C’ERA UNA VOLTA IL
RICETTARIO BIANCO
Un po’ di
romanticismo e un po’ di sarcasmo sul modo di ricettare nel tempo.
Sì, c’era una volta il ricettario bianco e il medico che prescriveva nel candore d’ un ricettario
bianco, profumato di appena stampato con le proprie referenze in tipografia. E
profumava come profuma il pane appena sfornato dal fornaio. Il ricettario
bianco, luogo, unico per tutta la genìa dei seguaci degni o meno d’Esculapio, il ricettario bianco
dove avveniva la sintesi scritta del pensato, riflettuto, ragionato, ruminato,
a volte,della sua scienza nei confrontidel
problema (malattia) e del malato (oggesù, diciamo persona). E, alla fin
fine, spesso con dovizie di particolari, anche pedanti talora, ma perché tutti
potessero capire ed applicare, si stilava il rimedio; fosse questo un
medicinale o una prescrizione di igiene di vita, o quant’altro, allora, a torto
o a ragione, sembrava potesse lenire il
male. Il ricettario bianco che quelli come me, oggi almeno alla soglia dei
sessanta, ricordano come un fugace ultimo assaggio d’una medicina che ormai è
forse troppo lontana nel tempo. Come forse lo ricorda anche il vecchio
farmacista la cui grande abilità era allora consistente in due cose: preparare
per bene prodotti galenici e soprattutto interpretare con quasi certezza talune
calligrafie non proprio virtuose. Ma, allora, noi medici eravamo più pochi, e i
farmaci , di meno ancora. E le ricette, le bianche ricette erano lungi
dall’essere così tante da auto svalutarsi, come fa un paese in default che
stampa cartamoneta a iosa senza alle sue spalle la riserva aurea che glielo
consenta. No, il ricettario bianco, per tanto tempo è stato un documento
“sacrale” e un po’ la carta d’identità del medico.
Poi, piano piano, intorno alla fine degli anni sessanta,
quel ricettario bianco ha cominciato ad ospitare prescrizioni un po’ più
sciatte, più routinarie, di comodo e di mestiere. Ha seguito un po’ il segno
dei tempi e della politica del paese, populista e scialacquona anziché no, del
troppo, o tutto a tutti e anche di più. D’altra parte era il boom economico
della cinquecento a tutti, magari a rate. E della Fulvia e altro solo sempre
per pochi.
E allora, anche il ricettario bianco, in quest’atmosfera di
benessere per tutti, nei tempi delle casse mutue ad accaparrarsi, noi medici,
più visite notulate e più clienti, il nostro nobile ricettario bianco ha
cominciato ad ospitare Citrosodine elargite dallo Stato come fossero il
concorrente più agguerrito del ben noto Citrato Brioschi o lo sciroppo per la tosse, a farne
bottiglioni da riserva d’annata, consumato a mo’ di liquoretto fatto in casa da
accompagnare al dessert.
Un po’ d’anni di queste situazioni e… ohibò, qualcuno colà
dove si puote (ma non sempre si vuole) si pose il problema dell’eccessiva spesa
sanitaria. Parliamo sempre e soltanto di farmaceutica, intesa come spesa,
addebitata sempre solo e soltanto a quelli che intanto, erano diventati, con la
riforma sanitaria, i medici di base. Questo strabismo storico, lo premetto
subito, per noi medici di base è il problema. Ma non è il Problema. E’ che l’occhio
strabico, quello storto dei due, negli anni, è finito sempre per rivolgersi
soprattutto a noi, terminali, effettori, spesso non tutelati, se non
addirittura indifesi, d’un sistema complessivo che si è andato viepiù deteriorando a monte. Ma a monte, l’occhio
dritto, quello buono pare essere stato sempre più mansueto nelle decisioni,
talora solo semiaperto o quasi cieco..Perché? E il perché si divide in tanti
perché. Come le possibili risposte.
Una è che con noi i conti di cassa sono facili come
quelli della massaia, specie adesso che solo noi, sempre solo noi,
siamo l’unica categoria praticamente costretta alla totale informatizzazione,
per cui ogni fiato di dato di spesa viene registrato, vagliato, giudicato e
anche passibile di provvedimenti “ad personam”. Un’altra , colpa nostra, è che,
da cervelli in assoluta autogestione e libertà, talora male compresa e male
usata, la nostra unità sindacale è molto
più aleatoria che in altre categorie della stessa nostra professione. E poi una
terza, che sembra come un’ aria che si respira dovunque in questa nostra Italia
sempre più malandata e che suona come le ormai profetiche parole di
gattopardiana memoria: che di legislatura in legislatura, di governo in governo
ogni pinco pallino di turno, anche quello con le migliori intenzioni, finisce
per provare a cambiare tutto per non
cambiare niente.
E, tornando a bombetta – per carità rispetto a tante altre
drammatiche precarietà di noi italiani, mi vergognerei a dire che le nostre
questioni di categoria siano essenziali, ma se servono a far luce, spero, su
metodi impropri di legiferare, forse tassellano prese di coscienza più
generali. Dicevo,tornando a bombetta, il nostro candore prescrittivo,
selvaggio? soltanto libero?, non lo so, so solo che nel corso degli anni è
stato sempre di più incasellato in schemi ,obblighi burocratici, talora di pertinenze
strettamente da commercialista. E questo non con la cadenza fisiologica della
naturale evoluzione legislativa., no, a ritmo di corsa, una rincorsa a
perdifiato, coi tempi dettati dal ministero della salute e con norme che si sovrappongono e spesso si contrastano
con i decreti regionali che arrivano con cadenza non dico settimanale, ma sicuramente mensile o,
tutt’ al più trimestrale.
E dopo questa
rincorsa, se ti fermi un’ attimo alla fine d’una serata del tuo normale
ambulatorio a riflettere, ti viene proditoria, cioè ti colpisce quasi alle
spalle una domanda: “ma quanto tempo ho perso, hanno rubato alla mia professione,
mettendo esenzioni e riempiendo caselle, modificando il computer, chiedendo
lumi al server del mio programma, che è grande, grandissimo amico, talora
impareggiabile negli aggiornamenti, ma non ce la fa neppure lui a seguire
questa logorrea legislativa sulla sanità.
E poi un pensiero appena più nobile. Ma perché dire
nobile,direi di doveroso inevaso:. ma in questo gioco alla slot machine della ricetta burocraticamente
perfetta, quanto tempo e possibilità di ascolto e visita avrò tolto al mio amico
e , in fin dei conti datore di vero lavoro, paziente malato?
Io dal 1981 ho cambiato quattro tipi di ricettario nel corso
della mia professione. E ventine di modi di compilare una ricetta.
Adesso arriva il decreto 11 bis della “spending rewiew”. Che
rispetto socraticamente come ogni legge del mio Stato..Anche la massaia forse
capisce che a cordoni stretti di
borsa il sistema sanitario nazionale
farà l’ennesimo buco nell’acqua, ridurrà l’appetibilità delle imprese farmaceutiche
griffate almeno a tenere vivo il mercato
italiano del farmaco, ridurrà quelle poche imprese farmaceutiche italiane che
investono nella ricerca, costringerà a comunicazioni non esattamente persuasive
noi medici a cambiare nome di farmaco ai nostri pazienti, col disagio loro
dell’apprendistato e neppure la nostra sincera sicurezza che stiamo facendo la
cosa giusta (con la legislazione italiana sui generici molto permissiva, fosse
tutto veramente non uguale , ma almeno veramente equivalente.). E, in ultimo,
consentitemelo, si sarà contenti di aver fatto, di quell’occhio strabico, un
occhio vendicativo e vendicatore.
Perché noi medici di famiglia, passate generazioni ormai,
pure sembra si abbia da pagare, un
peccato originale.
Per quelli nei posti molto in alto dove,evidentemente, albergano
perseveranti i luoghi comuni, noi medici di famiglia continuiamo ad essere sempre dei maledetti comparaggioni e “citrosodinari”
Certo, non ci possono ghigliottinare, questo no. Ma
torturarci, sì. In modo lento lento, ogni giorno, col microtomo.
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