lunedì 24 settembre 2012

LA CRISI DELLA GRANDE INDUSTRIA E' LA CRISI FINANZIARIA FISCALE E GIURIDICA DEGLI STATI

Ci appare sempre più chiaro che il debito pubblico è il risultato del sostegno al saggio di profitto della grande industria (GI) e della grande finanza (GF) (ambiti oggi indissolubilmente legati e frammisti ed in fase di espansione come metodi e logiche anche nella media industria!). GI e GF oggi sono settori tutti privati e senza concorrenza statale alcuna, come invece ne avevamo in Italia prima che l'ondata retorica liberista (ed affatto liberale) ne veicolasse l'ideologia che il privato è meglio. 
Questi grandi settori produttivi e finanziari domandano appunto agli Stati i denari della collettività per conservare attività produttive in un determinato Paese oppure trasferirsi là dove vengano garantiti incentivi e finanziamenti pubblici. Questo è sempre accaduto (la Fiat ha sempre effettuato investimenti e nuovi insediamenti produttivi solo se adeguatamente sostenuti dallo Stato italiano!). Oggi più che mai è chiaro che le multinazionali e la grande industria e finanza hanno esistenza solo ed unicamente se sostenute dagli Stati. Alla faccia del liberismo e dell'iniziativa privata!




Questo è vero non solo per le attività industriali e finanziarie occidentali, ma anche per quelle dei cosiddetti Paesi emergenti: la Cina sostiene abbondantemente, sia direttamente dal punto di vista finanziario che attraverso i massicci investimenti infrastrutturali ed immobiliari, tutto il suo assetto produttivo. Le azioni di dumping (di concorrenza sleale) dei produttori cinesi, oltretutto molto durature nel tempo, sono possibili solo se massicciamente finanziate direttamente dallo Stato cinese. 
Se la grande industria reclama oggi in Italia che il costo dell'energia pagato è superiore agli altri Paesi anche solo europei, sta soltanto dicendo che non basta quello che le famiglie italiane pagano già oggi come sovraprezzo sulla bolletta energetica per sostenere il minor costo energetico pagato dalle industrie, ma che vogliono tanto quanto viene fatto, per esempio, in Francia dove l'energia costa meno non perchè proviene dalle centrali nucleari ma perchè sottopagata perchè sostenuta dalla contribuzione della collettività, ovvero dallo Stato. La Francia vende energia alle proprie industrie sotto costo. Lo stesso fa la Cina, che ha intensificato le estrazione di carbone (che riversa in dumping nei Paesi occidentali mettendo in crisi la nostra industria estrattiva) e produce energia a costo finanziato direttamente dalle casse statali cinesi. 
Questa è la realtà dei fatti. Ovvero il saggio di profitto della grande industria privata è sostenuto, OVUNQUE, dagli Stati. Un esempio ne è il costo dell'energia, che vede gli Stati farsela pagare sotto costo dalle grandi attività industriali, se non impegnarsi direttamente nella ricerca delle fonti fossili da sfruttare (vedasi le più grandi compagnie petrolifere e minerarie cinesi o russe).

Affianco a questo aspetto, legato al costo dell'energia (e che la dice lunga sul fatto che l'Europa e l'Italia devono subito approcciare una politica industriale che passi in primo luogo attraverso la politica energetica, e che non è trivellare un po' quà ed un po' là come vorrebbe Passera per un aumento del glorioso PIL dello 0,5%), vi è quello del costo del lavoro. In Italia esso è fra i più alti d'Europa, oltre che del mondo. Non è comunque il più alto, poichè in Svezia, ad esempio, lo è molto di più. Ma se a questo costo del lavoro non corrispondono pari servizi alle imprese ed ai cittadini è chiaro che esso viene a rappresentarsi nelle inefficienze che determinano sul piano della concorrenza sleale che nel mercato globale viene  così a crearsi. Se confrontiamo, poi, quanta tassazione è applicata alle attività realmente produttive e distributive di ricchezza nei territori rispetto invece a tutte quella attività che "predano" risorse ai territori, è ancor più chiara l'ingiustizia che le imprese italiane devono soffrire. Nell'attuale costo del lavoro ci sono tutti i privilegi di coloro che godono di sostegno finanziario da parte dello Stato per le loro attività produttive, a differenza di altre attività non hanno privilegi alcuni. Privilegi che sono goduti dalla GI e dalla GF, settori legati a doppio filo e che così possono fare economia di scala, cosa che la piccola e media impresa industriale ed artigiana non può fare, anzi è fagocitata (in azione di ridimensionamento del mercato produttivo) dalla finanza dalle banche e dalla grande industria per la quale spesso lavora come terzista, invece di emanciparsi da questa. Si vedano quante piccole e medie imprese adesso, con questa furibonda crisi di liquidità monetaria e la stretta fiscale dell'attuale governo Monti, sono costrette a cedere il controllo, sì! il controllo, e la gestione delle loro aziende di una vita di lavoro alle banche. La devastazione dei territori sarà il diretto e principale effetto di questa gestione finanziaria delle PMI, dato che le banche non sanno cosa significa essere imprenditori ed effettuare investimenti (cosa, peraltro non molto diffusa anche nel tessuto imprenditoriale italiano, che è culturalmente ancora immaturo e storicamente adolescente). Se non ci credete, domandatelo a Schumpeter. E così scopriremo che altro che vittoria del capitalismo... ciò che ha vinto è stato il socialismo reale... finanziario.
Quindi, il costo del lavoro per le imprese che lavorano totalmente sul territorio e che qui ne depositano le ricchezze (sotto forma di occupazioni, tasse versate per i servizi pubblici, indotti produttivi, ecc) non possono sopportare i costi del lavoro di quelle imprese (la cui stragrande maggioranza sono grandi e medio-grandi) che hanno conservato in Italia solo le attività impiegatizie, trasferendo all'estero quelle manifatturiere, impoverendo di pratiche e abilità operative il territorio. Non tutte le imprese sono uguali nei comportamenti. E quindi non tutti devono dover sopportare gli stessi costi sociali del lavoro se non traggono tutti gli stessi vantaggi dalla globalizzazione. Ci sono Paesi che impongono, per accedere a forme si sostegno pubblico, che non solo i materiali utilizzati nella produzione dei beni ma anche le lavorazioni vengano effettuate nei Paesi finanziatori. Per esempio in Canada!

Infine, l'altra voce che spesso viene lamentata è quella del costo burocratico del fare impresa ed industria oggi in Italia. Quando si dice di questo costo quello che si sta veramente dicendo non riguarda la mole di documentazione che gli uffici pubblici devono produrre o richiedere (cosa che in un battibaleno si potrebbe ovviare con la messa in rete delle informazioni burocratiche fra gli uffici amministrativi), ma si sta di fatto parlando della tutela del lavoratore e della sicurezza interna alle attività produttive ed ambientale. Se sul piano della sicurezza personale e collettiva dei luoghi di lavoro qualche passo avanti si è fatto (seppur i morti sul lavoro restano ancora da bollettino di guerra, come quelli dei morti sulla strada!), poco o niente si è fatto e si vuol fare sulla sicurezza ambientale. Se la sicurezza personale dei lavoratori prevede conseguenze giuridiche di carattere penale, lo stesso non è per la sicurezza ambientale o per lo meno è più difficile la dimostrazione sul piano procedurale. 
Per fare un esempio, la normativa sulla questione della produzione dei rifiuti e del trattamento di essi nelle forme che adesso sono implementate (dai termovalorizzatori alle discariche abusive ed agli sversamenti illeciti) è molto insufficiente. Si è provato a darne una svolta, almeno amministrativa, con l'istituzione del Sistri... ma la cosa è stata subito prima ridimensionata, e poi annullata.  La tecnologia per il trattamento degli scarti industriali esiste già e potrebbe in molti casi trovare applicazione nelle attività produttive, sia internamente che nel trattamento presso aziende di smaltimento riciclo e recupero. Ma nè lo Stato nè i gruppi finanziari sostengono adeguatamente questo tipo di investimenti per la sicurezza ambientale. Anche se la disciplina giuridica italiana è fra le più austere in materia di smaltimento dei rifiuti, è indubbio che è pratica diffusa da parte della PMI quanto della grande industria l'ovviare a questi costi facendoli pagare alla collettività in termini di inquinamento e di salubrità dei territori, dato che le morti che se ne determinano avvengono nel tempo e con una relazione causale di difficile e costosa determinazione. Questo pone più di qualche problema di carattere giuridico e civile. Se è vero che nel mercato produttivo globale il diritto alla tutela della salute e dell'ambiente non è così stringente come in Italia se non affatto esistente, è anche vero che non è possibile doversi confrontare nel mercato con produzioni che non devono sostenere dei costi adeguati come invece debbono farlo le imprese italiane che vogliono agire nelle regole. Anche per questo costo cosiddetto burocratico, quello che l'Europa (o l'Italia se volesse emanciparsi da un'Europa ormai nelle mani di personalità labili e disturbate) dovrebbe fare è cominciare a inglobare nelle politiche daziarie e antidumping verso i Paesi concorrenti tutti i diritti umani e civili esistenti nelle merci importate, almeno in termini di reciprocità legislativa e pratica. E' di oggi notizia di quanto accaduto in una delle molti industrie della Foxconn, riportata dal corriere online qui. Ebbene, il caso della Foxconn, società famosa per l'alto tasso di suicidi fra gli occupati, non è isolato. Molte altre attività produttive, ad esempio legate alla produzione di silicio e celle fotovoltaiche (le quali abbisognano per la produzione di impiegare gas tossici e acidi velenosissimi, e che quindi producono scarti e rifiuti molto inquinanti) hanno determinato la sollevazione popolare delle cittadine e dei territori dove sorgono. Naturalmente le rivolte sono state sedate violentemente dallo Stato di polizia cinese che oltre che dare denari garantisce in ogni modo anche l'ordine pubblico. 
Se le imprese italiane, tutte coloro che provano ogni giorno a stare nei territori in armonia con le genti e la natura devono doversi confrontare con tutte quelle aziende, connazionali ed internazionali, che godono di privilegi che esse non hanno, si viene a determinare una concorrenza sleale che non può vedere lo Stato italiano indifferente. Oggi, come l'altro ieri, lo Stato italiano ha impiegato denari pubblici per sostenere attività produttive che non riescono in nessuna parte del mondo ad essere economicamente vantaggiose senza lauti contributi di sostegno ai costi. E lo ha fatto in maniera inefficiente inadeguata e meramente autoriferita dal punto di vista politico-consensuale. Creando oggi la difettosità democratica che si vorrebbe indicare come causa nel Movimento % Stelle ed in Grillo quando questi ne sono sono gli effetti di questa crisi di cittadinanza democratica, semmai.

Per concludere, nonostante 30 anni di propaganda liberista e 20 di intensa pratica di questa ideologia, quello che è accaduto è l'esatto contrario: gli Stati si sono enormemente rafforzati in vista del sostegno esclusivo a precise politiche favorevoli a pochi. Le multinazionali e la grande industria esistono solo se lautamente finanziate dagli Stati e se sostenute da adeguate e precise produzioni legislative che impongono vincoli normativi verso alcuni, vedasi per esempio le chiacchiere sull'igiene alimentare e la concentrazione della distribuzione dei prodotti alimentari nelle mani della grande distribuzione organizzata, il cui unico risultato è stato la massiccia produzione di rifiuti da imballo, ovvero energia sprecata due volte la prima nella produzione e la seconda nei termovalorizzatori con conseguente inquinamento atmosferico, e come secondo effetto la dequalificazione e la sottoproletarizzazione delle occupazioni in essa impiegate, sia direttamente che nell'indotto, a discapito della qualità dei prodotti che comunque sono profumatamente pagati rispetto a quello che pagheremmo in filiera corta rivolgendoci direttamente dal produttore. 

Il discorso sarebbe ancora più ampio ed articolato, ma quello che s'intendeva qui scrivere è che solo la piccola e media impresa artigiana e industriale potrà farci seriamente uscire da questa crisi occupazione. Ma questa impresa ha bisogno di uno Stato e di organismi sindacali di categoria (oltre che di proposte politiche pertinenti) che sostengano questo indirizzo. E questo lo diciamo perchè, come evidenziato in questo post, appare esserci una forte relazione fra debito pubblico (ed in alcuni Paesi parallelo debito privato delle famiglie) e concentrazione produttive e finanziarie. 
Si voglia rivedere l'immagine qui sotto




Invece le colazioni si fanno con Marchionne... non con Pietrino che ha ipotecato la casa per continuare a lavorare e pagare gli stipendi agli occupati della sua azienda! Paradossi e certezze attuali.

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