mercoledì 1 agosto 2012

l'agricoltore e i predoni


foto di Guy Le Querrec
vorrei oggi provare a condividere quanto mi capitò di leggere, ormai alcuni anni fa, credo che fosse il 2008, di Francesco Alberoni, nella sua rubrica allora sul Corriere della Sera. E che a me, colpì molto. Non solo per il suo contenuto e maniera di esprimersi propria dell’autore, che reputo una delle <intelligenze> italiane, tra le tante. Una delle nostre numerosissime <miniere a cielo aperto> nazionali della Cultura e dell’Intelligenza, appunto.
Ma soprattutto, perché, almeno nelle mie riflessioni che suscitava, mi portò a riflettere come tantissimi di noi, ed io per primo di certo, spesso cadiamo nella erronea convinzione che quanto ci accade, e ci sta accadendo, sia un fatto <epocale>. Un fatto, ed un accadimento mai avvenuto prima, e che ci vede dunque ogni volta impreparati, del tutto sorpresi, che stia accadendo, e anche come risolverlo e affrontarlo.


In effetti, come ci porterà forse a riflettere anche il prosieguo, nelle nostre vite individuali, e collettive, risulta accadere ben poco che non si sia già manifestato, proposto, ed affrontato, anche da esperienze umane del passato e più o meno remoto.
Poiché, gira e gira, pare che rimane una nostra fragile convinzione, alimentata peraltro soprattutto da chi ha molti interessi a farlo, che la vicenda umana si <srotoli> come un tappeto coerente. Dove il presente, sia un incessante <colpo di teatro> mai prima accaduto. E, che incalzati da questo <nuovo> incessante, ci si ritrovi, così, a dover <inventare> ogni volta soluzioni e risposte, e letture, interamente nuove. E mai viste prima, appunto.

Personalmente, riterrei, piuttosto, che la nostra vicenda umana appaia invece prevalentemente un incessante <girotondo>, sia nell’evo presente, come anche in evi che ci hanno di certo preceduto e, che spero, seguiranno.
L’essere umano, appare molto coerente invero, indipendentemente dal suo Genere ed Età, nel suo percorso d’esistenza sulla Terra e anche nel tempo.

Mutano le forme tecniche di queste nostre esistenze. Indubbiamente. Ma questo ci conduce anche alla <illusione>, nell’ascendere delle forme tecniche di cui ci dotiamo, come se la nostra esistenza di Specie fosse anche essa ascendente incessante. E, quindi, solo fonte di sorprese, e fatti mai accaduti né pensati con cui doversi confrontare.

Temo, che non sia così.

Temo, che l’Uomo romano - o Donna, beninteso anche se non ripetuto in prosieguo, intendendo così solo indicare Uomo come Specie - ma anche l’Uomo che uscì dalle glaciazioni persino, avessero dinanzi a sé più o meno incessanti esperienze di vita e d’esistenza; e che ogni volta affrontava, e risolveva, ma come se fosse la prima volta. Sempre.

Dunque, Alberoni, e di un suo pensiero del quale avevo premesso, e promesso, di voler parlare assieme.

Dunque, il suo  < l’agricoltore e i predoni >,

che racconterò, per così dire “a braccio”; convinto di non tradirne poi il senso anche se non riprodotto qui letteralmente come testo.

L’autore, in un più ampio contesto, giungeva ad esporre, come ricorrenti, nella vicenda umana e nel tempo, due forme di agire umano  incessantemente interferenti, tra di loro.

L’una, l’agricoltore, raccontava all’incirca l’autore, ha la <passione> di rendere vivibile la terra in cui si trovi; qualunque terra, in qualunque luogo, per l’agricoltore diviene così come la <sua terra promessa>. L’agricoltore, la dissoda, la rende verde e fertile, la rende accogliente anche alle sue maniere sobrie di abitarvi, per sé e per i propri figli.

L’agricoltore fa questo, anche se si trova dotato  con un solo suo piccone e pala; lo fa col suo sudore e la sua fatica grata.
Perché sente quello come un suo destino naturale.

E, in quelle sue terre rese così  dolci e grate, e produttive di risorse di cui vivere con essa, ama vivere di una vita sobria, assieme alla propria famiglia, ai propri figli e figlie, ai propri affetti. E sentirsene appagato.

Ma è proprio su di queste terre, che si volge, e da sempre, l’attenzione dei Predoni.

I predoni, da sempre, non dissodano, non coltivano, non producono ricchezze. Essi, vivono, infatti, solo <predando> le ricchezze prodotte dalla fatica e dal sudore - e accantonate per il loro stesso futuro e dei figli - da altri: dall’agricoltore, appunto.

Ed è sulle terre degli agricoltori, dunque,  sui loro beni, sul loro modo di vivere civile, e sobrio, che si avventano i Predoni. Da sempre.

Essi, i predoni, razziano, distruggono, uccidono, rubano le ricchezze prodotte dal lavoro di altri.
E, quando poi se ne vanno coi frutti del loro feroce saccheggio, si lasciano alle spalle solo deserto di quella terra già prima così fertile e serena, solo rovine fumanti, paura e dolore di altri.

Ma, rivelava sempre l’autore del testo citato,

l’agricoltore, ogni volta, e senza perdersi mai di forza e coraggio, di nuovo, appena partiti i predoni, si arma ancora anche di sola pala e vanga. Ritorna alla sua terra tanto amata appena sfigurata da altri, e la dissoda di nuovo, la rigenera, e la rende di nuovo accogliente e prospera. Con la sua sola fatica. Per sé, e per chi ama gli sia accanto….

Ci dice niente questa idea di grandi <vocazioni> entro le nostre società umane, ed anche sul nostro attuale presente?
Ci dice niente anche di noi tutti e nel nostro stesso presente?

Se ci muoviamo a leggere anche il presente, con coordinate anche antiche ma sempre risultate attuali, allora, sia nelle nostre immediate adiacenze, come nella globalità del mondo presente e attuale, non faticheremo, credo, poi tanto a riconoscere, e riconoscersi anche noi stessi, nell’Agricoltore e i suoi cari. O, nei Predoni di sempre.

E molto, di tutto l’attuale presente, ci apparirà forse, adesso, anche molto più chiaro.

Avendo la precauzione accessoria, nostra di tutti eventuale, di avere però, anche a mente, che i Predoni di un tempo usavano navi e barracani. <Giocavano>, per così dire, a carte scoperte. Cioè, quando arrivavano, già lo sapevi che erano i predoni. 
Quelli di oggi - ed assai spesso anche - che osservano come in ogni tempo avidi le terre fertili di altri e per poi solo predarle, abitualmente ormai usano anche <consolle> e jet e cravatte….

Buon ferragosto,
se ci lasciano un poco di tregua, a tutti di noi. Donne, Uomini, Ragazze e Ragazzi: il mondo della fatica grata, e degli affetti più cari, dell’agricoltore di sempre.
Anche di quelli, Donna e Uomo, Ragazzi e Ragazze, del terzo millennio. Uguali da sempre nei sogni e speranze comuni a ogni teempo. Anche se non pare poi esserlo.

Ricordiamocelo, se ci appare farci coraggio:

l’agricoltore prevale sempre, perché esso ha un sogno, positivo per tutti.

I predoni, sanno rubare solo le ricchezze di altri. E finito il saccheggio, spesso conoscono persino la propria di fame… per sopravvenuta assenza di prede…. Non sanno, infatti, fare altro.

Buon ferragosto di nuovo, agli <agricoltori> italiani e del mondo di sempre e, anche di oggi.

staffa

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