“La
recessione è grave, la domanda è bassa, il quadro macroeconomico è molto
brutto”. Questa è la valutazione della ministra del Lavoro Elsa Fornero,
secondo la quale “è difficile che si creino nuovi posti di lavoro” in questa
fase. L’obiettivo del governo è quello di creare le condizioni, ha
aggiunto Fornero,
affinché quando “le condizioni miglioreranno” la riforma del mercato del lavoro
sia una “opportunità” affinché le imprese possano assumere “di più e con
contratti migliori”
Disse Elsa
Fornero oggi a Bruxelles alla conferenza “Jobs for
Europe“, riprendendo gli interventi di apertura tra i quali quello del
presidente della Commissione Ue, José Barroso, il quale
aveva segnalato gli enormi ed ancora largamente inespressi danni sociali
causati dal fenomeno (ormai comune ad entrambe le sponde dell’Atlantico) della crescente
disoccupazione di lungo periodo, una piaga che noi italiani
abbiamo conosciuto ai tempi del pansindacalismo ubiquo e totalizzante e che
oggi si ripresenta malgrado la storica sconfitta della sindacalizzazione.
L’analisi
della Fornero è corretta, almeno nel senso che riconosce che le riforme di
struttura servono solo a creare crescita potenziale, ma la
crescita effettiva è altra cosa e al momento non c’è.
Segnaliamo con soddisfazione finalmente arrivando ad un mainstream che ha smesso di sostenere che le
riforme in quanto tali producano crescita. Anche perché,
vista durata e profondità della recessione, solo un idiota in malafede potrebbe
continuare a sostenere quella tesi. I guai vengono quando la Fornero passa ad
altri enunciati di principio, quelli che dovrebbero essere prescrittivi:
«In questo momento di recessione –
ha detto il ministro parlando con i giornalisti – serve, come detto anche dagli
altri relatori, che ci sia uno spostamento dell’enfasi dalle politiche di
stabilizzazione finanziaria a politiche macroeconomiche a sostegno
dell’economia reale, che vuol dire occupazione, produzione e reddito per le famiglie»
Ottimo, e
quindi? Stiamo parlando di sostegno alla domanda, forse? In forma di aumento di investimenti pubblici?
Riduzione del costo del lavoro, stimoli ai consumi? O che altro? E l’intervento
va fatto a livello di singolo paese (in crisi fiscale nerissima, quindi per
definizione impossibilitato a fare alcunché) o di Eurozona o magari planetario,
giusto per sognare? Come si “crea” crescita, soprattutto dopo che è
appena scoppiata una bolla di debito (soprattutto privato) di proporzioni
apocalittiche, ed altre non meno devastanti (Cina, Australia, Norvegia, Canada)
rischiano di scoppiare nei prossimi mesi?
Fornero si
rende conto che, senza giungere ad argomentare sui massimi sistemi, non siamo neppure in grado di ridurre il cuneo fiscale per tentare di salvare centinaia
di migliaia di posti? La verità
è che siamo in balia degli eventi, l’inerzia del sistema è enorme e solo il
tempo potrà curare queste lesioni strutturali, a patto di non fare errori
marchiani e a patto che la popolazione, piegata da crollo di reddito ed
esplosione della disoccupazione, non dichiari di averne le tasche piene di
convegni, programmi, auspici e ditini levati, e non passi a forme di
assertività piuttosto problematiche per la convivenza civile. Tutto il resto
sono chiacchiere. E finché potremo permetterci di riempire le giornate
ascoltando quelle, significa che la situazione non è ancora tragica.
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