giovedì 9 gennaio 2014

Il senso della storia e la funzione delle èlites intellettuali. Territorio, Identità e Lavoro: La Murgia dei due Mari - di Leonardo Tinelli




SEGUIRE LO SVILUPPO DI OGNI QUESTIONE, 

cari soci e cari amici, per come dentro e fuori l’associazione culturale “Vittorio Tinelli” il “male di vivere” perseguita, è il minimo che si chiede a chi resta suo malgrado, e siamo noi tutti, dotato di sensibilità e capacità di intelletto.


Il nostro “male di vivere” è, ben differentemente dalla rappresentazione letteraria, la nostra stessa sopravvivenza oggi, il fatto che le generazioni non si riconoscono negli antichi e negli appena passati. Tutti o quasi, in grado di ostentare la propria assoluta unicità, motivo dell’intraprendere strade senza meta o di raggiunge nuove mete senza percorrenza alcuna. Per via del fatto che stare qui o andarsene, da luogo in luogo, in Europa, è la stessa musica. La stessa strada che chiude, per come non sbocca più nel campo, (nell’origine “indeterminata”) ogni ritorno!!! E se uno è costretto a non ritornare, a cancellare ogni suo passo, (ricordiamo le orme cancellate di Valeria Cuda) a chi può chiedere compagnia?
Lingua, operatività, comunità scomparse!!! Soppresse! Abolite!!! Abbandonate senza che le si riponesse, almeno, tra i rifiuti speciali del nostro incredibilmente incongruo modo di vivere!!! Con qualcuno, disperato, sfiancato del tutto e senza più fiato, a cercare la propria via, come se fosse quella che solo lui può intravedere e percorrere!!! Quando invece le strade, tutte le strade non fanno che riportare al campo anche quando per velocità chiedono che ci possa essere ancora una aggiunta ulteriore davanti che solo velocità conferma. Ovvero, ancora il tempo alla ricerca di una sua conferma assoluta, che invece è solo una questione di… precedenza. Pre-cedenza che annuncia il dono e lo trattiene iniquamente. Costituendo la trappola del prima che ogni dopo ha già fatto suo, scivolando e direttamente sulla propria natura, come se fosse… nulla!

Se, dunque, lingua, operatività, comunità sono scomparse e anche dentro l’associazione rischiano l’oscuramento, che si saranno detti mai i sindaci della “Murgia dei due Mari” e l’assessore Barbanente la sera del 16 dicembre a Martina Franca?

Intanto il brand (!!!???) “Murgia dei due mari” vince. Avranno sicuramente inteso, insieme a noi, come di una area omogenea tra Ostuni e Castellana Grotte si tratta. Ma ricordata l’omogeneità questa non ha suggerito/supportato nessuna specificazione! Anzi ha solo evidenziato l’allontanarsi da ogni “materia comune” dell’area, da parte di ogni sindaco!!!

Noci ha le masserie in numero di 800 e vanno sostenute con i capannoni per le paglie; Ceglie Messapica ha una legislazione urbanistica del ’68 e preme per una sua adeguazione agli standard edificatori degli altri comuni; Cisternino ha la new age turistica, poche mucche e qualche gallina, e sceglie l’edificazione con le piscine (gli inglesi le chiedono e, intanto i cittadini protestano per la via dei colli asfaltata) mentre il sindaco di Ostuni riscontra che in Inghilterra pure lontano dal mare, al nord o al sud dell’isola, piscine niente; Alberobello se la prende con la CULTURA, forse ricordando passate esperienze, e decreta che cultura vada riconosciuta, si capisce poco intorno a che cosa; Castellana, prima di prendere la “strada del ritorno”… a casa,  allarga alla libertà della relazione tra concessioni edilizie, regolamenti comunali e formule di regimentazione regionali, il proprio modo di intendere luogo e insediamento; atteggiamento che ha visto protagonista e supremo  competente della sostituibilità adattiva (minimo abitativo per un trullo 32 MQ, regolamento di amplificazione obbligatorio!!! Anche se resta un… regolamento che a rigore concede (rebbe) e limita nello stesso tempo) il sindaco di Martina Franca; Locorotondo esercita ottime formule di sussiegoso deferente saluto; lo storico di “Umanesimo della Pietra”, decretando che Murgia dei Trulli ha valore scientifico (?) ricorda che il passaggio al mare dell’Università di Martina, già prima delle buone intenzioni del sindaco di Ostuni a concederlo, era concreto fino alla costa e sulla torre di S. Leonardo (Pilone) e poco altro, come qualche cenno sull’acqua, e quasi nulla sulla tenuta pratica di una area omogenea nella quale anche per pochissimo ci si deve riconoscere, al di là del contingente turistico o nella drammatica disarticolazione della nostra operatività produttiva dove se importiamo turisti che lasciano reddito, ben maggiore risulta l’esposizione della nostra ricchezza ad importare merci e beni da altrove!!!

Cosa ancora a proposito nel Convegno “Paesaggi e Territori” del 16 dicembre a Martina? Elogi ai tecnici dei Comuni che stanno lavorando insieme per i regolamenti edilizi. Limiti della Regione, con la Barbanente, alla edificabilità nel campo, e finalmente un dato decisivo intorno al rapporto tra ager e silva! e insediamento. “La Puglia ha la minore superficie boscata di tutta Italia” dunque, “muretto a secco rispettato”, “asfalto nuovo adottato”. Ovvero la politica dello scambio al più basso livello possibile, ma innovativamente giustificata.

Lo scambio maggiore per tutti risulterà così quello intorno al turismo, per il quale ogni terra si venderà come meglio può. E la sofferta condizione della Regione alla ricerca di una politica comune già disegna il proprio fallimento quando del dato eloquentissimo del fare sapendo, del rapporto tra competenza e lavoro, tra cultura e trasformazione, e pure tra Kultur e Civilization, non si scorge traccia!!! E nessuna definibilità della comunità che crea, sostiene e adatta in una “economia allocativa” queste decisive forme della nostra civiltà, viene intrapresa e neppure appare concepibile che proprio su queste grandiose competenze, fino ad oggi, la nostra comunità ha dovuto appoggiarsi e vivere!!! E non varrà a scatenare disappunto e retoriche della non valorizzazione ed efficacia del mercato, il fatto che “l’olio toscano spunti prezzi al doppio e oltre, dell’ottimo olio delle nostre colline”. Carissima Barbanente. Non sarà possibile migliorare la vendibilità del nostro olio senza confermare la sua peculiare forma di produzione, valorizzazione e consumo che qui da noi si è socialmente determinata da secoli, mediante 70 testature di qualità. Altrimenti il… Mediterraneo, vedi i grandi depositi di olio a Monopoli, si prenderà la briga di scompaginare la stessa nostra tradizione produttiva!!!

La retorica dei campanili superata dall’assoluta mancanza di ogni caratterizzazione unitaria è la nuova retorica in uso. Compreso ogni uso di antiretoriche. La conferma drammatica di essere sempre più periferia la Puglia, di un centro che non è mai riconoscibile/riscontrabile. Se non nelle forme di una autorefenzialità della politica che trascende se stessa e pertanto ogni sua riconoscibilità pubblica, ogni suo valore. Ovvero sarà mai possibile che la piccola produzione zootecnica di Cisternino possa essere riconosciuta al di là del mangiarvi capuzzedde? E cosa si deve ritenere di questa caratterizzazione economica da parte delle terre vicine se non una altissima considerazione? A Cisternino si mangiano capuzzedde e si suda senza odori cattivi. Si mangiano cose che non impegnano gli organi del corpo ad un continuo strenuo adattamento… Ovvero l’acqua per lavarsi può essere risparmiata!!! E disporre dell’acqua piovana potabilizzata per ogni casa costituisce la prima grande vicinanza agli elementi distribuita che ci sia!!! Ovvero oltre alla Kultur che fa comunità e sapienza l’elemento decisivo che intorno alla politica lascia intendere l’economico in quanto tale!!! (E questo vale per tutte le piccole produzioni locali dei paesi della “Murgia dei due Mari”. Come mai non se ne produce marketing?)

L’acquedotto, e ogni rete, al contrario… perde sempre e ci immette in circuiti finanziari che con l’acqua e il suo uso non hanno in comune altro che non sia un controllo privato interessato!!! Eppure la rete e l’acqua sarebbero beni pubblici indivisibili.

Fatti questi rilievi, resta la questione di come intendere la sostanziale autonomizzazione di ogni nuovo campanile. Dove gli atti separativi che accompagnano l’egemonia del fatto tecnico produttivo non smettono di essere richiamati, nonostante tutto, all’unità del loro possibile e necessario considerarsi insieme.

E dove questo stare assieme di senso ed elemento, ad es. acqua terra e cielo, è eloquentissimo, ma condannato a restare confinato sullo sfondo senza utilità alcuna, perfino come elemento che riconduce al pensiero e alla sua  confermatissima  evidenza. E una semplice percorrenza della strada che da Noci va per Alberobello, Locorotondo, Cisternino, Martina, Ostuni, dimostrerà come la bellezza dei luoghi ne sia la prima natura. L’evidenza unitaria che non può essere separata, ma che solo il pensare lascia intera!!!
Ovvero, e per converso oppositivo, per come il produrre moderno possa avvicinare il senso e la disposizione degli elementi, questi non potranno in nessun caso essere stati manchevoli della disponibilità a fornire la materia insieme, (fino al mondo medesimo) sulla quale si deve ritenere di aver già esercitato il principio di unità che il pensiero esercita.

E che esercita prima di ogni cultura, e di ogni sapere, che se da un lato è ciò che mettiamo, adeguatamente, a sostegno dell’aprirsi contraddittorio di ciò che chiamiamo natura, dall’altro è ciò che è diventato modello, formula esercitata per convenienza, ma senza natura e senza mondo!!! Paradossale prassi senza senso che determinatamente esclude di interrogarsi sulla propria efficacia in ordine a quanto il mondo inevitabilmente apra ulteriormente al senso. Ma ancora di più motivo di una sostanziale ripetizione e uniformità di atteggiamento che sono pure in grado di annullare ogni differenza i nostri paesi potessero mai evidenziare.

Diventa, da qui, possibile ritenere, che il documento ufficiale di orientamento, del Consorzio di Comuni  della Murgia dei due Mari, contenga in grandissima prevalenza atti di uniformizzazione e standardizzazione e sostituibilità alternativa, che per nulla continuano ad interrogare natura. Intanto che si creda poter partire dai consolidati culturali validi solo se confermati dalle innovazioni tecniche, e anche quando, queste, riprese dal passato (solo pietra e niente cemento per le migliorie e gli ampliamenti viene proposto da tanti) escludono e non attualizzano efficacemente quel legame tra senso ed elemento che proprio a quella tecnica edificatoria, come a tutte quelle che la hanno seguita, ha fornito indiretta legittimità, contribuendo paradossalmente anche chi si riferisce all’antico, a rompere completamente ogni legame tra senso ed elemento e ad impedire ogni ragione storica.

Da qui due questioni aperte decisive. Il senso della storia e la funzione delle èlites intellettuali.

Mentre si mette a tema l’unitarietà della terra, della… “nostra” terra, questa è già sottratta al senso, se una caratterizzazione storica richiama. Fosse pure quella che evidenzia la funzione politica della Regione quale concentratore e sintesi delle richieste che il Sud esercita verso lo Stato. È evidente come, appena questa disposizione viene attivata, si oscurano le funzioni produttive che non richiedono questi interventi. Funzioni produttive che vengono schiacciate nella marginalità e considerate superate decretando l’imperio di un qualche giudizio storico del tutto arbitrario. O la assoluta inutilità di impiego della storia tutta!!!

Ma una terra senza storia è meno peggio di una terra senza mondo. Dove, dunque, gli elementi sono richiamati alla relazione unitaria del loro permanere insieme alla funzione unitaria del pensare, lì il senso della storia rinasce. E la micidiale velocità che accompagna questi oscuramenti e queste rinascite è lo stesso motivo della estrema difficoltà di assegnare un tempo unitario alla stessa unitarietà di luogo che pure affermiamo. Ci si vede costretti, allora, non solo a considerare le terre di Puglia come terre di conquista, di considerarle Sud, luogo della distanza disperdente, ma di constatare come ciò che evidenzia una piena contraddittorietà allo stare (elemento decisivo di ogni civiltà che possa produrre cultura senza contraddizione) ovvero l’attraversabilità, sia la cifra storica che la contraddistingue seppure contraddicendola in quanto entità territoriale definita. Restando pure evidente come se storia è necessariamente confini, questi nel nostro Sud, restano paradossalmente mobili.

Dalle coste agli Appennini, invariante geografica decisiva, da una parte, sulle coste, ci sarà la difesa e la distribuzione, dall’altra, sulle colline e sui monti, ci sarà produzione e tesaurizzazione. E la identificazione della ricchezza, nel suo richiedere protezione non mancherà di concorrere allo spostamento della linea di confine unendo e separando ancora di più il colle alla riva. (Per difendersi bisognerà abbandonare la battigia, per tesaurizzare si resterà costretti a nascondersi sulle alture) Così come la povertà regolerà gli spostamenti interni delle popolazioni sulle stesse linee di confine diventate linee di relazione, dove alla funzione concentrazionaria del produrre, (paese, casa e masseria) rimarrà il compito della attrazione delle forze del lavoro e la ragione della loro divisione/utilizzazione.
Ma ove pure questa ragione storica risultasse coerente, e potesse avere conferma scientifica, cosa già di per sé quasi impossibile (ovvero smuovere i consolidati scientifici è per la stessa scienza una contraddizione in termini) una sua utilizzazione politica sarebbe impossibile, a meno che la cosiddetta “storia locale” non finisca di rappresentare il senso storico per intero di una area unitariamente intesa per la stessa epoca. Ulteriore e definitivo ostacolo ad ogni uso della ragione storica a sostenere le forme di uso di una politica adeguata pure alla piccola area della “Murgia dei due Mari”.

Drammaticamente, dunque, nei nostri territori, una qualche specifica funzione delle èlites intellettuali, resta legata ad un sapere pratico, storico o tecnico che sia, per nulla espressione di una qualche potenzialità della politica, anche quando riconosce lo spirito delle comunità, e comunque incapace di richiamare quel senso della trasformazione del mondo che è in grado di affrontare l’avventura del proprio rinnovamento, messo come deve essere colui che trasforma e non per produrre, di fronte all’incondizionato, al pericolo e alla diretta implicazione con tutte le cose!!! (Si consideri solo la difficoltà del grande storico del Mediterraneo e dell’Europa Giuseppe Galasso a rendere efficaci in politica le ragioni storiche).
Così cultura diventa ostaggio della politica, suo malgrado e per via della stessa “povertà della politica”.

Rompere lo schema, il modello appunto, della produttività della cultura nella sede dove questa è imprigionata significa, allora, contro le stesse qualità delle èlites intellettuali nostre, liberare il pensare dal sapere, e pensare ciò che tiene sostanzialmente insieme tutti gli opposti: l’incondizionato. E in questo aprire ogni tratto del nostro fare a quel di più che l’intuire evidenzia.

Mettere a fondamento della ragione politica attuale e inattualissima  della “Murgia dei due Mari” questa dinamica di pensiero che apre la cultura alla sua stessa legittimazione maggiore sarà la continua considerazione insieme che potrà tenere unita la nostra terra.
Una terra senza storia e senza politica non è mai stata, né potrà mai restare senza pensiero e senza mondo.

La potabilizzazione di tutte le acque dei pozzi della “Murgia dei due Mari” costituisce la nuova vicinanza al cielo e allo stesso “tempo comune” per tutti noi. Di fatto universalizza i nostri atteggiamenti e riconosce le altrui comunità per le stesse ragioni. Avvicina tutti agli elementi, dunque diffonde la possibilità di aprirne il segreto e di conservarlo nel mondo trasformato fino ad ogni esito della trasformazione, evitando ogni scarto, mutandolo in una ragione economica decisiva per come è di nuovo, come gli stessi elementi, acquisizione e distribuzione insieme. Divenendo, questa ricchezza riconosciuta, la disponibilità di “tutta” l’acqua trattenuta, il tema stesso della sovranità e della qualità della politica.

Questo atteggiamento deve affermarsi anche nei confronti di quanto tra la scienza e la nostra terra configuri un sapere consapevole intorno alle operatività umane che spinge al raggiungimento di nuove conoscenze. Dove le scuole tutte dovranno dimostrare la loro efficacia nel sapere riconoscere le teorie nelle opere di trasformazione e in queste conferma e sviluppo delle conoscenze. E sostenere, le scuole tutte, dalla qualità dei sistemi educativi, quella dei pubblici servizi, fino alla stessa nuova cognizione di mercato e consumo, di produzione e lavoro.

A queste evidenti necessità di rinnovamento, dove solo il tema del mercato e del consumo ad esempio meriterebbe analisi  complesse, l’atteggiamento da suggerire è quello che riconduce mercato e consumo dentro la salute e nella riconoscibilità della ricchezza. Dove la ricchezza non sarà tradotta in una misura, ma dovrà essere riconosciuta nella salute individuale e sociale!!! E così la scuola sarà efficiente quando, non solo integrerà teoria e operatività, ma soprattutto quando rifletterà la efficacia di tutti i servizi pubblici, accogliendo ogni difficoltà, modificando e migliorando, e riconsegnando alla vita attiva persone seguite nel loro inoltrarsi nel mondo. E così via. Questo il nuovo compito delle èlites sociali che la politica dovrà esaltare, per come ogni mestiere e ogni professione debba riconoscere l’intero ancora da acquisire sul quale, comunque, fonda la propria legittimazione e cerca la propria verità

Queste disposizioni si concretizzano nel proposito di identificare la ricchezza della nostra terra nella sua natura ancora da esplorare attraverso sistemi di indagine scientifica in grado di interrogarla senza mediazione alcuna. Grandi laboratori di osservazione e analisi in grado di specificare le qualità del nostro produrre che poggiano sulla nostra terra; grandi studi che mettano in evidenza sovranità e movimenti di confini e popolazioni, costituiranno le fonti a conferma delle essenziali tracce delle nostre comunità che ancora si conservano e le necessarie misuratissime innovazioni condivise, saranno le disposizioni a fornire nuova legittimità alla politica; il bene comune condiviso che consente la condivisione di ogni cosa!
Ma certamente il nuovo incontro tra gli uomini che si eserciterà varrà alla condizione che il dire sia salvo nella pensabilità che rifiuta il falso. La diffusione della “poesia pensiero” e la riduzione di ogni mediazione comunicazionale che poggia sul paradosso dell’assente e della spia che scopre ciò che è già, ne sarà la condizione di passaggio necessaria.
La prova della nostra riuscita, cari soci e cari amici, sarà, ovvero, è già, in quanto di unitario si riesce a dire e a sentire, ulteriormente, ancora oggi. Fino alla stessa sospensione della poesia, divenuta, suo malgrado, nonostante la nostra manifestazione “solo POESIA POETI tutti” il simulacro di ogni differenziazione immaginata, a conferma di quanto il senso resti sospeso, quando il mondo scompaia. Fino a che senso ricompaia nella forma della pensabilità, che “lo tiene nel palmo della sua mano”.
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IL 21 DICEMBRE DEL 2013 IL PARLAMENTO HA APPROVATO LA COSTITUZIONE DELLE CITTÀ METROPOLITANE. Esempio da non seguire per la “Murgia dei due Mari”; dove l’autonomizzarsi della politica moltiplica la spesa pubblica e svende la ricchezza dei luoghi. Una conferma nelle pagine che seguono.

Il caso delle Città Metropolitane, nate intorno alla complessità di relazioni che le strutture concentrazionarie territoriali, urbane e rurali, gestiscono, in una condizione di continuo deficit di servizi, e di produttività generale, illustra più di ogni altra circostanza, come le modificazioni istituzionali siano diventate, sia nel loro confermare astrattamente lo Stato, sia nella loro realizzazione concreta, un ostaggio della politica.

Gianvito Mastroleo, sul “Corriere del Mezzogiorno” del 19 dicembre, ricorda come l’allargamento del numero delle Città Metropolitane da istituire (da 10 a 18) rischia di portare l’argomento dello “svuota province” alle stesse Città metropolitane. Che la loro istituzione originaria riferita alle funzioni metropolitane di Roma, Milano, Torino, Napoli e Palermo, sia stata allargata a Bari per l’interesse che aveva l’allora sindaco socialista di Bari, De Lucia, ad attrarre investimenti nella città, contando sull’allora Ministro socialista per le aree urbane Carmelo Conte, e come per le altre città del primo allargamento si possa ritenere che ci si sia impegnati su dinamiche similari.
E ancora più simili, appaiono oggi a Mastroleo, le ragioni dell’ultimo allargamento per Bergamo, Brescia, Cagliari, Catania, Messina, Reggio Calabria e Salerno, e pure bipartisan tra governo e opposizione, tra destra e sinistra, se i vari emendamenti presentati eludono il tema del continuum territoriale come elemento decisivo della loro possibile elezione, piuttosto che a creare per il Sindaco di Salerno De Luca, al termine del suo secondo mandato un continuum  da Presidente della Città metropolitana,  impossibilitato dalla legge a candidarsi sindaco per il terzo mandato. E che anche per gli altri casi si possa pensare la stessa dinamica di continuità di esercizio del potere politico, del tutto lontana da ogni reale cognizione delle difficoltà da superare, troverebbe solo la necessità di un riscontro fattuale minimo.

La mancanza dei requisiti di base per essere introdotti nel novero delle Città Metropolitane e la esigenza di richiamare investimenti dall’esterno per sostenere difficoltà e problematicità individuate, si deve ritenere, del tutto arbitrariamente, mancando la stessa cognizione di Città Metropolitana, e la sua stessa identificabilità, come una cessione di sovranità da parte del Comune in cambio della gestione di investimenti esterni, ritenendo che la ricerca di investimenti sia quanto di decisivo riguardi la propria ricchezza, e il proprio sviluppo, in funzione dei quali la politica si arroga il diritto della distribuzione dei nuovi investimenti quale motivo diretto della propria affermazione e della propria permanenza al governo della città.

Mentre la distanza tra coloro che se ne avvantaggerebbero e che sosterranno necessariamente questo inqualificato esercizio della politica, e la reale difficoltà di gestire le metropoli, aumenterà senza limitazione alcuna.
Per coerenza, invece, ad una concentrazione abitativa il Comune dovrebbe rispondere, impedendo la accentrazione di possessi terrieri nelle periferie e favorendo il ripartirsi della proprietà dei suoli a partire dal loro uso.

Un orto in città, allora, non sarà da lottizzare, ma da conservare e proteggere per come ricrea l’aria e il cibo per tutti salubre!!! Anzi, al degrado inevitabile delle abitazioni, va opposta la apertura di nuovi orti!!!

Questa, infatti, è la ricchezza distribuibile e riconoscibile. Ma se l’orto diventa supponentemente, nientemeno che la natura o il monopolio dell’acqua e dei concimi, allora non ci sarà per noi che il futuro dell’assente e della spia, le qualità imprevedibili, ma inique, della nuova politica, che dell’assentarsi e dello spiare fa nuova forma di conflitto sociale controllato, nelle nuove espressioni della comunicazione di massa.

Tutto questo vale per la “Murgia dei due Mari”.
Rinnegare o limitare la “vocazione agro-silvo-pastolare” dell’area sarà come richiedere di fatto investimenti esterni, che arbitrariamente saranno distribuiti. Conservarla impossibile, se non la si intende come la nostra stessa ulteriore necessità di vita e conoscenza aperta.
Modificare il nostro personale atteggiamento a proposito, come pure intorno ad ogni altra espressione culturale e produttiva, il nuovo dovere della politica, e quello di ognuno, la nostra più antica e… prossima ricchezza!!!
D’altro canto, la concentrazionarietà  urbana dell’abitare non è altro che una estrema disponibilità di consumatori, lavoratori, fruitori di servizi, con le dimore vuote!!! Pronte ad accogliere cibo cucinato altrove, e corpi stanchi di altro luogo sofferto, dove l’isolamento si deve riempire con le dinamiche dell’assenza confermata che sono le comunicazioni tecnologiche a distanza. E dove proprio questa comunicazione dall’assenza estende caratteristicamente l’urbanità concentrazionaria fino alla collina isolata e spoglia sulla Murgia. Dove e non sarà un paradosso, la connessione non è possibile! E dove nessuno sa che cosa farsene del connettere sistemi artificiali, dato che ogni cosa, proprio dove sembra che non ci sia nulla, si connette da sé manifestandosi.

È evidente, quindi come la casa e le sue attività, (produzione, trasformazione, divisione, conservazione, del cibo; voce, parola, considerazione, scambio, reciprocità, cura  delle umane sensibilità e attitudini, risolvano tutte, ma proprio tutte le incidentalità che le Città Metropolitane credono di avviare a soluzione. Fare in modo che le concentrazionarietà urbane siano la ragione di uno scambio almeno pari all’intensità delle frequentazioni di piazza, via e pianerottolo, piuttosto che l’isolamento, risolverà, se ne può essere certi, tutte le problematiche attinenti le Città Metropolitane, compreso quella del risparmio di risorse, che potranno essere direttamente utilizzate per grandi apparati di ricerca e studio sempre più necessari e urgenti.

Questa comunicazione viene inviata ai soci, a coloro che in qualche modo sono a noi vicini e corrispondono, ai Sindaci della “Murgia dei due Mari”, al Presidente della Regione Vendola e all’Assessore Barbanente Angela, in modo che si possa avviare un percorso di ricognizione culturale, di pensiero e pratica della ricchezza che tiene insieme le nostre comunità.

Associazione culturale “Vittorio Tinelli – Parole e cose nuove” Noci


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