Si è sviluppato di recente, anche
nel web, un dibattito se il Lavoro sia un Diritto presidiato anche dalla nostra
Costituzione. O, se l’articolo che lo dispone, sia rimasto solo una foglia
<secca> su un ramo non più attuale.
Diritto si, diritto no?
Aiuta alla possibile risposta,
allora, chiedersi che cosa sia il <Lavoro> nelle nostre democrazie attuali.
Non si può non vedere, allora,
credo, che le nostre attuali democrazie, e la Società civile che ne discende,
siano figlie dirette del Lavoro.
Le nostre società attuali
risultano infatti tutte sorgere dalle Rivoluzioni borghesi di inizi 800.
Prima inglese, e poi Francese.
Anche se non proprio identiche. E la rivoluzione borghese, il cui nome viene
poi da <borgo>, dove erano situati i nuovi opifici manifatturieri e i
centri del commercio, era LAVORO.
Lavoro di chi lo offriva, e di
chi lo prestava in grandi numeri crescenti.
E questi nuovi ceti sociali
assieme, pur nelle grandi contraddizioni e sacrifici di tanti, aprirono la
porta al nuovo evo attuale.
Essi, vollero le Costituzioni, a
garanzia dei nuovi diritti e bisogni. Essi vollero le democrazie elettive, dove
la forza dei nuovi <cittadini pari> fosse capace, col voto, di arginare
il privilegio precedente della Rendita Parassitaria di pochi su tutti gli
altri.
La
loro leva di legittimità, di consenso, e di cambiamento, era appunto LAVORO.
Lavoro per tanti, e,
potenzialmente per tutti.
Ma il nuovo Lavoro non era di
Servi, di Schiavi. Era lavoro, in prospettiva pari, remunerato con un salario.
Ed
è a questo punto che lo Stato delle Caste, padrone incontrastato precedente, si
dissolve.
L’uomo che lavora, sia che lo
offra, sia che lo presti, è un uomo pari. Perché provvede ai propri bisogni, e
della sua famiglia eventuale, con il proprio personale lavoro ed i suoi leciti
redditi.
E assieme ad essi, la Donna
compare, e poi si afferma, anche essa cittadina pari. Perché anche Lei lavora.,
e dunque anche lei ha, adesso, un suo reddito personale.
E dunque, adesso, non è più
<obbligata> potenziale concubina domestica in casa, o passiva
<merce> di scambio di altri.
Ora, la Donna, ha anche essa
un suo REDDITO.
E grazie ad esso, potenzialmente,
finalmente parla, scrive, sceglie, pensa, anche pubblicamente.
Forse proprio la Donna svela sino
in fondo la potenzialità dirompente del Lavoro come leva dell’assetto sociale.
Una Predicazione Alta di due
millenni prima, la vedeva però ancora rimanere serva inerme in balia piena di
altri. Assieme ai suoi figli.
E adesso invece accade che il
LAVORO anche suo progressivamente la libera, la fa cittadina pari senza più
vincoli e lacci di Genere: grazie al suo Reddito personale da Lavoro.
La riprova appare venire, -
purtroppo – anche all’inverso.
Dove la Donna risulta anche oggi
espulsa, per le più varie inique ragioni, dal Lavoro personale, la condizione
della Donna pari arretra vistosamente. O, crolla. Come oggi anche da noi, dove
si espelle <intenzionalmente> la Donna dal lavoro riconducendola, nei
fatti, volente o nolente in casa dipendente di altri. Redditi. O a mera <
merce> impotente di commerci altrui.
Ed
allora, il Lavoro, è un diritto, o un vago simulacro ormai divenuto inerte?
Da
quello che abbiamo appena provato a vedere, in realtà appare che la nostra
attuale società democratica, non solo italiana, è LAVORO. O non è.
Perché è il Lavoro, in tutte le
sue forme, con i suoi leciti redditi personali, che apre la porta ad ogni altro
diritto reale. Personale e collettivo. E, ne legittima il contrappeso dei
Doveri. Anche essi Costituzionali. Ed è questo infatti che risulta il
<grande patto> tra pari e che fonda gli Stati democratici attuali.
Diritto o sperato, a questo punto
poco cambia.
Ma le attuali società
globalizzate non consentono il Lavoro, né come diritto, né come sperato…
Questa
appare la grande mistificazione di un Autoritario tentativo di Restaurazione
anche europea. Ed italiana in specie.
Nelle globalizzazioni, il proprio
lavoro nazionale si tutela, e si espande, alzando la fascia di prodotto nella Creatività e nell’Innovazione, nella Cultura e nella Qualità. Ed in quella
fascia, se ti affermi coerente, il competitore in valuta non è più un problema
di vita o di morte. Perché corri e speri su un piano diverso. Dove però il tuo
valore aggiunto della tua merce non è <l’euro> in meno di costo del
lavoratore dipendente. Ma il tuo sistema paese e l’immagine anche, del prodotto
che vende.
Ma se non lo vuoi fare, come
Paese, allora provi a vivere di rendita dell’immagine residuale che ancora
possiedi e che non curi. Allora, ti porti in casa il Terzo mondo, invece di
recare lavoro pari anche a casa loro, perché ti scardinino, pur
inconsapevolmente, le aspettative reddituali eque del tuo lavoro nazionale.
Essi infatti, gli altri, nel
legittimo desiderio di evolvere al meglio, prendono volentieri retribuzioni
mediocri, qui, apparentemente.
Ma a casa loro quel salario
mensile, che non fa più vivere l’italiano e l’italiana ed i loro figli, ogni
volta si moltiplica in una piccola fortuna valutaria.
Ecco perché vengono e si
sacrificano in tanti, in ogni epoca e tempo, dove li retribuisca un valore
tanto più grande del proprio denaro natio.
Come sa bene chi scrive, nipote
di un nonno materno emigrato per 15 anni in Usa a inizi 900; e con ritorni solo
ogni 5 anni. Ma le sue rimesse valutarie in dollari salvarono dalla fame del
borgo italiano in miseria la mia mamma, e concessero anche il possesso di
qualche nuovo apprezzabile bene materiale alla famiglia. Mia madre, novantenne,
taceva ancora attenta quando la tv dava i cambi dollaro lira… la sua
sopravvivenza di bimba italiana.
Si può comprendere se
personalmente non sia dunque partecipe, ed anche credo capace d’intendere, il
sogno di chi speri lontano da casa, soffrendo e risparmiando su tutto.
E dunque annoto sereno anche quel
che segue.
Risulta infatti che in questi
tempi italiani, mischiando doveri morali reali o presunti di tanti con la
RENDITA cattiva di pochi, puoi arrivare ad avere, come fosse normale, una
Italia con oltre 7 milioni di immigrati, a fronte di oltre 5 milioni italiani
inoccupati.
E
non credo occorra un matematico per constatare che 7 - 5 = 2 milioni di ancora
possibile spazio d’immigrazione a
Zero disoccupazione nazionale.
Si cacciano, allora? Giammai,
sono esseri umani come noi e assai anche italiani nei loro figli e figlie tanti
di essi. Ma, magari, intanto ci si ferma di accogliere altri ancora, se il
tuo paese non mangia.
Perché le lacrime degli uni e le
lacrime degli altri - e per i propri figli affamati - risulta abbiano lo stesso valore dinanzi al Creatore.
E
tuttavia, invece, appare farsi finta, a destra ed a manca, che tutto sia
normale. E vada anche bene.
Poi,
ti salta il pil, ti scappa via lo spread qualunque tassa nuova metti. E ti
meravigli pure , dando l’unica
colpa al destino cinico e baro. SENZA AMMETTERE MAI CHE E’ DEL TUTTO NORMALE
CHE ACCADA IN UNA NAZIONE RESA intenzionalmente SENZA LAVORO.
Ma se non cambi come nazione, ed
anche in fretta, può anche sfuggirti di mano la Democrazia e lo Stato moderno
che reca. E che non possono convivere a lungo
con la Miseria di massa. Essendo sorti, l’una e l’altro, proprio per
sconfiggerla.
Col
LAVORO tendenzialmente per tutti.
Diritto
o sperato, poi poco cambia.
E, si può restituire occupazione
per tutti tendenziale e pure con più eque retribuzioni, anche senza aumentare
il Debito Pubblico, e già oggi in questa nostra nazione?
Ritengo personalmente proprio
di si. Ma anche questa, appare, una eventuale nuova riflessione.
staffa
Nessun commento:
Posta un commento