. Continuità
vitale in opposizione alla continuità intellegibile sarà un tema ricorrente
nell’ultima fase di Simmel. Qual è tuttavia il valore metodologico di questa
opposizione antinomica, partendo dal presupposto di questa opposizione tra
scienza e vita? “La teoria della conoscenza storica deve indagare i principi
secondo cui la storiografia qui inconsciamente procede” (p. 27), il compito
principale è di determinare le norme che noi eleviamo a “criteri della
tradizione e a veicoli dell’esposizione” (p. 26) sulla base dell’unitarietà
dei caratteri. La storia è organizzazione su un piano intellegibile di
contenuti, che sono espressione e riflesso della vita.
Il secondo capitolo si apre con il tema
delle leggi, e riguarda per Simmel soprattutto l’ideale di unità del sapere, di
uniformazione della pratica storica alle norme della conoscenza. Rispetto alle
leggi storiche è affermato il ruolo della filosofia prima e dopo la formulazione
di leggi, che inficia la possibilità stessa di una metodologia scientifica
nella conoscenza storica. Ai fini della comprensione, che è il vero obiettivo
della scienza storica, sono però necessarie leggi universali. Nella prima
edizione dei Problemi si parla di leggi come anticipazioni
metafisiche. Tale concetto viene ribadito nella seconda e nella terza edizione:
La riflessione metafisica estrapola un fenomeno che vede
ripetersi più volte, e ne fa la misura di tutte le cose. Poiché il suo
materiale sono i fenomeni più complessi, essa applica direttamente questa
misura ai rapporti complessi della realtà empirica. Per lo più essa si
accontenta dell’impressione generale prodotta su di noi dall’azione congiunta
dei fattori reali e che essa proietta su un accadere unitario fondamentale,
disdegnando, di regola, di scomporre quei fenomeni complessi nelle loro
componenti. La metafisica… [ha posto], con una sorta di rotazione di 180°,
dietro alla realtà, come suo fondamento assoluto, quella stessa distanza dalla
realtà che in effetti era connessa all’apparenza superficiale e alla prima
impressione soggettiva… Con ciò tuttavia essa ha raggiunto una prima
unificazione e un primo dominio spirituale dei fenomeni, che solo all’arroganza
empiristica può venire in mente di considerare senza valore in quanto è
solamente un inizio e non una fine (p. 89).
Espressione di un punto di vista e di un tentativo di
unificazione, la legge ha una validità relativa, non assoluta, la cui relativa
legittimità è resa possibile dalla nuova concezione di realtà umana individuata
nella moderna società industriale. L’interazione tra le serie, lo scambio, ha
prodotto delle obiettivazioni, delle forme che rappresentano delle sintesi
irriducibili ai singoli. Allo stesso modo l’insieme delle leggi storiche, cioè
dei punti vista che possono anche escludersi a vicenda, avrebbe il valore di
giungere ad una maggiore obiettività, ad un’unità sintetica che si pone come
via per l’Assoluto. Dalle conclusioni tratte a proposito del problema delle
leggi, dal relativismo intrinseco, nasce il problema dell’oggettività. Comune a
tutte le edizioni dei Problemi è l’inaccessibilità delle leggi
così come comune è la descrizione di queste come una visione artistica del
reale. La conclusione estetica è la medesima, pur tuttavia per ragioni diverse.
Nella prima edizione ad inficiare le leggi è la differenza tra scienze della
natura e scienze dello spirito, mentre nella terza la differenza è quella tra
storia e vita. Manca in ogni caso la corrispondenza tra conoscenza e oggetto
del conoscere.
Il tema critico viene introdotto da Simmel a partire dalla
seconda edizione dei Problemi con l’obiettivo di porsi contro
il realismo gnoseologico o storicismo; secondo Raymond Aron, il motivo per cui
lo fa, è che solo la critica poteva aspirare alla verità. La precondizione
della conoscenza storica in questa seconda fase diventa la mutata concezione di
individuo che emergeva dalle opere esaminate in precedenza, questo suo porsi
tra la vita e le forme, questo suo tendere all’assoluto sulla base di una
mancanza avvertita. Se idealità significa ricomposizione dei fenomeni sotto un
punto di vista unitario, l’unica disciplina che può fornire una comprensione
adeguata è l’arte, poiché in grado di cogliere quel nucleo essenziale che
sfugge invece alla psicologia. Attraverso l’idea che la forma artistica colga
il nucleo di senso della vita senza trasporla su un altro piano, Simmel si
lascia ispirare da Schopenhauer per affermare il carattere estetico della
storiografia.
Tuttavia Simmel per opporsi al realismo storico, non può
sviluppare la metafora artistica fino alle sue estreme conseguenze, pena
l’inficiare della scientificità della scienza storica. Per questo Simmel
ammette che se alla base delle ricerca c’è la sensibilità personale dell’interprete,
la scienza storica si articola lungo alcune categorie obiettive che sono quelle
forme di cognizione attraverso le quali arriviamo al senso e alla comprensione.
Troeltsch ha fornito una classificazione per la quale queste categorie sarebbero
di quattro tipi: selezione, individualità, totalità, significatività. Ciò che
risulta chiaro dall’enunciazione di queste categorie è che Simmel su base
kantiana voglia affermare che l’attività del conoscere è in ogni caso
l’attività del donare una forma a ciò che una forma non ha. Se gli apriori
nella prima fase erano dei contenuti psicologici, e come tali avevano causato
difficoltà tali per cui Simmel abbandona l’idea di trovare leggi nel senso
delle scienze naturali in campo spirituale, in questa seconda fase gli apriori
sono ideali, autonomi rispetto all’esperienza. Il problema non è più portare
alla luce le loro ultime condizioni reali ma scoprire la logica interna di
connessione che noi stessi poniamo. Affermare l’importanza dell’individuo nel
porre queste categorie rende chiaro il senso in cui Simmel riprenda Kant in
questa fase. Come Kant aveva liberato le scienze della natura dal realismo
gnoseologico, così Simmel rivendica il ruolo dell’individuo come legislatore
della storia nei confronti del realismo storico, in particolare dell’ideale
kantiano dell’oggettività storiografica. Tuttavia Simmel non accoglie
l’impostazione critica kantiana, le sue categorie sono forme di unione, sono
unità complesse che non appartengono però ad un piano trascendentale. Non è possibile
pertanto determinare un avvenimento storico su base oggettiva mediante
categorie universali e necessarie.
Se le categorie si pongono in un piano intermedio, al di
sotto e al di sopra e ad un altro livello rispetto alla storiografia, si
trovano gli interessi non teorici e quelli speculativi. I primi rappresentano
le nostre reazioni affettive, le quali fissano un’immagine teorica sulla base
di pregiudizi inconsci, e determinando il tono dell’immagine nel suo insieme, i
secondi intervengono per fornire compattezza a queste immagini. Il punto
fondamentale per Simmel è che quest’immagine è già in una certa misura
autonoma, ideale, in virtù proprio di quel tono dato dalle nostre reazioni
affettive che orientano l’indagine. Gli interessi speculativi elevano
l’interesse ad autonomia, fornendo la base per la metafisica della storia.
Simmel fornisce a proposito due esempi: il caso del
Progresso nella storia e quello del Materialismo storico, dove è
particolarmente interessante l’analisi del secondo. Simmel non vuole criticare
la dottrina marxista in sé, che vede anzi come paradigma importante per
interpretare le trasformazioni storiche, ma solo discutere i suoi principi
gnoseologici e psicologici. Marx sceglie come a priori ideale il fatto che
economia e valori ideali siano intrecciati tra loro; egli sostiene che se
questo intreccio di leggi fosse svelato in tutto il suo corso ne deriverebbe la
possibilità di ricavare dallo sviluppo dell’economia l’evolversi di tutti i
contenuti storici. Se il tentativo di Marx rappresenta l’importanza
dell’operare una scelta tra tutte quelle che potevano essere le motivazioni
ultime, e quindi uno strumento contro il realismo ingenuo, occorre tenere
presente che si tratta soltanto di un’ipotesi psicologica. L’errore del materialismo
è stato quello di voler riconoscere questa teoria non solo come fondamento
conoscitivo, ma anche come fondamento reale del mondo storico, dimenticando che
la realtà è costituita da relazioni infinite, in un “processo senza fine e
senza inizio per noi conoscibile” (p. 156). Egli avrebbe
confuso un principio euristico con un principio costitutivo, ovvero un
principio fisso in partenza e capace di sviluppare i fatti al proprio interno,
laddove invece per Simmel la causalità è inconoscibile.
Dal saggio I Problemi della filosofia della storia emerge
come la storia si distacchi nettamente dalla realtà o data. Tutto ciò non
significa rassegnazione; è proprio dalla distanza, che appartiene all’arte, che
risiede il diritto all’esistenza della storia. L’etichetta di “scetticismo”
viene fornita secondo Simmel solo da chi pretende che la storia coincida con la
verità, in questa prospettiva anche Kant poteva essere considerato uno
scettico. Secondo Simmel è il realismo ad imporre al conoscere un compito che
non può assolvere perché contraddice la sua essenza.
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