I 4 nostri in consesso (Rajoy, Hollande, Monti e Merkel) provano a fare quadrato intorno l'Europa, litigando se la soluzione possa essere trovata attraverso la tirannia della maggioranza dei Paesi verso una Germania (non una Merkel, ripetiamolo) che domanda più unione politica, fiscale ed economica. L'impressione è che la Germania sia solitaria in questa fuga in avanti, ovvero senza almeno l'Olanda, l'Austria e la Repubblica Ceca (ed aggiungerei anche la Slovenia) come invece credo che sia. E senza quei Paesi che non sono entrati nella moneta unica (ad esempio la Svezia) ma che sono nell'Europa a 27 e che si avvantaggiano molto dall'euro, poichè le transazioni economiche e commerciali extra-nazionali vengono effettuate in euro e non nella divisa nazionale, drenando parecchia valuta pesante (almeno finora) con la quale acquistano sul mercato globale la materia prima. E' di questo che abbiamo invidia, ovvero del fatto che la Svezia commercializzi nel mondo in euro ma localmente traffichi con la corona svedese che è emessa dalla banca centrale svedese. Ma non tutti possiamo fare gli svedesi, come non tutti potevamo fare gli americani quando la valuta di fiducia era il dollaro, anche quando uscì dalla convertibilità in oro nel 1971.
Quindi, il nostro Berlusconi, che si improvvisa alla metafisica per ritornare alla leadership dei moderati, sa di spararla grossa quando dichiara che se così stanno le cose potrebbe anche solo la Germania uscire dall'euro. Molto meglio sarebbe lasciare l'euro solo alla Germania, replicando quello che per 50 anni è accaduto con il dollaro USA. Ma questa sarebbe coazione a ripetere. E non è filosofia, ma patologia.
La Merkel, invece, non ha usato mezze parole: signori, dare soldi alle banche per evitare il loro fallimento viola i trattati europei, e che se si vogliono i denari dei tedeschi bisogna render conto di come questi denari verranno spesi. E quello che dice ricorda molto bene qual è la regola d'oro: e cioè che la regola la fa chi ha l'oro. Fisica, non metafisica da filosofi da semaforo.
Invece, mi appare sempre più chiaro che non si tratta di maggiori cessioni di sovranità all'Europa (o meglio alla Germania) come qualcuno auspica anche a ragione, nè di cominciare ad emanciparsi dagli USA e dalla NATO (che ricordiamolo, ha visto negli ultimi anni la Germania sempre piuttosto defilata nell'appoggio alle soluzioni di politica estera che erano dettate oltreoceano) in favore di un'Europa finalmente adulta e che siede ai tavoli internazionali con voce unica.
Il fatto è che le politiche di concentrazione hanno fallito e stanno finendo di fallire. E noi insieme con esse. Questo è certo!
Le concentrazioni economiche, parallele a quelle finanziarie, hanno finito per catturare anche i sistemi politici e rappresentativi. Gli Stati sono oggi in mano a pochi burocrati e managers (ignoranti di Schumpeter che aveva ben profetizzato già prima della II guerra mondiale) che dimostrano tutta la inadeguatezza nell'affrontare le questioni che nel frattempo gli sfuggono di mano. Certo, lo scenario internazionale ci vede competere con economie sostenute direttamente dagli Stati, e come Obama a voluto ribadire al G20 non saranno le politiche protezionistiche tanto in auge a salvare le nostre economie. Cosa, però, dovremmo fare non lo dice. Forse perchè lo sta già facendo, ed è segreto di stato.
Voglio innanzitutto precisare che c'è bisogno di uno Stato forte e centralizzato che blocchi e smantelli i monopoli economici e finanziari, le oligarchie locali e le organizzazioni criminali, che tuteli e garantisca le libertà di fede e di parola, lo scambio ed il movimento delle persone, la libertà d'impresa e di espressione politica e sociale, e che difenda il suolo patrio dalle possibili aggressioni militari e oggi anche finanziarie. Come è altresì necessario uno Stato centrale e forte che tuteli tutti quelli assetti economici vitali per una nazione, ovvero l'acqua il territorio l'energia i beni culturali e ambientali, dagli assalti delle èlite globali nazionali e locali. Ma questi poteri devono trovare un limite derivante dalla realtà specifica dei territori, quindi nella diffusione, nel decentramento e nella devoluzione dei poteri. La politica delle 3D.
Lasciare alle comunità locali la governance dei propri territori può innescare la proliferazione di modelli di equilibro diversificati ma integrati. Ogni macro area potrà implementare le politiche che meglio corrispondono alle esigenze del territorio di riferimento, e sperimentare se queste politiche funzionano o non funzionano.
Specifichiamo, non stiamo dicendo di moltiplicare i centri decisionali come è stato fatto finora, in maniera scellerata, in Italia, con il colmo dei trasferimenti "clientelari" di alcuni ministeri in "padania". No. Stiamo invece sostenendo che il direttore generale di una USL non debba essere nominato dalla Regione e dall'assessore regionale alla materia, ma essere eletto democraticamente dall'elettorato di riferimento di quel territorio, e ogni candidato deve presentare un suo piano sanitario e di tutela della salute nel territorio. Questo solo per fare un esempio. Ma altrettanti se ne potrebbero fare nei trasporti o in altri settori di interesse pubblico e collettivo.
Quindi, invece che le Provincie, io smantellerei le Regioni, le quali con la riforma del titolo V della Costituzione nel 2001 e le successive modificazioni intervenute non han fatto altro che moltiplicare i centri di potere generando un caos legislativo senza pari.
Quello che ci può far uscire da questa crisi è maggiore democrazia, ma non di apparati rappresentativi (lascerei solo le elezioni del Parlamento nazionale e quelle delle municipalità). Un Parlamento costituito da esponenti eletti in collegi provinciali con regole di rappresentanza proporzionale è più che sufficiente per fissare regole e leggi cui un intero territorio nazionale deve corrispondere per conservare la sua integrità. A livello locale devono conservarsi le elezioni dei Comuni con le regole attuali con funzioni di governo amministrativo delle comunità locali, e a livello provinciale le elezioni delle massime cariche ai servizi di interesse collettivo ma locale (trasporti provinciali, sanità pubblica del territorio, sviluppo economico e finanziario del territorio, energia, ecc) con regola sempre a doppio turno. Eletti che naturalmente devono attenersi alle leggi unicamente emanate dallo Stato (il piano sanitario nazionale, il diritto alla mobilità garantito, lo sviluppo e l'equilibrio economico fra i territori, gli obiettivi energetici, la politica di tutela ambientale e delle risorse idriche, ecc).
Questi eletti verrebbero quindi a configurarsi come veri e propri amministratori a tempo delle realtà di interesse pubblico, chiedono ai cittadini il consenso su un preciso impegno alla implementazione delle politiche stabilite dalla Stato centrale. Insomma, per dirla all'inglese, alla Stato resta la definizione delle policy, ed alle comunità locali la definizione delle politics. Saranno gli stessi cittadini, poi, a decidere se l'amministratore (delegato) eletto al governo delle politics della salute pubblica che ha proposto e sulle quali ha ricevuto il consenso abbia o non abbia operato bene, se si sentono più curati o meno curati, se sono costretti ad emigrare per curarsi o possono trovare ragione nel proprio territorio per la tutela della propria salute, o se invece questo amministratore ha solo occupato la posizione di direttore generale della sanità pubblica provinciale per "regalare" posti di lavoro clientelari (e qui si apre anche la questione del licenziamento dei dipendenti pubblici, cosa possibile dal 1993 ma mai veramente attuata, neanche per motivi disciplinari).
I budget devono essere costruiti non unicamente sulla capacità contributiva e fiscale dei territori (poichè è di integrità che necessitiamo), ma anche da fondi di destinazione specifica delle risorse nazionali verso precisi obiettivi di integrazione nazionale. Se un territorio presenta pochi ospedali o minori apparecchiature di screening sanitario, e non ha i fondi sufficienti per acquistarli, è evidente che ci deve essere un sostegno affinchè si raggiunga un equilibrio integrativo fra i territori. E rendendo conto di come questi denari nazionali sono spesi!
Pensateci bene: questo è l'assetto istituzionale della nostra Costituzione, quello della Germania, e quello che nei padri fondatori dell'Europa ad essa si voleva dare. La storia, negli ultimi 30 anni, invece, è stata scritta da altre mani, e non da quelle dei popoli.
Credo che solo un maggiore coinvolgimento di responsabilità da parte dei cittadini e delle comunità locali possano veramente metterci nelle condizioni di non trovarci più in queste situazioni penose in cui versiamo. Sarà il sistema decentrato più efficiente di quello attuale centralizzato (o multicentralizzato)? Se l'efficienza è un sinonimo di tirannia di poteri che stanno divenendo sempre più impersonali ed inafferrabili da parte dei cittadini, generando queste spinte nazionalistiche e renvasciste (anche quelle che si riferiscono alle realtà territoriali minime che hanno visto anche l'Italia protagonista infelice), allora è meglio l'inefficienza... dei popoli.
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